Presentazione
Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni
06/12/2025
Israele pone condizioni irrealizzabili per il ritorno dei palestinesi nel campo di Jenin
La tv i24 riferisce che le autorità israeliane hanno presentato una serie di condizioni irrealizzabili per consentire il ritorno dei residenti nel campo profughi palestinese di Jenin e negli altri campi e centri abitati nel nord della Cisgiordania che da quasi un anno sono presi di mira dall’offensiva “Muro di ferro” dell’esercito israeliano. La prima riguarda il divieto imposto all’Autorità Nazionale Palestinese di permettere l’ingresso nei campi alle organizzazioni umanitarie internazionali, una richiesta che per Ramallah è impossibile da realizzare, poiché equivarrebbe all’abbandono anche politico della questione dei rifugiati. Israele ha dichiarato che senza un accordo preliminare su questo punto non si potrà discutere di nulla.
Le altre condizioni appaiono una prosecuzione in chiave amministrativa di quanto l’esercito sta facendo da mesi sul terreno. Il ritorno degli sfollati sarebbe consentito solo dopo il completamento dei lavori di ristrutturazione dei campi, un eufemismo che nella pratica significa demolire case, allargare assi stradali, asfaltare le vie tracciate sulle macerie degli edifici e predisporre un sistema di barriere e posti di polizia destinati a controllare rigidamente l’accesso. Tutto ciò avverrebbe in pieno coordinamento con i comandi militari, che intendono dotare i campi anche di infrastrutture sotterranee per le reti idriche ed elettriche, un’operazione presentata come infrastrutturale, ma che i palestinesi vedono come un modo per consolidare il controllo da parte dell’occupazione militare.
La ricostruzione secondo i parametri israeliani ha già assunto i contorni di una trasformazione profonda dei campi. A Jenin, dove l’esercito è tornato più volte nel corso dei mesi, sono cominciate nuove demolizioni. Dall’inizio dell’offensiva, più di 700 case e strutture sono state distrutte in modo parziale o totale. Non va meglio nei campi di Tulkarem e Nur Shams, anch’essi travolti dall’operazione che ha prodotto oltre cinquantamila sfollati.
La fase attuale è il risultato di oltre 300 giorni di incursioni, rastrellamenti, demolizioni mirate e campagne di arresti che hanno colpito in modo continuo Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Il governatore di Tulkarem, Abdullah Kamil, aveva riferito alla fine di ottobre che le autorità israeliane avevano preannunciato l’estensione delle operazioni militari almeno fino alla fine di gennaio 2026.
In questo quadro si inserisce l’ultimo episodio di violenza registrato ieri nel villaggio di Awarta, a sud di Nablus, dove Bahaa Rashid, 38 anni, è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco durante un’incursione delle forze israeliane nei pressi della vecchia moschea di Odla. Secondo fonti locali, i soldati hanno sparato proiettili veri, gas lacrimogeni e granate assordanti contro i fedeli che uscivano dalla preghiera, innescando scontri che hanno portato al ferimento mortale di Rashid. Dall’inizio dell’offensiva contro Gaza, l’intensificazione delle attività dell’esercito in Cisgiordania ha causato l’uccisione di almeno 1085 palestinesi e il ferimento di undicimila persone. Parallelamente, si contano circa 21 mila arresti nei territori occupati, inclusa Gerusalemme, con oltre 10.800 ancora nelle carceri israeliane.
Fonte
Le altre condizioni appaiono una prosecuzione in chiave amministrativa di quanto l’esercito sta facendo da mesi sul terreno. Il ritorno degli sfollati sarebbe consentito solo dopo il completamento dei lavori di ristrutturazione dei campi, un eufemismo che nella pratica significa demolire case, allargare assi stradali, asfaltare le vie tracciate sulle macerie degli edifici e predisporre un sistema di barriere e posti di polizia destinati a controllare rigidamente l’accesso. Tutto ciò avverrebbe in pieno coordinamento con i comandi militari, che intendono dotare i campi anche di infrastrutture sotterranee per le reti idriche ed elettriche, un’operazione presentata come infrastrutturale, ma che i palestinesi vedono come un modo per consolidare il controllo da parte dell’occupazione militare.
La ricostruzione secondo i parametri israeliani ha già assunto i contorni di una trasformazione profonda dei campi. A Jenin, dove l’esercito è tornato più volte nel corso dei mesi, sono cominciate nuove demolizioni. Dall’inizio dell’offensiva, più di 700 case e strutture sono state distrutte in modo parziale o totale. Non va meglio nei campi di Tulkarem e Nur Shams, anch’essi travolti dall’operazione che ha prodotto oltre cinquantamila sfollati.
La fase attuale è il risultato di oltre 300 giorni di incursioni, rastrellamenti, demolizioni mirate e campagne di arresti che hanno colpito in modo continuo Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Il governatore di Tulkarem, Abdullah Kamil, aveva riferito alla fine di ottobre che le autorità israeliane avevano preannunciato l’estensione delle operazioni militari almeno fino alla fine di gennaio 2026.
In questo quadro si inserisce l’ultimo episodio di violenza registrato ieri nel villaggio di Awarta, a sud di Nablus, dove Bahaa Rashid, 38 anni, è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco durante un’incursione delle forze israeliane nei pressi della vecchia moschea di Odla. Secondo fonti locali, i soldati hanno sparato proiettili veri, gas lacrimogeni e granate assordanti contro i fedeli che uscivano dalla preghiera, innescando scontri che hanno portato al ferimento mortale di Rashid. Dall’inizio dell’offensiva contro Gaza, l’intensificazione delle attività dell’esercito in Cisgiordania ha causato l’uccisione di almeno 1085 palestinesi e il ferimento di undicimila persone. Parallelamente, si contano circa 21 mila arresti nei territori occupati, inclusa Gerusalemme, con oltre 10.800 ancora nelle carceri israeliane.
Fonte
Libano: Hezbollah ferito, ma non sconfitto
Per quasi venti anni Hezbollah ha rappresentato uno dei perni fondamentali della politica libanese, forte della sua capacità militare e dell’influenza esercitata grazie ai suoi alleati interni e regionali. L’anno trascorso dal cessate il fuoco con Israele, firmato (il 27 novembre) dopo quasi 14 mesi di combattimenti e di pesanti bombardamenti israeliani, ha però aperto una fase segnata da incertezze profonde. Le perdite subite durante la guerra, a partire dall’uccisione del leader Hassan Nasrallah, e le pressioni interne su un eventuale disarmo hanno profondamente scosso il movimento sciita.
Secondo il politologo Hussein Ayoub, esperto di Hezbollah, il Libano vive un passaggio iniziato un anno fa, quando la guerra di sostegno a Gaza ha travolto gli equilibri politici che si erano consolidati dal 2005 dopo l’assassinio del premier Rafiq Hariri e il ritiro dell’esercito siriano. Per quasi due decenni il vuoto lasciato da Damasco era stato colmato dall’asse formato da Hezbollah e dall’Iran, un assetto rimasto stabile pur tra tensioni e crisi ricorrenti. L’ingresso nella guerra l’8 ottobre 2023 ha però inaugurato una fase completamente diversa. Prima di quella data, osserva Ayoub, Hezbollah si muoveva entro un equilibrio consolidato con Israele basato sulla reciproca deterrenza. Dopo la guerra, questo equilibrio è saltato.
Durante il conflitto il movimento ha impedito alle truppe israeliane di penetrare in profondità nel territorio libanese, ma ha pagato un prezzo altissimo. Israele è riuscito a colpire la leadership del movimento sciita, incluso lo storico segretario generale Hassan Nasrallah, a distruggere bunker sotterranei, a eliminare i comandanti della brigata Radwan e, con la misteriosa vicenda delle esplosioni dei cercapersone a penetrare la sua sicurezza. La fine della vecchia deterrenza ha definito un nuovo scenario. Per venti anni Hezbollah aveva imposto condizioni e risposte immediate agli assalti di Israele. Oggi quel modello è superato e la tregua del 2024 è stata accettata più per necessità che per scelta, anche per limitare i danni inflitti al Libano e alla sua popolazione.
