L’uomo non merita di vivere, qualcuno dice. Chi non lo merita? L’ uomo europeo, colui che ricatta ed è ricattato dal dio denaro, che è il dio del potere; anche i conquistadores che sbarcarono in America, certamente, responsabili di genocidi. Proviamo a pensare se invece dei genocidi, gli indios fossero in qualche modo rimasti padroni delle loro terre e delle loro ricchezze. Questo è avvenuto limitatamente e per brevi decenni alla tribù degli Osage, nel territorio del Missouri. In queste terre fu scoperto il petrolio e la tribù diventò ricchissima, molto più dei bianchi i quali erano i loro servi e proletari. Ma il serpente della discordia si sarebbe insinuato di nuovo in una società pacifica trasformando una eccezione storica in un incubo. La tribù sarebbe stata colpita fino all’estinzione da una serie di omicidi da parte dell’uomo bianco.
In Killers of the Flower Moon (2023) di Martin Scorsese vi sono due figure principali: Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio) uno sciocco, ansioso, furbo, immigrato in questa zona come lavoratore alla ricerca di fortuna; lo zio, che ci abita da tempo immemorabile, cinico, affarista e manipolatore del nipote, rappresentato da William Hale (Robert De Niro). L’anziano William è da molto tempo in questa comunità e da sempre finge di volere il bene degli Osage che lo trattano da amico. In realtà è un massone, ha una serie di relazioni con uomini bianchi che, come lui, sono attenti a speculare sulle ricchezze della tribù indigena che per alcune importazioni (ad esempio medicine) dipendono da altri Stati governati solo da bianchi. La tribù è costituita da persone sagge, fatta di gente che si ama e da rapporti di lealtà e rispetto sacri. La doppiezza dell’uomo bianco, rappresentato da Ernest e dallo zio, è finzione, inganno e, nel caso di Ernest, incapacità di riconoscere l’amore. Egli sposa una ricca Usage, inizialmente per interesse e sotto la pressione dello zio, ma poi se ne innamora. Egli ama la propria moglie, ne è certo, tuttavia compie azioni che distruggono la sua vita. Egli ama il denaro, dice, “quasi come la propria moglie”: ha chiara l’ipocrisia di possedere una gerarchia di valori nelle parole ma non altrettanto nelle azioni.
Noi spettatori ci aspettavamo una ritardata ma sicura ribellione di Ernest contro lo zio, in nome dell’amore per la moglie, e invece niente. Braccato dalla polizia, insieme a suo zio, confessa i suoi omicidi. Mentre lo zio continua i suoi sogni megalomani di essere liberato e di essere più forte dello Stato.
Mentre Israele bombarda senza il bisogno di nessuna mafia un popolo inerme, perché la mafia è globale, Ernest, marito della Usage, uccide i componenti della sua famiglia uno dopo l’altro, ingaggiando killer, e poi cede la sua eredità futura allo zio, forse perché ne è succube, forse perché ha capito che diversamente sarebbe stato ammazzato. Questo passaggio di soldi è un passaggio finanziario tra massoni, tra i re del mondo che guadagnano dalle guerre. Una intelligenza limitata (Ernest Burkhart, allora, ci potrebbe ricordare il governo israeliano e l’opinione pubblica mediatica) è al servizio di un espropriatore delle terre e dei beni palestinesi (Netanyahu) attraverso lo spargimento di sangue.
L’uomo bianco non cambia mai. Uno dopo l’altro. Tutti in massa. Uccidere.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento