di Francesco Dall'Aglio
Che Tucker Carlson non fosse a Mosca per vedere CSKA-Avtomobilist Yekaterinburg di hockey (4-5 al secondo supplementare, per la cronaca) era abbastanza chiaro, soprattutto perché con lui c’era una squadra di tecnici e un bel po’ di equipaggiamento.
Che fosse lì per intervistare Putin non era stato né smentito né ammesso da lui o dai portavoce del Cremlino, ma che fosse lì per lavoro pareva ovvio.
L’intervista sarà mandata in onda oggi alle 18 ora di Washington (mezzanotte da noi, le 2 a Mosca) sul sito di Carlson (che, ricordo, è stato licenziato dalla Fox e quindi non compare più nei media “ufficiali”) e in diretta su Twitter, con Musk che ha “promesso” di non interrompere la trasmissione.
I media “ufficiali” stanno impazzando, Carlson viene esplicitamente chiamato “traditore” e qualcuno si spinge a chiedere alle autorità di impedirgli di fare ritorno negli USA – troppo tardi, è già rientrato – e Verhofstadt sostiene che l’Unione Europea dovrebbe metterlo sotto sanzioni.
Alcune considerazioni in ordine sparso.
La prima, e la più ovvia: che un’intervista a Putin venga gestita da Tucker Carlson è una sconfitta spaventosa per il sistema mediatico occidentale. Di Carlson va detto tutto il male possibile, professionalmente, dall’invermectina alla “grande sostituzione”.
Ed è ovvio che il suo unico scopo non è tanto quello di fornire un secondo punto di vista al pubblico statunitense ma di colpire Biden, presentando una Russia forte, non toccata dalle sanzioni e niente affatto sul punto di crollare (a Mosca ha visitato vari luoghi, dall’ovvio Bolshoi a un supermercato Auchan a uno degli “Vkusno i tochka”, ossia i fast food nati dopo l’abbandono di McDonald’s, a un distributore di benzina, ed è molto probabile che le riprese fatte verranno usate nel servizio).
Probabilmente insistendo sul fatto che le operazioni militari in Ucraina non portano minacce alla NATO e presentando Putin, semplicemente dandogli la possibilità di parlare, come un leader razionale e non come il mostro folle, moribondo e sanguinario descritto da buona parte dei media.
La critica che non ci sarà contraddittorio appare specialmente ipocrita, se considera il medio livello delle quasi innumerevoli interviste a Zelensky, dove nessuna domanda non dico imbarazzante, ma non del tutto celebrativa non è mai stata fatta.
Sarà sicuramente un’intervista di una banalità totale e di una noia sconcertante, come lo sono tutte le interviste a Putin visto il suo stile di comunicazione; nondimeno, sarà la prima volta dall’inizio del conflitto che il pubblico statunitense vedrà una persona “normale” esprimere il punto di vista dell’altro contendente.
Del resto questo sfascio se lo è tirato addosso proprio lo stesso sistema mediatico occidentale, dove, ricordo, i canali e i siti d’informazione russi sono stati bloccati all’inizio del conflitto perché l’opinione pubblica, evidentemente considerata come composta da boccaloni che credono a qualsiasi cosa, non venisse turbata dalle menzogne russe.
Blocchi ovviamente del tutto bypassabili da chiunque abbia un VPN o anche solo un account su Telegram, dove Putin, se si vuole, lo si può seguire 24 ore su 24, ma di certo bloccati per la grande massa della popolazione che si informa solo attraverso la televisione o i titoli dei giornali online, e che ha dunque una percezione del conflitto piuttosto sbilanciata, per non dire di peggio.
Ed è proprio questo il problema di fondo dell’intera vicenda, che paradossalmente eleva uno come Carlson a paladino della libertà di parola e dell’integrità professionale: la voce russa non è contrastata con fatti e dati ma è semplicemente rimossa, e la voce ucraina non è sostenuta con fatti e dati ma proposta come l’unica accettabile, o meglio, come l’unica esistente, etichettando qualsiasi dubbio come “propaganda putiniana“.
E chi scrive, cioè uno che in Russia passerebbe dei bei guai per le sue idee politiche (e non parliamo dell’Iran eccetera), ne sa qualcosa.
Di conseguenza, si lascia spesso il monopolio della “voce russa” a personaggi a dir poco ambigui, che fanno più danni, perché la riportano capziosamente, di un’intervista a Lavrov o a Putin stesso.
E quindi, per non far venire qualche dubbio a zia Maria e nonno Aldo, ora l’intervista a Putin la fa direttamente Carlson.
Un’altra grande vittoria del lungimirante occidente, niente da dire.
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