A rendere ancora più fragile la posizione del movimento si è aggiunto un evento “sismico”: il crollo del regime siriano di Bashar Assad, avvenuto il 9 dicembre 2024. La Siria è stata per anni il principale corridoio di collegamento tra Hezbollah e Teheran, indispensabile per il rifornimento di armi e per ricostruire capacità militari, come avvenne dopo la guerra del 2006. Con la caduta di Assad, quel corridoio si è interrotto. Oggi, sottolinea l’analista, Hezbollah non ha più la possibilità di far entrare fondi o materiali attraverso l’aeroporto di Beirut. Perfino i rappresentanti iraniani vengono sottoposti a controlli rigidi all’arrivo. Il risultato è una capacità ridotta di ricostruire rapidamente l’arsenale, limitata allo sviluppo di missili di media gittata e droni prodotti localmente.
Questa nuova vulnerabilità ha aperto spazi ai rivali interni ed esterni. Hezbollah ha dovuto accettare decisioni politiche che prima avrebbe respinto, come l’elezione di Joseph Aoun alla presidenza della Repubblica e di Nawaf Salam alla guida del governo, figure considerate vicine all’Occidente. Un anno dopo il cessate il fuoco, la struttura del movimento si è in parte ristabilita, ma resta difficile valutare quali siano al momento le sue capacità militari.
Il disarmo, sul quale insistono Stati Uniti e Israele, rappresenta oggi uno dei nodi più sensibili. Prima della caduta del regime siriano, Washington e Tel Aviv limitavano la richiesta del disarmo di Hezbollah al sud del fiume Litani nel Libano del sud. Ora la linea è più netta e pretende il disarmo totale nel territorio libanese, affidando il possesso delle armi all’esercito regolare. È improbabile che l’esercito possa forzare la mano. Un confronto diretto rischierebbe di provocare fratture interne, in particolare la fuoriuscita dei militari sciiti, e aprire scenari da guerra civile. Ayoub considera più probabile che un eventuale disarmo diventi oggetto di negoziati regionali tra Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita, anche se al momento resta solo un’ipotesi.
Sul fronte israeliano, la mancata consegna delle armi offre teoricamente un pretesto per riprendere l’attacco contro il Libano. Tuttavia Israele ha interesse a mantenere l’attuale livello di scontro a bassa intensità, che gli consente di colpire Hezbollah senza subire costi importanti. Una operazione militare israeliana su larga scala vedrebbe inevitabilmente massicci lanci di missili dal Libano e nuovi sfollamenti dal nord di Israele verso il centro del paese.
Le voci su tensioni interne a Hezbollah vengono ridimensionate da Hussein Ayoub, che ricorda come il movimento sia un partito ideologico dotato di una struttura gerarchica rigida e militanti fedeli. Le uccisioni di Hassan Nasrallah e del suo successore Hashem Safieddine hanno colpito duramente la leadership, ma non hanno creato spaccature. Il nuovo segretario generale, Naim Qassem, viene descritto come un amministratore competente, privo del carisma dei suoi predecessori ma capace di gestire le varie correnti interne grazie all’esperienza maturata nelle elezioni parlamentari e municipali. In 43 anni, ricorda l’analista, Hezbollah non ha conosciuto scissioni e la comunità sciita tende a compattarsi nei momenti di difficoltà. Un elemento che probabilmente emergerà nelle elezioni parlamentari previste nella primavera del 2025, quando il movimento potrebbe ottenere livelli di consenso superiori al passato.
In un Libano segnato da crisi istituzionali, pressioni regionali e ferite aperte dalla guerra, Hezbollah resta dunque un attore centrale, ma più vulnerabile e meno sicuro della propria forza rispetto al passato.
Fonte
Secondo il politologo Hussein Ayoub, esperto di Hezbollah, il Libano vive un passaggio iniziato un anno fa, quando la guerra di sostegno a Gaza ha travolto gli equilibri politici che si erano consolidati dal 2005 dopo l’assassinio del premier Rafiq Hariri e il ritiro dell’esercito siriano. Per quasi due decenni il vuoto lasciato da Damasco era stato colmato dall’asse formato da Hezbollah e dall’Iran, un assetto rimasto stabile pur tra tensioni e crisi ricorrenti. L’ingresso nella guerra l’8 ottobre 2023 ha però inaugurato una fase completamente diversa. Prima di quella data, osserva Ayoub, Hezbollah si muoveva entro un equilibrio consolidato con Israele basato sulla reciproca deterrenza. Dopo la guerra, questo equilibrio è saltato.
Durante il conflitto il movimento ha impedito alle truppe israeliane di penetrare in profondità nel territorio libanese, ma ha pagato un prezzo altissimo. Israele è riuscito a colpire la leadership del movimento sciita, incluso lo storico segretario generale Hassan Nasrallah, a distruggere bunker sotterranei, a eliminare i comandanti della brigata Radwan e, con la misteriosa vicenda delle esplosioni dei cercapersone a penetrare la sua sicurezza. La fine della vecchia deterrenza ha definito un nuovo scenario. Per venti anni Hezbollah aveva imposto condizioni e risposte immediate agli assalti di Israele. Oggi quel modello è superato e la tregua del 2024 è stata accettata più per necessità che per scelta, anche per limitare i danni inflitti al Libano e alla sua popolazione.
A rendere ancora più fragile la posizione del movimento si è aggiunto un evento “sismico”: il crollo del regime siriano di Bashar Assad, avvenuto il 9 dicembre 2024. La Siria è stata per anni il principale corridoio di collegamento tra Hezbollah e Teheran, indispensabile per il rifornimento di armi e per ricostruire capacità militari, come avvenne dopo la guerra del 2006. Con la caduta di Assad, quel corridoio si è interrotto. Oggi, sottolinea l’analista, Hezbollah non ha più la possibilità di far entrare fondi o materiali attraverso l’aeroporto di Beirut. Perfino i rappresentanti iraniani vengono sottoposti a controlli rigidi all’arrivo. Il risultato è una capacità ridotta di ricostruire rapidamente l’arsenale, limitata allo sviluppo di missili di media gittata e droni prodotti localmente.
Questa nuova vulnerabilità ha aperto spazi ai rivali interni ed esterni. Hezbollah ha dovuto accettare decisioni politiche che prima avrebbe respinto, come l’elezione di Joseph Aoun alla presidenza della Repubblica e di Nawaf Salam alla guida del governo, figure considerate vicine all’Occidente. Un anno dopo il cessate il fuoco, la struttura del movimento si è in parte ristabilita, ma resta difficile valutare quali siano al momento le sue capacità militari.
Il disarmo, sul quale insistono Stati Uniti e Israele, rappresenta oggi uno dei nodi più sensibili. Prima della caduta del regime siriano, Washington e Tel Aviv limitavano la richiesta del disarmo di Hezbollah al sud del fiume Litani nel Libano del sud. Ora la linea è più netta e pretende il disarmo totale nel territorio libanese, affidando il possesso delle armi all’esercito regolare. È improbabile che l’esercito possa forzare la mano. Un confronto diretto rischierebbe di provocare fratture interne, in particolare la fuoriuscita dei militari sciiti, e aprire scenari da guerra civile. Ayoub considera più probabile che un eventuale disarmo diventi oggetto di negoziati regionali tra Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita, anche se al momento resta solo un’ipotesi.
Sul fronte israeliano, la mancata consegna delle armi offre teoricamente un pretesto per riprendere l’attacco contro il Libano. Tuttavia Israele ha interesse a mantenere l’attuale livello di scontro a bassa intensità, che gli consente di colpire Hezbollah senza subire costi importanti. Una operazione militare israeliana su larga scala vedrebbe inevitabilmente massicci lanci di missili dal Libano e nuovi sfollamenti dal nord di Israele verso il centro del paese.
Le voci su tensioni interne a Hezbollah vengono ridimensionate da Hussein Ayoub, che ricorda come il movimento sia un partito ideologico dotato di una struttura gerarchica rigida e militanti fedeli. Le uccisioni di Hassan Nasrallah e del suo successore Hashem Safieddine hanno colpito duramente la leadership, ma non hanno creato spaccature. Il nuovo segretario generale, Naim Qassem, viene descritto come un amministratore competente, privo del carisma dei suoi predecessori ma capace di gestire le varie correnti interne grazie all’esperienza maturata nelle elezioni parlamentari e municipali. In 43 anni, ricorda l’analista, Hezbollah non ha conosciuto scissioni e la comunità sciita tende a compattarsi nei momenti di difficoltà. Un elemento che probabilmente emergerà nelle elezioni parlamentari previste nella primavera del 2025, quando il movimento potrebbe ottenere livelli di consenso superiori al passato.
