Il calo della popolazione è una questione che preoccupa un po’ tutti i paesi. Secondo le previsioni ONU sulla diminuzione della popolazione mondiale tra il 2020 e il 2050, il primo posto di questa classifica negativa spetta alla Bulgaria, in cui è previsto un calo del 22,5%, seguita da diversi paesi est-europei, con l’Ucraina in quarta posizione (-19,5%).
Ma anche il Giappone non se la passa tanto bene (9° posto, con -16,3%), mentre l’Italia si attesterebbe in ventesima posizione, col -10,10%.
Sebbene la Russia non sia tra i primi venti paesi di tale classifica negativa, anche Mosca è abbastanza preoccupata per la tendenza, tanto che, specialmente negli ultimi tempi, si sono fatti più frequenti provvedimenti a vari livelli per incentivare le nascite, con contributi di maternità decretati dallo stesso Vladimir Putin.
Sul tema ha detto la sua anche Aleksandr Dugin, il cui intervento riportiamo sotto.
Secondo l’istituto statistico ufficiale Rosstat, da qui al 2045, Mosca e la regione di Mosca guideranno la classifica negativa del decremento di popolazione, con un calo complessivo di circa 700.000 persone (31.000 l’anno) e anche “Piter” vedrà una diminuzione di 466.000 anime.
Leader assoluto, invece, per la crescita nei prossimi vent’anni nella Federazione Russa, sarà la Cecenia, con un +600.000 abitanti.
Rosstat certifica che, nell’anno passato, la popolazione russa si è ridotta complessivamente dello 0,17%, fermandosi a 146,2 milioni di abitanti. L’agenzia di statistiche nota che il calo naturale annuo della popolazione, grazie anche all’aumento del tasso di natalità, da ora al 2045 diminuirà di quasi una volta e mezzo, attestandosi a 402.000 persone.
Per una comparazione più generale, The World Factbook della CIA prende in considerazione 229 paesi e piazza l’Ucraina al primo posto per tasso di mortalità ogni 1.000 abitanti, con 19,8 decessi, in una poco invidiabile classifica che vede gran parte dei paesi UE nelle prime posizioni (Lituania, Serbia, Ungheria, Romania, Lettonia, Moldavia, Bulgaria: con medie da 15 al 14 ogni mille abitanti), seguiti da Russia (14,1), Germania (12) e anche Italia, “buona” ventiquattresima, con una media di 11,3.
All’altro estremo, per tasso di natalità, troviamo ancora l’Ucraina, ma all’ultimo posto, il duecentoventottesimo, con 5,8 nascite ogni mille abitanti.
Anche in questo caso, non è che l’Italia se la passi tanto meglio, piazzandosi al 222° posto, con una media di 7 nascite, mentre troviamo poco più avanti la Russia, al duecentoundicesimo posto, con una media di 8,5 ogni mille abitanti.
La CIA calcola anche il tasso di crescita della popolazione, comparandone la variazione percentuale media annua, che risulta da un surplus (o deficit) di nascite rispetto alle morti e dal saldo migratorio.
Ora, stante le precedenti comparazioni, appare quantomeno singolare che la CIA pronosticasse il 30° posto per l’Ucraina, nel 2023, con un +2,33% – considerati i morti in guerra – le decine di migliaia di persone in età da richiamo che hanno lasciato il paese ultimamente per non essere arruolate e i milioni che erano già emigrati (la stessa CIA, nel tasso di migrazione, piazza l’Ucraina al 2° posto mondiale, con 37,3 ogni mille abitanti) negli anni precedenti, per sfuggire all’affamamento imposto dai nazigolpisti al soldo di FMI, USA e NATO.
In ogni caso, la CIA pronosticava, per il 2023, percentuali negative per Estonia , Romania, Lettonia, Georgia, Bulgaria, Grecia, Giappone, Germania, Russia (da -1.13 a -0.12), fino all’Italia, prevista al 202° posto con un -0.11 di crescita.
È questa la situazione generale che ci sembrava opportuno riportare per sommi capi, introducendo l’intervento con cui Aleksandr Dugin fornisce la propria, molto discutibile, visione di una possibile uscita dal problema del calo demografico. Ora, considerata la summenzionata previsione del Rosstat, su un calo di popolazione russa più sensibile nei grandi centri urbani, la “soluzione” prospettata da Dugin parrebbe paradossalmente avere un suo senso. Perverso.
