La guerra tra Israele e Hamas a Gaza ha messo in evidenza l’uso della intelligenza artificiale (AI) per scopi militari. Israele ha usato carri armati, droni e missili guidati da AI per colpire Gaza, indirizzare le incursioni di terra e preparare l’invasione. Israele ha anche un sistema di difesa chiamato Iron Dome, che usa AI per intercettare i razzi lanciati da Hamas. Hamas, invece, ha usato una rete di tunnel sotterranei e dei palloni aerostatici con esplosivi per attaccare Israele. Hamas usa parzialmente la AI, alcuni analisti ritengono che ha ricevuto aiuto dall’Iran, che è alleato di Hamas e ha sviluppato delle capacità in materia di AI.
Ci sono quindi alcuni aspetti da considerare. Partendo dal fatto che questa è, giornalisticamente, considerata come la prima guerra con l’intelligenza artificiale come protagonista. Non è così: lo era già stata l’occupazione Usa dell’Iraq, lo è stato il conflitto in Siria, la guerra tra Armenia e Azerbajan, infine il conflitto in corso tra Russia e Ucraina. Il conflitto, per adesso, tra Israele e Hamas è come tutte le guerre nelle quali è stata utilizzata l’intelligenza artificiale: un upgrade della versione precedente.
Dobbiamo poi considerare che l’uso della AI in guerra ha un doppio valore: inteso come strategia di attacco e di difesa e come elemento della guerra della comunicazione. In questo senso lo Hybrid Warfare, la guerra ibrida fatta tramite la sincronizzazione di una molteplicità di elementi di offesa entro e fuori il campo di battaglia, è la dottrina della guerra della AI, capace di accogliere altre generazioni di innovazioni tecnologiche e tattiche.
C’è infine un aspetto che si sovrappone ad altri squilibri già presenti nel conflitto di Gaza: quello nell’uso della AI sul piano militare tra israeliani e palestinesi, limitato e su un tipo di offesa militare a bassa tecnologia quello di Hamas contro quello da superpotenza tecnologica da parte di Israele.
Cosa sta accadendo a Gaza lo ha anticipato The Cradle nel luglio del 2023 quando proprio l’esercito israeliano ha cominciato a usare sistematicamente, non più in sola fase sperimentale, l’intelligenza artificiale per selezionare i bersagli, governare la logistica, la strategia sul campo e calendarizzare gli eventuali attacchi aerei. La preoccupazione di The Cradle, che riprende quella di Bloomberg, era che Israele passasse velocemente da un uso dell’AI a supervisione umana ad uno totalmente automatizzato nella selezione dei bersagli, nel governo della logistica e nella fase di attacco. Storicamente il controllo etico, e legislativo, sulla AI in fase di attacco militare si esercita sui dispositivi “fire and forget”, spara e dimentica, nel quale la decisione umana sta nella fase di sparo e il resto è governato dall’intelligenza artificiale. Il passaggio di Israele, anticipato da Cradle e Bloomberg, a dispositivi semplicemente “forget” ci rende una modalità di attacco semplicemente distruttiva, iperveloce senza mediazione umana nella selezione del bersaglio e delle sue modalità di attacco. Gaza, che è un acceleratore delle modalità israeliane di approccio alla guerra, produrrà così una sterminata collezione di nuovi mostri tecnologici e distruttivi in questo scenario di guerra.
E qui dobbiamo tener conto di almeno due fattori: il primo è che nel processo di selezione del bersaglio la AI apprende e, come per tutti i processi di apprendimento, l’accrescimento di conoscenza non significa la perfezione ma l’aumento di potenza. Questo significa, come accaduto in Ucraina che mercati, pompe di benzina, store di articoli per la casa possono continuare a essere bombardati, e scambiati per obiettivi militari, ma con maggiore potenza ed efficienza. L’altro fattore è la crescita esponenziale della AI che accresce enormemente la potenza distruttiva dei dispositivi solo “forget” ma che la espone a nuove sconosciute disfunzioni proprio a causa della sua repentina mutazione.
Insomma, Israele che si vuole per il prossimo futuro una superpotenza dell’intelligenza artificiale, con specializzazione bellica, accresce dispositivi fatti di potenza tecnologica, circolazione delle informazioni e performatività militare umana che non solo indirizzano l’intero esercito ma anche con dinamiche di controllo, e di mediazione, semplicemente labili. E questo quando gli allarmi sulla deriva incontrollabile della AI, applicati al piano bellico, si fanno ancora più forti.
Altro piano di applicazione della AI, in ottica di guerra ibrida, è l’uso della generazione di fake per orientare la comunicazione e l’opinione pubblica. Qui, va detto, entrambi i contendenti hanno dato prova di avere dimestichezza su questo genere di “controinformazione” specie nell’orientamento del dolore a distanza.
Ne esce così un panorama di upgrade del rapporto tra guerra e intelligenza artificiale che soddisfa il primo requisito della guerra stessa: avere armi maggiormente distruttive, con un raggio di azione il più esteso possibile in modo da uccidere più nemici possibile e annichilire il morale dei sopravvissuti. Qualcosa di molto differente dalla promessa delle bombe intelligenti e della guerra chirurgica di inizio anni ’90. La guerra digitale, ammesso che la guerra chirurgica sia accettabile, è invece proprio il contrario di questo: una immissione continua di intelligenza per rispondere alla sete di distruzione della guerra.
Non dimentichiamo poi che l’uso della AI per gli attacchi a sciame, l’accelerazione della decisione d’attacco e l’evoluzione di sistemi offensivi automatici alimenta un’economia della guerra che, a Tel Aviv, sembra non avere fine. Poco prima dell’attacco di Hamas Israele lamentava, nel finanziamento delle startup tecnologiche, un deciso calo nonostante i desideri del governo. Vedremo cosa accadrà a scenario mutato. Intanto la distruzione di Gaza continua e con lei l’infinito dramma umano della popolazione della Striscia.
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