In un Libano segnato da crisi istituzionali, pressioni regionali e ferite aperte dalla guerra, Hezbollah resta dunque un attore centrale, ma più vulnerabile e meno sicuro della propria forza rispetto al passato.
Fonte
L’attacco statunitense al Venezuela sprofonda nel ridicolo
Si complica maledettamente la vicenda legale sull’imbarcazione al largo del Venezuela che è stata affondata dagli Stati Uniti il 2 settembre scorso.
Non si tratta dell’unica imbarcazione attaccata – attualmente ci sono già quasi 100 morti accertati – ma in quel caso c’è stato un “doppio colpo”, ossia un secondo attacco per uccidere due uomini che erano sopravvissuti ed erano rimasti aggrappati ai rottami. Per tutti i trattati internazionali esistenti, voluti e firmati anche dagli Usa, questo è un crimine di guerra. Quegli uomini avrebbero dovuto insomma essere salvati e poi, semmai, processati.
La prima complicazione legale è creata dalla scelta trumpiana di attaccare il Venezuela con la falsa accusa di essere un “narcostato” e di ospitare uno sconosciuto “cartello de los soles” a capo del quale sarebbe addirittura il presidente Maduro. Prove esibite: zero. Colin Powell, per giustificare l’attacco all’Iraq, aveva se non altro agitato una boccetta con polvere bianca giurando fosse antrace, in una seduta dell’Onu. Trump neanche questo...
Le imbarcazioni affondate da allora sono insomma “esecuzioni extragiudiziali” fuori da ogni cornice legale, anche soltanto inventata. Ma l’uccisione di naufraghi – anche se fossero stati davvero narcos – è comunque un crimine di guerra.
La seconda complicazione è creata dal fatto che “l’indagine” è condotta da una commissione del Congresso Usa che sta cercando di capire se Pete Hegseth – lo squilibrato ex conduttore televisivo di Fox News, ora nominato “ministro della guerra” – abbia o no dato personalmente l’ordine di portare il “secondo colpo”. Nel qual caso andrebbe messo in stato di impeachment...
Lui ha scaricato la responsabilità della decisione sull’ammiraglio Frank Bradley, che conduce la flotta al largo del Venezuela. Ciò che dice è riportato all’esterno dai deputati presenti, con versioni contrapposte tra “dem” e repubblicani (terza complicazione).
La versione finora più accreditata era che – sì – c’è stato un “secondo colpo” contro uomini in acqua e senza armi, ma “avrebbero potuto avere ancora una radio con cui chiamare ‘rinforzi’, essere quindi salvati e tornare in seguito a commerciare droga destinata all’America”. Una follia giuridica, ma ritenuta “accettabile” dai repubblicani...
Ora invece c’è l’ennesimo cambio di versione: la barca affondata – avrebbe detto Bradley – non era diretta verso gli Stati Uniti, ma verso una nave più grande diretta verso il Suriname, ex Guyana olandese, piccolo paese sudamericano ad est del Venezuela.
Questo renderebbe già il primo attacco ingiustificabile persino secondo la “dottrina Trump” sulla “guerra al narcotraffico” (se un carico, peraltro dubbio, non è diretto verso gli Usa, non dovrebbe rientrare nel suo campo di interesse); a maggior ragione il “secondo colpo” è un vero e proprio crimine di guerra (che neanche è stata dichiarata, cosa che avrebbe richiesto un voto del Congresso).
Bel pasticcio, vero?
Peggio ancora. Gli ufficiali antidroga statunitensi ascoltati dalla commissione hanno spiegato che le rotte del traffico via Suriname sono principalmente destinate ai mercati europei. Le rotte del traffico di droga dirette negli USA si sono invece concentrate sull’Oceano Pacifico negli ultimi anni. Ma il Venezuela non ha una costa sul Pacifico, dunque neanche una nave-fantasma potrebbe fare quel percorso provenendo da quel Paese...
Soprattutto viene a cadere completamente anche la giustificazione “nazionalistica”: quella barca, diretta verso una nave che andava in Suriname, da cui a volte partono carichi di droga verso l’Europa... non poteva essere una “minaccia imminente per l’America”.
Ha moltiplicato la confusione anche il Segretario di Stato Marco Rubio, esponente degli anti-castristi di Miami e capofila dell’attacco al Venezuela, che aveva dichiarato alla stampa, poco dopo l’attacco, che il presunto natante dei trafficanti preso di mira era “probabilmente diretto a Trinidad o in qualche altro paese dei Caraibi”. Checcefrega, intanto affondiamolo...
Ma, tuttavia, il Presidente Donald Trump aveva scritto in un post che appoggiava l’attacco, il 2 settembre: “L’attacco è avvenuto mentre i terroristi erano in mare in acque internazionali trasportando narcotici illegali, diretti verso gli Stati Uniti”. Al vertice Usa c’è il caos, pare. Oppure si sentono tanto forti da fregarsene di giustificare seriamene quel che fanno.
Secondo le fonti presenti in commissione, oltretutto, l’ammiraglio Bradley – a capo delle Operazioni Speciali Congiunte (JSOC) – ha anche ammesso che la barca aveva invertito la rotta prima di essere colpita, perché le persone a bordo sembravano aver avvistato l’aereo americano in cielo. Tornavano a casa, insomma, e quindi non andavano né in America, né in Suriname, né in Europa (ammesso e non concesso che avessero droga a bordo, che nessuno s’è curato di recuperare come “prova”).
Altro dettaglio. Gli attacchi sono stati addirittura quattro, non due. Uno spreco di fuoco giustificabile forse contro un assalto militare diretto, non certo contro una barca dall’identità incerta e sicuramente priva di armi pesanti.
Una versione dei fatti abborracciata, però, richiede sempre delle giustificazioni “ad minchiam” che la rendono sempre meno credibile. Ogni nuovo dettaglio diventa una martellata sulle proprie dita.
Bradley avrebbe pure aggiunto che i sopravvissuti stavano anche agitando le braccia verso qualcosa in cielo, anche se non è chiaro se stessero cercando di arrendersi o di chiedere aiuto all’aereo americano che avevano avvistato. Alla faccia del “pericolo imminente”...
A questo punto Hegseth, che giurava di essere uscito di scena dopo aver visto in video il primo attacco, rientra sotto inchiesta.
Nella sua seduta davanti alla commissione aveva infatti detto ai deputati di aver dato ordine che gli attacchi dovevano essere “letali”, ma che non era stato informato dei sopravvissuti fino a dopo che erano stati uccisi.
Bradley avrebbe insomma capito che l’obiettivo della missione era uccidere tutti gli 11 individui a bordo e affondare la barca, anche se l’ordine non era esattamente quello di “uccidere tutti”, compreso chi si arrende, cosa che è ovviamente “illegale”.
Le udienze vanno avanti. Ma già così è chiaro che tutta l’“operazione Venezuela” è un’immane montagna di merda imperialista senza alcuna giustificazione che possa reggere anche ad una sola domanda.
P.S. Ciò nonostante, i media mainstream italiani sembrano felici di ospitare altre bufale immonde provenienti dagli States. Stamattina, per esempio, persino il solitamente austero Sole24Ore si abbassa a pubblicare un evidente “tweet” della Casa Bianca secondo cui, nella telefonata tra The Donald e il presidente Maduro quest’ultimo avrebbe chiesto 200 milioni di dollari per lasciare il potere e rifugiarsi a Cuba (che non è nota per essere un “paradiso per i ricchi”, peraltro).
Si vede che qualsiasi favola di corruzione è credibile per giornalisti abituati a vendersi per cifre molto minori...
Ma soprattutto: se davvero bastava così poco per “risolvere il problema Venezuela” perché muovere una flotta con due portaerei e 15.000 soldati, ammazzando gente a casaccio e spendendo cento volte di più?