Per parte nostra, riportiamo la traduzione del suo intervento senza alcun commento, lasciando al lettore ogni personale considerazione. Ci limitiamo a una sola osservazione: Aleksandr Dugin non è né il “filosofo di Putin”, né “l’ideologo di Putin”, come recita il ritornello ormai vieto dei media nostrani.
I riferimenti di Putin, certo non meno reazionari, sono altri; ma, si sa, quando un ritornello è nell’aria, è più comodo affidarsi a quello.
Nello specifico (senza addentrarci nell’oscena visione duginiana dei rapporti tra comunisti e famiglia), osserviamo come ciò che sostiene Dugin si differenzi solo formalmente dalle manfrine di moda nell’area liberal nostrana, anche nella sua ala più “tradizionalista”, allorché si invocano i “ritorni alle origini”, “il buon tempo che fu” o “il sentire di una volta”, quali mezzi per arrotondare gli angoli più acuti del capitalismo, ma – dio ce ne scampi! – senza mettere in discussione né il capitalismo, né i suoi governi borghesi, che non fanno altro che aggravare le ragioni economico-sociali anche del calo della natalità.
Ma anche il Giappone non se la passa tanto bene (9° posto, con -16,3%), mentre l’Italia si attesterebbe in ventesima posizione, col -10,10%.
Sebbene la Russia non sia tra i primi venti paesi di tale classifica negativa, anche Mosca è abbastanza preoccupata per la tendenza, tanto che, specialmente negli ultimi tempi, si sono fatti più frequenti provvedimenti a vari livelli per incentivare le nascite, con contributi di maternità decretati dallo stesso Vladimir Putin.
Sul tema ha detto la sua anche Aleksandr Dugin, il cui intervento riportiamo sotto.
Secondo l’istituto statistico ufficiale Rosstat, da qui al 2045, Mosca e la regione di Mosca guideranno la classifica negativa del decremento di popolazione, con un calo complessivo di circa 700.000 persone (31.000 l’anno) e anche “Piter” vedrà una diminuzione di 466.000 anime.
Leader assoluto, invece, per la crescita nei prossimi vent’anni nella Federazione Russa, sarà la Cecenia, con un +600.000 abitanti.
Rosstat certifica che, nell’anno passato, la popolazione russa si è ridotta complessivamente dello 0,17%, fermandosi a 146,2 milioni di abitanti. L’agenzia di statistiche nota che il calo naturale annuo della popolazione, grazie anche all’aumento del tasso di natalità, da ora al 2045 diminuirà di quasi una volta e mezzo, attestandosi a 402.000 persone.
Per una comparazione più generale, The World Factbook della CIA prende in considerazione 229 paesi e piazza l’Ucraina al primo posto per tasso di mortalità ogni 1.000 abitanti, con 19,8 decessi, in una poco invidiabile classifica che vede gran parte dei paesi UE nelle prime posizioni (Lituania, Serbia, Ungheria, Romania, Lettonia, Moldavia, Bulgaria: con medie da 15 al 14 ogni mille abitanti), seguiti da Russia (14,1), Germania (12) e anche Italia, “buona” ventiquattresima, con una media di 11,3.
All’altro estremo, per tasso di natalità, troviamo ancora l’Ucraina, ma all’ultimo posto, il duecentoventottesimo, con 5,8 nascite ogni mille abitanti.
Anche in questo caso, non è che l’Italia se la passi tanto meglio, piazzandosi al 222° posto, con una media di 7 nascite, mentre troviamo poco più avanti la Russia, al duecentoundicesimo posto, con una media di 8,5 ogni mille abitanti.
La CIA calcola anche il tasso di crescita della popolazione, comparandone la variazione percentuale media annua, che risulta da un surplus (o deficit) di nascite rispetto alle morti e dal saldo migratorio.
Ora, stante le precedenti comparazioni, appare quantomeno singolare che la CIA pronosticasse il 30° posto per l’Ucraina, nel 2023, con un +2,33% – considerati i morti in guerra – le decine di migliaia di persone in età da richiamo che hanno lasciato il paese ultimamente per non essere arruolate e i milioni che erano già emigrati (la stessa CIA, nel tasso di migrazione, piazza l’Ucraina al 2° posto mondiale, con 37,3 ogni mille abitanti) negli anni precedenti, per sfuggire all’affamamento imposto dai nazigolpisti al soldo di FMI, USA e NATO.