Fonte
Non si tratta dell’unica imbarcazione attaccata – attualmente ci sono già quasi 100 morti accertati – ma in quel caso c’è stato un “doppio colpo”, ossia un secondo attacco per uccidere due uomini che erano sopravvissuti ed erano rimasti aggrappati ai rottami. Per tutti i trattati internazionali esistenti, voluti e firmati anche dagli Usa, questo è un crimine di guerra. Quegli uomini avrebbero dovuto insomma essere salvati e poi, semmai, processati.
La prima complicazione legale è creata dalla scelta trumpiana di attaccare il Venezuela con la falsa accusa di essere un “narcostato” e di ospitare uno sconosciuto “cartello de los soles” a capo del quale sarebbe addirittura il presidente Maduro. Prove esibite: zero. Colin Powell, per giustificare l’attacco all’Iraq, aveva se non altro agitato una boccetta con polvere bianca giurando fosse antrace, in una seduta dell’Onu. Trump neanche questo...
Le imbarcazioni affondate da allora sono insomma “esecuzioni extragiudiziali” fuori da ogni cornice legale, anche soltanto inventata. Ma l’uccisione di naufraghi – anche se fossero stati davvero narcos – è comunque un crimine di guerra.
La seconda complicazione è creata dal fatto che “l’indagine” è condotta da una commissione del Congresso Usa che sta cercando di capire se Pete Hegseth – lo squilibrato ex conduttore televisivo di Fox News, ora nominato “ministro della guerra” – abbia o no dato personalmente l’ordine di portare il “secondo colpo”. Nel qual caso andrebbe messo in stato di impeachment...
Lui ha scaricato la responsabilità della decisione sull’ammiraglio Frank Bradley, che conduce la flotta al largo del Venezuela. Ciò che dice è riportato all’esterno dai deputati presenti, con versioni contrapposte tra “dem” e repubblicani (terza complicazione).
La versione finora più accreditata era che – sì – c’è stato un “secondo colpo” contro uomini in acqua e senza armi, ma “avrebbero potuto avere ancora una radio con cui chiamare ‘rinforzi’, essere quindi salvati e tornare in seguito a commerciare droga destinata all’America”. Una follia giuridica, ma ritenuta “accettabile” dai repubblicani...
Ora invece c’è l’ennesimo cambio di versione: la barca affondata – avrebbe detto Bradley – non era diretta verso gli Stati Uniti, ma verso una nave più grande diretta verso il Suriname, ex Guyana olandese, piccolo paese sudamericano ad est del Venezuela.
Questo renderebbe già il primo attacco ingiustificabile persino secondo la “dottrina Trump” sulla “guerra al narcotraffico” (se un carico, peraltro dubbio, non è diretto verso gli Usa, non dovrebbe rientrare nel suo campo di interesse); a maggior ragione il “secondo colpo” è un vero e proprio crimine di guerra (che neanche è stata dichiarata, cosa che avrebbe richiesto un voto del Congresso).
Bel pasticcio, vero?
Peggio ancora. Gli ufficiali antidroga statunitensi ascoltati dalla commissione hanno spiegato che le rotte del traffico via Suriname sono principalmente destinate ai mercati europei. Le rotte del traffico di droga dirette negli USA si sono invece concentrate sull’Oceano Pacifico negli ultimi anni. Ma il Venezuela non ha una costa sul Pacifico, dunque neanche una nave-fantasma potrebbe fare quel percorso provenendo da quel Paese...
Soprattutto viene a cadere completamente anche la giustificazione “nazionalistica”: quella barca, diretta verso una nave che andava in Suriname, da cui a volte partono carichi di droga verso l’Europa... non poteva essere una “minaccia imminente per l’America”.
Ha moltiplicato la confusione anche il Segretario di Stato Marco Rubio, esponente degli anti-castristi di Miami e capofila dell’attacco al Venezuela, che aveva dichiarato alla stampa, poco dopo l’attacco, che il presunto natante dei trafficanti preso di mira era “probabilmente diretto a Trinidad o in qualche altro paese dei Caraibi”. Checcefrega, intanto affondiamolo...
Ma, tuttavia, il Presidente Donald Trump aveva scritto in un post che appoggiava l’attacco, il 2 settembre: “L’attacco è avvenuto mentre i terroristi erano in mare in acque internazionali trasportando narcotici illegali, diretti verso gli Stati Uniti”. Al vertice Usa c’è il caos, pare. Oppure si sentono tanto forti da fregarsene di giustificare seriamene quel che fanno.
Secondo le fonti presenti in commissione, oltretutto, l’ammiraglio Bradley – a capo delle Operazioni Speciali Congiunte (JSOC) – ha anche ammesso che la barca aveva invertito la rotta prima di essere colpita, perché le persone a bordo sembravano aver avvistato l’aereo americano in cielo. Tornavano a casa, insomma, e quindi non andavano né in America, né in Suriname, né in Europa (ammesso e non concesso che avessero droga a bordo, che nessuno s’è curato di recuperare come “prova”).
Altro dettaglio. Gli attacchi sono stati addirittura quattro, non due. Uno spreco di fuoco giustificabile forse contro un assalto militare diretto, non certo contro una barca dall’identità incerta e sicuramente priva di armi pesanti.
Una versione dei fatti abborracciata, però, richiede sempre delle giustificazioni “ad minchiam” che la rendono sempre meno credibile. Ogni nuovo dettaglio diventa una martellata sulle proprie dita.
Bradley avrebbe pure aggiunto che i sopravvissuti stavano anche agitando le braccia verso qualcosa in cielo, anche se non è chiaro se stessero cercando di arrendersi o di chiedere aiuto all’aereo americano che avevano avvistato. Alla faccia del “pericolo imminente”...
A questo punto Hegseth, che giurava di essere uscito di scena dopo aver visto in video il primo attacco, rientra sotto inchiesta.
Nella sua seduta davanti alla commissione aveva infatti detto ai deputati di aver dato ordine che gli attacchi dovevano essere “letali”, ma che non era stato informato dei sopravvissuti fino a dopo che erano stati uccisi.
Bradley avrebbe insomma capito che l’obiettivo della missione era uccidere tutti gli 11 individui a bordo e affondare la barca, anche se l’ordine non era esattamente quello di “uccidere tutti”, compreso chi si arrende, cosa che è ovviamente “illegale”.
Le udienze vanno avanti. Ma già così è chiaro che tutta l’“operazione Venezuela” è un’immane montagna di merda imperialista senza alcuna giustificazione che possa reggere anche ad una sola domanda.
P.S. Ciò nonostante, i media mainstream italiani sembrano felici di ospitare altre bufale immonde provenienti dagli States. Stamattina, per esempio, persino il solitamente austero Sole24Ore si abbassa a pubblicare un evidente “tweet” della Casa Bianca secondo cui, nella telefonata tra The Donald e il presidente Maduro quest’ultimo avrebbe chiesto 200 milioni di dollari per lasciare il potere e rifugiarsi a Cuba (che non è nota per essere un “paradiso per i ricchi”, peraltro).
Si vede che qualsiasi favola di corruzione è credibile per giornalisti abituati a vendersi per cifre molto minori...
Ma soprattutto: se davvero bastava così poco per “risolvere il problema Venezuela” perché muovere una flotta con due portaerei e 15.000 soldati, ammazzando gente a casaccio e spendendo cento volte di più?
Fonte
La lobby israeliana si sta sciogliendo sotto i nostri occhi
di Philip Weiss
Il mese scorso, un membro di spicco dell’organizzazione ebraica J Street, che aveva lavorato per Obama e Harris, ha spiegato che la tradizione del Congresso di sostenere Israele “a prescindere da tutto” è stata imposta da un “gruppo ben finanziato di ebrei”.
“Un piccolo gruppo di ebrei americani, organizzato e ben finanziato, ha trattato la questione come una questione cruciale nelle elezioni, e la maggior parte dei candidati ha deciso che non valeva la pena di opporsi a loro”, ha scritto Ilan Goldenberg.
Non molto tempo fa, simili attacchi alla Lobby israeliana (compreso il mio) sono stati liquidati come “teorie cospirazioniste antisemite”. Ora, un’importante organizzazione ebraica si unisce.
Questo perché la comunità ebraica americana è oggi in aperta crisi per il suo storico sostegno a Israele. Ebrei di spicco stanno finalmente attaccando la Lobby, una struttura politica creata 60 anni fa da importanti gruppi ebraici per garantire che non ci fosse alcuna incomprensione tra il governo israeliano e quello statunitense.
La crisi è stata catalizzata dalla vittoria del Sindaco eletto di New York Zohran Mamdani, che ha infranto una regola della politica americana. Non si può essere antisionisti ed essere presi sul serio nella politica americana
La Lobby israeliana ha speso decine di milioni per sconfiggere Mamdani, guidata da Bill Ackman e Mike Bloomberg, eppure Mamdani ha comunque battuto Andrew Cuomo due volte. Dopo le elezioni generali del mese scorso, l’istituto ebraico ha parlato con timorosa forza. L’elezione di Mamdani è “cupa” e “inquietante”, ha dichiarato la Conferenza dei Presidenti.
“L’elezione di Zohran Mamdani a Gracie Mansion ci ricorda che l’antisemitismo rimane un pericolo chiaro e presente”.
La Lega Anti-Diffamazione ha annunciato un “monitoraggio di Mamdani” sull’idea che Mamdani promuoverà la violenza antisemita, un’affermazione basata sulle critiche di Mamdani a Israele. “Mamdani ha promosso narrazioni antisemite, e ha dimostrato un’intensa animosità verso lo Stato Ebraico, contraria alle opinioni della stragrande maggioranza degli ebrei newyorkesi”.
Se la Lobby pensava di poter abbattere Mamdani, ha fallito. Due settimane dopo le elezioni, Mamdani si è recato alla Casa Bianca e ha parlato di “Genocidio” israeliano, e Trump non ha fatto nulla per contraddirlo. Era ora di sentire quella parola alla Casa Bianca.
Il coraggio di Mamdani ha innescato il nuovo discorso critico nei confronti di Israele, ma è stato reso possibile da un movimento sociale più ampio. I giovani americani si stanno rivoltando contro Israele per le sue politiche anti-palestinesi di Genocidio e Apartheid.
Rahm Emanuel ha portato la triste notizia alla più grande organizzazione ebraica, le Federazioni Ebraiche, il mese scorso. Ricordando che Obama aveva visitato Israele prima di annunciare la sua campagna presidenziale nel 2007, Emanuel, che si candida alla presidenza, ha affermato che nel 2028 nessun candidato democratico oserà seguire il copione tradizionale.
“Nessuno lascerà l’America per andare a Gerusalemme. Questa è la politica”.
E non solo i democratici. Emanuel ha affermato che tutti i giovani, di sinistra e di destra, si stanno rivoltando contro Israele.
“Guardate dove si colloca Israele in America con le persone sotto i 30 anni”, ha detto: “Dimenticate il partito. Oggi è un rischio politico assumere una posizione pro-Israele. Israele è estremamente impopolare, voglio ribadire questo concetto a tutti noi che sosteniamo uno Stato Ebraico, oggi, per una generazione sotto i 30 anni, gli ultimi due anni di Israele saranno una definizione fondamentale tanto quanto lo fu la Guerra dei Sei Giorni per una generazione precedente. Ma dobbiamo essere onesti riguardo al compito che abbiamo qui”.
La Lobby israeliana si sta sciogliendo sotto i nostri occhi. Nella stessa conferenza, Eric Fingerhut, ex membro del Congresso e capo delle Federazioni, ha affermato che la cattiva immagine di Israele era il risultato di una cospirazione internazionale: “Abbiamo assistito a un attacco pianificato e coordinato alla reputazione di Israele in Nord America e alla comunità ebraica che lo sostiene. Alimentato da miliardi di dollari in denaro sporco da Iran, Qatar, Cina, Russia e altri ancora. Diffuso dagli strumenti di comunicazione più avanzati mai inventati”.
La conferenza era dedicata a ripristinare il posto di rilievo di Israele nel dibattito americano, “un’importante riabilitazione a lungo termine della narrazione di ciò che Israele significa”.
Ma è fallita, clamorosamente. La copertura mediatica dell’evento si è concentrata su un altro crollo: l’autrice Sarah Hurwitz, ex autrice di discorsi di Obama, che si è lamentata del fatto che parlare di Israele ai giovani oggi significhi cercare di superare un “muro di bambini morti”.
I bambini morti stanno arrivando persino agli ebrei americani, ha detto Hurwitz: “Avete TikTok che martella il cervello ai nostri giovani tutto il giorno con video della carneficina a Gaza. Ecco perché molti di noi non riescono ad avere una conversazione sana con i giovani ebrei, perché qualsiasi cosa cerchiamo di dire loro, la sentono attraverso questo muro di carneficina. Voglio fornire dati, informazioni, fatti. La sentono attraverso questo muro di carneficina”.
Hurwitz ha affermato che l’educazione all’Olocausto ha fallito con i giovani ebrei. Ha portato i giovani a vedere gli israeliani pesantemente armati come Nazisti e i loro scarni bersagli palestinesi come oggetti di compassione.
Hurwitz è stata attaccata sui social media per questi commenti. Ma è un’eroina per la comunità ebraica ufficiale nella sua insistenza sul fatto che coloro che negano il diritto degli ebrei a uno Stato Ebraico siano antisemiti.
La sovranità ebraica in Medio Oriente è insita nella religione ebraica, afferma Hurwitz, e la forza militare di Israele è la risposta necessaria a una storia di odio ebraico lunga 2000 anni. Negando queste verità, gli antisionisti dimostrano di odiare gli ebrei.
Queste idee sono sbagliate e pericolose. Il motivo per cui i giovani americani odiano Israele è che ha ucciso civili palestinesi indiscriminatamente e distrutto i loro mezzi di sussistenza per due anni a Gaza, con il sostegno del governo americano e della Lobby israeliana.
La celebrità dei media per bambini, la signora Rachel, ha espresso la dimensione morale di Gaza a novembre, quando ha accolto a New York una bambina traumatizzata di nome Qamar: “Mi dispiace tanto per Qamar che il mondo sia rimasto a guardare mentre il suo campo veniva bombardato, le sono state negate le cure mediche per 20 giorni, le hanno dovuto amputare una gamba e ha vissuto in una tenda diroccata, allagata e fredda”.
Non c’è da stupirsi che la signora Rachel sia emersa come immagine principale nell’ambito della solidarietà palestinese negli Stati Uniti, grazie alla sua chiarezza, semplicità e senso di responsabilità.
I media convenzionali oggi stanno facendo tutto il possibile per negare questo movimento. Negano che gli atteggiamenti sulla Palestina abbiano avuto a che fare con la sconfitta di Kamala Harris nel 2024. Negano di essere stati un fattore importante nella vittoria di Mamdani a New York.
Anche se candidati ribelli che si candidano contro Israele stanno spuntando come funghi nelle primarie democratiche in tutto il Paese.
Questo sconvolgimento politico è ora una crisi ebraica, come è giusto che sia. La comunità ebraica si sta disgregando a causa del suo sostegno ufficiale al Genocidio.
Gli ebrei che denunciavano le azioni di Israele erano fondamentali per la coalizione di Mamdani. Alcuni erano Sionisti progressisti. Ma il Sionismo progressista è esso stesso in fermento, abbandonando vecchi dogmi, come quello secondo cui il BDS è antisemita, per allinearsi ai giovani ebrei.
Mentre Sarah Hurwitz, Eric Fingerhut e Jonathan Greenblatt stanno guidando l’istitutivo ebraico verso una posizione marginale, l’argomentazione finale di Hurwitz è “eccezionalista”. “Gli ebrei hanno un ruolo speciale da svolgere nel mondo, ed è per questo che la gente ci odia”.
Si inserisce in una lunga tradizione: la Lobby ha imposto una menzogna dopo l’altra al nostro discorso politico. “I rifugiati non hanno il diritto di tornare alle loro case”. “Trasferire 700.000 coloni in territori occupati va bene”. “Non c’è Apartheid”. “Non c’è Genocidio”.
Le guerre di Israele contro i suoi vicini sono “nell’interesse degli Stati Uniti”.