In ogni caso, la CIA pronosticava, per il 2023, percentuali negative per Estonia , Romania, Lettonia, Georgia, Bulgaria, Grecia, Giappone, Germania, Russia (da -1.13 a -0.12), fino all’Italia, prevista al 202° posto con un -0.11 di crescita.
È questa la situazione generale che ci sembrava opportuno riportare per sommi capi, introducendo l’intervento con cui Aleksandr Dugin fornisce la propria, molto discutibile, visione di una possibile uscita dal problema del calo demografico. Ora, considerata la summenzionata previsione del Rosstat, su un calo di popolazione russa più sensibile nei grandi centri urbani, la “soluzione” prospettata da Dugin parrebbe paradossalmente avere un suo senso. Perverso.
Per parte nostra, riportiamo la traduzione del suo intervento senza alcun commento, lasciando al lettore ogni personale considerazione. Ci limitiamo a una sola osservazione: Aleksandr Dugin non è né il “filosofo di Putin”, né “l’ideologo di Putin”, come recita il ritornello ormai vieto dei media nostrani.
I riferimenti di Putin, certo non meno reazionari, sono altri; ma, si sa, quando un ritornello è nell’aria, è più comodo affidarsi a quello.
Nello specifico (senza addentrarci nell’oscena visione duginiana dei rapporti tra comunisti e famiglia), osserviamo come ciò che sostiene Dugin si differenzi solo formalmente dalle manfrine di moda nell’area liberal nostrana, anche nella sua ala più “tradizionalista”, allorché si invocano i “ritorni alle origini”, “il buon tempo che fu” o “il sentire di una volta”, quali mezzi per arrotondare gli angoli più acuti del capitalismo, ma – dio ce ne scampi! – senza mettere in discussione né il capitalismo, né i suoi governi borghesi, che non fanno altro che aggravare le ragioni economico-sociali anche del calo della natalità.
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Avanti – verso un nuovo medioevo!
Avanti – verso un nuovo medioevo!
Il 2024 è stato proclamato in Russia ‘Anno della famiglia’. È evidente che, in questo campo, la situazione è oltremodo problematica. Un numero pazzesco di divorzi, aborti e calo della natalità, rappresentano una catastrofe di scala nazionale.
Se vogliamo considerare seriamente l’Anno della famiglia, allora, basandoci sui classici (ma non quelli liberali e nemmeno quelli comunisti, dato che essi non possono che consigliare qualcosa che non farà altro che accelerare la disgregazione della famiglia), dovremmo contemporaneamente ritornare alle radici e fare un passo in avanti.
Da un punto di vista storico-sociologico e antropologico, il concetto di famiglia è indissolubilmente legato a quello del contadino. Per “famiglia”, in senso stretto, nella società russa, si deve intendere innanzitutto la famiglia contadina, tenuta unita dal matrimonio, con il battesimo d’obbligo dei figli e la gestione della comune economia domestica.
Nella famiglia era compreso anche il piccolo (a volte quello grande) bestiame, la casa, il campo, l’orto, attrezzi per la coltivazione della terra e altri bisogni, come pure i lavoratori (le parole “bambino” e “schiavo” hanno la stessa radice [rispettivamente: rebënok” e “rab”; ndt] e significavano “lavoratori minori” [o “subalterni”; ndt]: quindi chi non aiuta mamma e babbo non è un bambino).
C’erano delle differenze, naturalmente, tra i popoli nomadi, ed erano legate al fatto che alla famiglia non era legato alcun territorio. Quantunque, nel caso di tribù, genti e clan, i territori per il pascolo del bestiame fossero distribuiti in modo abbastanza fisso; da qui, i tamgà, che separavano i pascoli dei clan delle steppe eurasiatiche.
È il caso di prestare attenzione al fatto che, nelle caste militare e sacerdotale, la famiglia aveva una struttura diversa. La realtà dei militari e dei preti era meno legata alla terra. Un guerriero vive per la guerra e la morte (e anche per la difesa dalla guerra e dalla morte). Il prete, il religioso, sono rivolti a Dio e al cielo.