Queste menzogne ora stanno fallendo. Qualunque fossero gli ideali abbracciati dal Sionismo alle sue origini come movimento di liberazione europeo, di fronte alla Resistenza palestinese si sono trasformati in intolleranza. La comunità ebraica ufficiale ha promosso quell’intolleranza.
Le bugie della Lobby israeliana erano un tempo un argomento tabù in America. Oggi la sua crisi riporta questo dibattito sulla pubblica piazza.
Fonte
Il mese scorso, un membro di spicco dell’organizzazione ebraica J Street, che aveva lavorato per Obama e Harris, ha spiegato che la tradizione del Congresso di sostenere Israele “a prescindere da tutto” è stata imposta da un “gruppo ben finanziato di ebrei”.
“Un piccolo gruppo di ebrei americani, organizzato e ben finanziato, ha trattato la questione come una questione cruciale nelle elezioni, e la maggior parte dei candidati ha deciso che non valeva la pena di opporsi a loro”, ha scritto Ilan Goldenberg.
Non molto tempo fa, simili attacchi alla Lobby israeliana (compreso il mio) sono stati liquidati come “teorie cospirazioniste antisemite”. Ora, un’importante organizzazione ebraica si unisce.
Questo perché la comunità ebraica americana è oggi in aperta crisi per il suo storico sostegno a Israele. Ebrei di spicco stanno finalmente attaccando la Lobby, una struttura politica creata 60 anni fa da importanti gruppi ebraici per garantire che non ci fosse alcuna incomprensione tra il governo israeliano e quello statunitense.
La crisi è stata catalizzata dalla vittoria del Sindaco eletto di New York Zohran Mamdani, che ha infranto una regola della politica americana. Non si può essere antisionisti ed essere presi sul serio nella politica americana
La Lobby israeliana ha speso decine di milioni per sconfiggere Mamdani, guidata da Bill Ackman e Mike Bloomberg, eppure Mamdani ha comunque battuto Andrew Cuomo due volte. Dopo le elezioni generali del mese scorso, l’istituto ebraico ha parlato con timorosa forza. L’elezione di Mamdani è “cupa” e “inquietante”, ha dichiarato la Conferenza dei Presidenti.
“L’elezione di Zohran Mamdani a Gracie Mansion ci ricorda che l’antisemitismo rimane un pericolo chiaro e presente”.
La Lega Anti-Diffamazione ha annunciato un “monitoraggio di Mamdani” sull’idea che Mamdani promuoverà la violenza antisemita, un’affermazione basata sulle critiche di Mamdani a Israele. “Mamdani ha promosso narrazioni antisemite, e ha dimostrato un’intensa animosità verso lo Stato Ebraico, contraria alle opinioni della stragrande maggioranza degli ebrei newyorkesi”.
Se la Lobby pensava di poter abbattere Mamdani, ha fallito. Due settimane dopo le elezioni, Mamdani si è recato alla Casa Bianca e ha parlato di “Genocidio” israeliano, e Trump non ha fatto nulla per contraddirlo. Era ora di sentire quella parola alla Casa Bianca.
Il coraggio di Mamdani ha innescato il nuovo discorso critico nei confronti di Israele, ma è stato reso possibile da un movimento sociale più ampio. I giovani americani si stanno rivoltando contro Israele per le sue politiche anti-palestinesi di Genocidio e Apartheid.
Rahm Emanuel ha portato la triste notizia alla più grande organizzazione ebraica, le Federazioni Ebraiche, il mese scorso. Ricordando che Obama aveva visitato Israele prima di annunciare la sua campagna presidenziale nel 2007, Emanuel, che si candida alla presidenza, ha affermato che nel 2028 nessun candidato democratico oserà seguire il copione tradizionale.
“Nessuno lascerà l’America per andare a Gerusalemme. Questa è la politica”.
E non solo i democratici. Emanuel ha affermato che tutti i giovani, di sinistra e di destra, si stanno rivoltando contro Israele.
“Guardate dove si colloca Israele in America con le persone sotto i 30 anni”, ha detto: “Dimenticate il partito. Oggi è un rischio politico assumere una posizione pro-Israele. Israele è estremamente impopolare, voglio ribadire questo concetto a tutti noi che sosteniamo uno Stato Ebraico, oggi, per una generazione sotto i 30 anni, gli ultimi due anni di Israele saranno una definizione fondamentale tanto quanto lo fu la Guerra dei Sei Giorni per una generazione precedente. Ma dobbiamo essere onesti riguardo al compito che abbiamo qui”.
La Lobby israeliana si sta sciogliendo sotto i nostri occhi. Nella stessa conferenza, Eric Fingerhut, ex membro del Congresso e capo delle Federazioni, ha affermato che la cattiva immagine di Israele era il risultato di una cospirazione internazionale: “Abbiamo assistito a un attacco pianificato e coordinato alla reputazione di Israele in Nord America e alla comunità ebraica che lo sostiene. Alimentato da miliardi di dollari in denaro sporco da Iran, Qatar, Cina, Russia e altri ancora. Diffuso dagli strumenti di comunicazione più avanzati mai inventati”.
La conferenza era dedicata a ripristinare il posto di rilievo di Israele nel dibattito americano, “un’importante riabilitazione a lungo termine della narrazione di ciò che Israele significa”.
Ma è fallita, clamorosamente. La copertura mediatica dell’evento si è concentrata su un altro crollo: l’autrice Sarah Hurwitz, ex autrice di discorsi di Obama, che si è lamentata del fatto che parlare di Israele ai giovani oggi significhi cercare di superare un “muro di bambini morti”.
I bambini morti stanno arrivando persino agli ebrei americani, ha detto Hurwitz: “Avete TikTok che martella il cervello ai nostri giovani tutto il giorno con video della carneficina a Gaza. Ecco perché molti di noi non riescono ad avere una conversazione sana con i giovani ebrei, perché qualsiasi cosa cerchiamo di dire loro, la sentono attraverso questo muro di carneficina. Voglio fornire dati, informazioni, fatti. La sentono attraverso questo muro di carneficina”.
Hurwitz ha affermato che l’educazione all’Olocausto ha fallito con i giovani ebrei. Ha portato i giovani a vedere gli israeliani pesantemente armati come Nazisti e i loro scarni bersagli palestinesi come oggetti di compassione.
Hurwitz è stata attaccata sui social media per questi commenti. Ma è un’eroina per la comunità ebraica ufficiale nella sua insistenza sul fatto che coloro che negano il diritto degli ebrei a uno Stato Ebraico siano antisemiti.
La sovranità ebraica in Medio Oriente è insita nella religione ebraica, afferma Hurwitz, e la forza militare di Israele è la risposta necessaria a una storia di odio ebraico lunga 2000 anni. Negando queste verità, gli antisionisti dimostrano di odiare gli ebrei.
Queste idee sono sbagliate e pericolose. Il motivo per cui i giovani americani odiano Israele è che ha ucciso civili palestinesi indiscriminatamente e distrutto i loro mezzi di sussistenza per due anni a Gaza, con il sostegno del governo americano e della Lobby israeliana.
La celebrità dei media per bambini, la signora Rachel, ha espresso la dimensione morale di Gaza a novembre, quando ha accolto a New York una bambina traumatizzata di nome Qamar: “Mi dispiace tanto per Qamar che il mondo sia rimasto a guardare mentre il suo campo veniva bombardato, le sono state negate le cure mediche per 20 giorni, le hanno dovuto amputare una gamba e ha vissuto in una tenda diroccata, allagata e fredda”.
Non c’è da stupirsi che la signora Rachel sia emersa come immagine principale nell’ambito della solidarietà palestinese negli Stati Uniti, grazie alla sua chiarezza, semplicità e senso di responsabilità.
I media convenzionali oggi stanno facendo tutto il possibile per negare questo movimento. Negano che gli atteggiamenti sulla Palestina abbiano avuto a che fare con la sconfitta di Kamala Harris nel 2024. Negano di essere stati un fattore importante nella vittoria di Mamdani a New York.
Anche se candidati ribelli che si candidano contro Israele stanno spuntando come funghi nelle primarie democratiche in tutto il Paese.
Questo sconvolgimento politico è ora una crisi ebraica, come è giusto che sia. La comunità ebraica si sta disgregando a causa del suo sostegno ufficiale al Genocidio.
Gli ebrei che denunciavano le azioni di Israele erano fondamentali per la coalizione di Mamdani. Alcuni erano Sionisti progressisti. Ma il Sionismo progressista è esso stesso in fermento, abbandonando vecchi dogmi, come quello secondo cui il BDS è antisemita, per allinearsi ai giovani ebrei.
Mentre Sarah Hurwitz, Eric Fingerhut e Jonathan Greenblatt stanno guidando l’istitutivo ebraico verso una posizione marginale, l’argomentazione finale di Hurwitz è “eccezionalista”. “Gli ebrei hanno un ruolo speciale da svolgere nel mondo, ed è per questo che la gente ci odia”.
Si inserisce in una lunga tradizione: la Lobby ha imposto una menzogna dopo l’altra al nostro discorso politico. “I rifugiati non hanno il diritto di tornare alle loro case”. “Trasferire 700.000 coloni in territori occupati va bene”. “Non c’è Apartheid”. “Non c’è Genocidio”.
Le guerre di Israele contro i suoi vicini sono “nell’interesse degli Stati Uniti”.
Queste menzogne ora stanno fallendo. Qualunque fossero gli ideali abbracciati dal Sionismo alle sue origini come movimento di liberazione europeo, di fronte alla Resistenza palestinese si sono trasformati in intolleranza. La comunità ebraica ufficiale ha promosso quell’intolleranza.
Le bugie della Lobby israeliana erano un tempo un argomento tabù in America. Oggi la sua crisi riporta questo dibattito sulla pubblica piazza.
Fonte
Aumenta l’occupazione ma l'Italia è sempre più povera
Come ormai da un paio d’anni, il governo Meloni torna ad usare toni trionfalistici per i numeri pubblicati dall’ISTAT sul nuovo record di occupazione registrato in Italia. Ma il numero crescente di occupati stride in modo sempre più clamoroso con gli zero virgola del PIL (quest’anno siamo a +0,6% e l’anno scorso appena a +0,7%), che testimoniano di un Paese che non cresce. Come è possibile che ci siano 224mila occupati in più in un Paese stagnante e con una industria al 32° mese consecutivo di calo della produzione?
A questa domanda ha già da tempo risposto l’Osservatorio per i Conti Pubblici Italiani CPI dell’Università Cattolica, dimostrando che l’aumento dell’occupazione è dovuto per i 3/4 a lavoratori impiegati in settori a bassa produttività, dove le retribuzioni sono più basse e dove si concentra un alto numero di lavoratori marginali. Su 100 nuovi occupati, infatti, 42 appartengono al commercio, 19 alla pubblica amministrazione e 14 alle costruzioni, mentre appena 10 riguardano la manifattura e solo 2 il settore dell’energia.
C’è poi una forte crescita del part-time che già nel 2023 aveva raggiunto la ragguardevole cifra di 4 milioni e 300mila lavoratori, cioè il 18% degli occupati. Quando il governo afferma che sono in crescita i lavoratori a tempo indeterminato, omette di ricordare l’aumento dei part-time, che sono in gran parte involontari, e che certificano un’occupazione povera. Va inoltre ricordato che i lavoratori a termine, sia pure in diminuzione, sono comunque 2 milioni e 514mila e che si registra anche un aumento degli autonomi (più di 5 milioni) di cui una forte percentuale è costituita da lavoro dipendente camuffato, senza responsabilità per le aziende e a bassa retribuzione.
Inoltre è utile considerare che dal 2023 anche i cassaintegrati per meno di 3 mesi vengono conteggiati dall’ISTAT come lavoratori e che la gran parte dei cassaintegrati rientra proprio in questa casistica.
E infine, bisogna tenere conto che una buona fetta della nuova occupazione è costituita da lavoratori over 50 e over 60, che prolungano la loro vita lavorativa sia perchè si sta alzando l’età pensionabile e sia perchè le pensioni sono così basse da comportare la necessità di mantenersi il più possibile in attività. I giovani, invece, sono l’unica classe d’età (quella tra i 25 e i 34 anni) che nell’aumento dell’occupazione vedono diminuire la loro partecipazione al lavoro.
La conclusione è desolante: gli occupati aumentano perchè le retribuzioni sono basse, sempre più persone in età avanzata continuano a lavorare e moltissimi lavorano solo part time. L’aumento del numero degli occupati camuffa e occulta l’impoverimento crescente del Paese. Al governo Meloni dobbiamo continuare a gridare che non è il momento di dare i numeri, ma di smetterla di investire in armamenti e di dedicarsi al rilancio economico dei salari, dei consumi e dell’economia pubblica.
Fonte
A questa domanda ha già da tempo risposto l’Osservatorio per i Conti Pubblici Italiani CPI dell’Università Cattolica, dimostrando che l’aumento dell’occupazione è dovuto per i 3/4 a lavoratori impiegati in settori a bassa produttività, dove le retribuzioni sono più basse e dove si concentra un alto numero di lavoratori marginali. Su 100 nuovi occupati, infatti, 42 appartengono al commercio, 19 alla pubblica amministrazione e 14 alle costruzioni, mentre appena 10 riguardano la manifattura e solo 2 il settore dell’energia.
C’è poi una forte crescita del part-time che già nel 2023 aveva raggiunto la ragguardevole cifra di 4 milioni e 300mila lavoratori, cioè il 18% degli occupati. Quando il governo afferma che sono in crescita i lavoratori a tempo indeterminato, omette di ricordare l’aumento dei part-time, che sono in gran parte involontari, e che certificano un’occupazione povera. Va inoltre ricordato che i lavoratori a termine, sia pure in diminuzione, sono comunque 2 milioni e 514mila e che si registra anche un aumento degli autonomi (più di 5 milioni) di cui una forte percentuale è costituita da lavoro dipendente camuffato, senza responsabilità per le aziende e a bassa retribuzione.
Inoltre è utile considerare che dal 2023 anche i cassaintegrati per meno di 3 mesi vengono conteggiati dall’ISTAT come lavoratori e che la gran parte dei cassaintegrati rientra proprio in questa casistica.
E infine, bisogna tenere conto che una buona fetta della nuova occupazione è costituita da lavoratori over 50 e over 60, che prolungano la loro vita lavorativa sia perchè si sta alzando l’età pensionabile e sia perchè le pensioni sono così basse da comportare la necessità di mantenersi il più possibile in attività. I giovani, invece, sono l’unica classe d’età (quella tra i 25 e i 34 anni) che nell’aumento dell’occupazione vedono diminuire la loro partecipazione al lavoro.
La conclusione è desolante: gli occupati aumentano perchè le retribuzioni sono basse, sempre più persone in età avanzata continuano a lavorare e moltissimi lavorano solo part time. L’aumento del numero degli occupati camuffa e occulta l’impoverimento crescente del Paese. Al governo Meloni dobbiamo continuare a gridare che non è il momento di dare i numeri, ma di smetterla di investire in armamenti e di dedicarsi al rilancio economico dei salari, dei consumi e dell’economia pubblica.
Fonte
“L’ICE funziona come un esercito di occupazione. Lo so perché ne ho fatto parte”
di Rory Fanning
Gli elicotteri dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) sorvoleranno senza dubbio il mio quartiere in cerca di riparatori di tetti e giardinieri in questo “Veterans Day”, proprio come hanno fatto per settimane. Negli Stati Uniti, sei un bersaglio facile se hai la pelle scura e il tuo lavoro richiede di lavorare all’aperto.
La mia città, appena fuori Chicago, pullula di agenti o soldati dell’ICE (i due termini possono essere usati in modo intercambiabile) da settimane ormai. Di recente, due mamme, al freddo e con i loro fischietti, hanno aiutato a sorvegliare una squadra che lavorava su un tetto danneggiato dalla grandine. Gli agenti/soldati dell’ICE, vestiti con l’equipaggiamento militare completo, armati di armi semiautomatiche e con passamontagna per nascondere la loro identità, pattugliano su camion senza insegne – credo che ormai sappiamo tutti come riconoscerli.
Queste persone mi ricordano i soldati con cui ho pattugliato in Afghanistan, solo che l’agente medio dell’ICE ha meno addestramento del soldato medio. Sembra che ogni quartiere degli Stati Uniti sia ora soggetto a uno scontro armato e potenzialmente violento con le truppe federali. L’occupazione statunitense dell’Iraq e dell’Afghanistan ha chiuso il cerchio.