Così che, la logica stessa e la struttura della famiglia tra i ceti superiori – ecclesiastici e aristocrazia – era diversa. Ad esempio, i bambini non erano considerati “ragazzi” [“rebjata”; ndt], cioè “rebënki”, poiché non lavoravano, ma studiavano l’arte militare o i testi dei libri sacri.
Le ragazze, semplicemente, aspettavano il matrimonio, e per di più il codice morale nei ceti superiori (soprattutto per le ragazze) era molto più severo che in quelli inferiori (sebbene anche in questi fosse abbastanza severo).
Un caso speciale era costituito dalle famiglie nelle città. I piccoli artigiani e commercianti provenivano spesso da famiglie contadine e trasferivano in città il modello della famiglia contadina. Anche qui i bambini erano “bambini”, cioè “lavoratori” [“rabotniki”; ndt], ma venivano formati all’artigianato o al commercio.
In termini di struttura morale, la famiglia urbana tradizionale di tipo artigianale o mercantile era attratta per lo più verso il codice dei ceti superiori, cioè verso l’osservanza rigorosa e senza compromessi delle regole morali.
Ma tutto questo era tipico della società tradizionale.
I Tempi nuovi, il capitalismo e l’urbanizzazione segnano l’inizio della disgregazione della famiglia. Il liberalismo moderno e il comunismo ortodosso portano la negazione della famiglia al suo estremo logico. Per il liberale, la famiglia è un contratto; per il comunista, è un relitto del sistema borghese.
Hegel sottolinea come la stessa società civile, in cui ognuno è per se stesso, costituisca l’istituto della distruzione della famiglia. Vede in ciò un momento dialettico nello sviluppo storico, che deve essere superato col passaggio dalla società civile allo Stato, il quale solo è capace di salvare la famiglia e di proteggerne le strutture dall’individualismo tossico.
Il sociologo tedesco Werner Sombart osservava che le condizioni borghesi della città e l’industrializzazione avevano creato sin dall’inizio il terreno per la disgregazione della famiglia. Credeva che il semi-riconosciuto istituto delle ‘amanti urbane’ costituisse il motore del capitalismo e del liberalismo nell’Europa urbana dei Tempi nuovi.
Nel villaggio, era problematico per il normale contadino sostenere ancora qualcun’altro, oltre la famiglia. L’aumento delle risorse individuali e lo stile di vita urbano della borghesia contribuirono all’emergere dell’istituto delle mantenute parassitarie.
Secondo Sombart, esse, avanzando in modo vampiresco pretese sempre maggiori, sono state un fattore importante nella capitalizzazione e modernizzazione della società europea, il che ha contribuito al progresso tecnico, all’innovazione e all’imprenditorialità, distruggendo però la morale.
In questa situazione, per la Russia, tornare alle proprie radici, ma trovandosi allo stesso tempo in una nuova fase di sviluppo, significa procedere a un reinsediamento di massa delle megalopoli e a un programma statale di organizzazione della vita delle persone nelle campagne, nei sobborghi e nei villaggi.
Il motto potrebbe essere “Alla terra natale!”. Se i contadini sono la matrice storica di una famiglia pienamente salda (nei villaggi è difficile fuggire da qualche parte) e numerosa, allora è impossibile far rinascere l’una senza gli altri.
Così che, anche le costruzioni dovrebbero essere di pochi piani e svilupparsi orizzontalmente. Abbiamo potuto convincerci a cosa portino gli alveari verticali durante le gelate di Capodanno. La Russia deve crescere per estensione, non in altezza. Il numero massimo di abitanti di una città non deve superare il milione, nel caso delle capitali. I restanti, torneranno alla terra.
Ecco, è questo l’Anno della famiglia, quale dovrebbe essere: rafforzamento dell’ideologia di stato e ritorno alla terra.
Vi chiederete: e allora, l’industria e la tecnologia?
Per prima cosa, di programmazione e di scoperte ci si può occupare da casa propria, connessa a internet. Aria pura e una famiglia amorevole stimolano la riflessione.
In secondo luogo, in città si può lavorare a turni, come al Nord. Arriva un gruppo di tecnici, vive nelle tremende condizioni della città, e poi indietro, alla terra.
Tutti sanno che Berdjaev aveva parlato di un “Nuovo medioevo”. Ma pochi comprendono quanto sia magnifico.
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