Analogamente a come ho terrorizzato i villaggi afghani durante il mio periodo nell’esercito dopo l’11 settembre, l’ICE ha terrorizzato la mia città. Quando ero nei Ranger dell’esercito americano, prendevamo di mira afghani in età da liceo e università. Il più delle volte, questi ragazzi stavano semplicemente camminando per strada, facendosi i fatti loro, quando venivano perquisiti, interrogati in modo intimidatorio o rapiti.
Dopo un po’, gli afghani avvisavano i vicini ogni volta che la nostra carovana di camion entrava in una città – a volte usavano i fischietti. Gli abitanti del villaggio sparivano rapidamente e sembrava di attraversare una città fantasma. Questa, in parte, è la vita sotto occupazione.
Le forze di occupazione interne del regime di Trump sono in forte crescita
L’addestramento dell’ICE è stato ridotto di cinque settimane per “aumentare” il numero di truppe: l’addestramento dura ora otto settimane rispetto alle precedenti 13. L’amministrazione Trump spera di aumentare il numero di agenti dell’ICE da 6.500 a livello nazionale a 10.000 entro la fine del 2025. Un bonus alla firma di 50.000 dollari ha spinto 150.000 persone a candidarsi per posizioni presso l’ICE. Intanto, l’agenzia utilizza immagini nazionaliste bianche per attrarre reclute suprematiste bianche.
Agenti e soldati dell’ICE stanno occupando i quartieri degli Stati Uniti con alcune delle armi più letali al mondo, con solo otto settimane di addestramento e senza alcuna esperienza pregressa richiesta. Secondo un ex funzionario del Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS) intervistato da NBC News, “[il DHS] sta cercando di far passare tutti, e il processo di selezione non è quello che dovrebbe essere”. Eppure, anche se il controllo fosse più rigoroso e approfondito, nessun addestramento può giustificare il terrore creato nei nostri vicini da parte di soldati armati.
La mia unità Ranger nell’esercito contava su alcuni dei soldati meglio addestrati al mondo. Eppure, ogni sei mesi circa perdevamo un soldato a causa di uno sparo accidentale. Un primo sergente della mia unità, considerato un soldato estremamente competente, sparò accidentalmente con il suo fucile M-4 all’interno di un elicottero Blackhawk. Il primo sergente perse il grado e fu espulso dai Ranger.
Anche Pat Tillman, l’ex giocatore di football professionista che si arruolò nell’esercito dopo l’11 settembre, era nella mia unità. Fu ucciso in un episodio di “fuoco amico” e la sua morte fu insabbiata lungo tutta la catena di comando di George W. Bush.
La stragrande maggioranza delle vittime della “guerra globale al terrore” degli Stati Uniti dopo l’11 settembre erano civili. “Danni collaterali”, è così che li chiamano. Ma in realtà, queste morti dovrebbero essere definite per quello che sono: grave imprudenza con armi mortali e un generale disprezzo per la vita umana. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sono morte per mano dei soldati statunitensi e dei loro leader. Non ci si può fidare nemmeno delle unità militari meglio addestrate per fare la cosa giusta. La “guerra globale al terrore” lo ha dimostrato.
Quindi, quando vedo agenti dell’ICE e poliziotti militarizzati armati di fucili d’assalto o di altre armi, mi rendo conto di quanto sia ingenuo e sciocco fidarsi di chi è armato dal governo degli Stati Uniti. Sta diventando sempre più evidente che agli agenti dell’ICE – vestiti ed equipaggiati come soldati – non dovrebbe essere permesso di avvicinarsi ai nostri quartieri, soprattutto se armati di armi d’assalto.
A ottobre, Miramar Martinez, residente a Chicago, è stata colpita cinque volte da un agente della Border Patrol (Polizia di Frontiera ndt). L’agente mascherato, il cui nome non è ancora stato reso pubblico, è fuggito nel Maine subito dopo l’aggressione. Secondo l’emittente locale della rete FOX News, l’uomo mascherato, pochi istanti prima di aprire il fuoco, ha puntato un fucile d’assalto contro Miramar e ha urlato: “Fai qualcosa, puttana”.
Silverio Villegas-Gonzalez è stato colpito e ucciso da un agente/soldato dell’ICE in un altro sobborgo di Chicago a settembre.
Solo nelle ultime settimane abbiamo assistito a numerosi episodi che dimostrano quanto sia pericolosa questa banda mascherata di vigilanti.
Nel frattempo, Trump sta cercando di rendere la Guardia Nazionale complice di questa occupazione: finora ha schierato truppe a Washington DC, Los Angeles, Chicago, Portland, Oregon e Memphis, Tennessee. Minaccia di schierarne ancora di più a Baltimora, New York, New Orleans, Oakland, San Francisco e St. Louis. Il Posse Comitatus Act impedisce alla Guardia Nazionale di essere impiegata in attività di polizia.
Ma come ha documentato Democracy Docket, questa legge vecchia di 150 anni non ha fermato Trump, che è già stato rimproverato da un giudice federale che ha stabilito che la sua amministrazione ha violato il Posse Comitatus Act “utilizzando le truppe per assistere direttamente gli agenti federali che effettuavano arresti, istituendo perimetri e blocchi stradali per le operazioni di polizia e, in almeno due occasioni, per arrestare civili”.
Il morale nella Guardia Nazionale sta crollando. Documenti interni mostrano che l’esercito è consapevole che la propria missione è impopolare; un’istantanea di settembre ha rilevato che solo il 2% dei post sui social media analizzati esprimeva un giudizio positivo sul dispiegamento della Guardia Nazionale a Washington, mentre oltre il 53% dei post esprimeva un giudizio negativo.
Questo offre un’opportunità a chiunque speri di convincere i membri della Guardia Nazionale a deporre le armi e a resistere alle richieste di Trump. Questi soldati hanno la responsabilità morale di rifiutare ordini illegali. È nostro dovere ricordarglielo: qualcosa da tenere a mente la prossima volta che parteciperete a una protesta o avrete l’opportunità di parlare con un membro della Guardia Nazionale in servizio attivo.
Gruppi di veterani come About Face e Veterans for Peace stanno facendo un lavoro fenomenale nell’incoraggiare i membri della Guardia Nazionale a resistere a Trump. Le proteste “Veters Say No” qui a Chicago e in altre città hanno attirato migliaia di persone. Questi gruppi stanno ricordando ai soldati che non sono soli, che gli Stati Uniti hanno una gloriosa tradizione di rifiuto degli ordini e che coraggio e onore a volte implicano dire di no agli ufficiali in comando.
Rifiutare il culto dell’“eroe”
Parlando con gli immigrati del mio quartiere, so che provano una paura simile a quella degli afghani che controllavo. Mi sono arruolato nell’esercito nel febbraio del 2002 pensando che avrei reso gli Stati Uniti più sicuri contribuendo a proteggerli da un altro attacco in stile 11 settembre. Ho imparato che gran parte di ciò che gli Stati Uniti stavano facendo in luoghi come l’Afghanistan stava rendendo il Mondo un posto più pericoloso: sia occupando territori che non avrebbero dovuto invadere, sia uccidendo così tanti civili innocenti. Inoltre, era prevedibile che l’acritica venerazione per i soldati, trattati come eroi, che abbiamo visto dopo l’11 settembre avrebbe generato un pericoloso livello di sicurezza in coloro che portavano armi per conto del governo statunitense.
Divento sempre più arrabbiato e frustrato ad ogni “Veterans Day” che passa – questo è il mio ventesimo da quando ho lasciato i Rangers dell’esercito americano come obiettore di coscienza – perché diventa sempre più chiaro che il “Veterans Day” non è altro che un tentativo di nascondere il programma oppressivo e mortale della classe dirigente statunitense celebrando i nostri “eroi”. Gli eroi non uccidono civili innocenti, non si approfittano degli emarginati e non partecipano a missioni imperialiste progettate solo per arricchire i ricchi, vero? Se porti un’arma per conto del governo federale nel 2025, sei l’opposto di un eroe, nonostante le tue migliori intenzioni.
Non lo chiamo mai “Veterans Day”. Lo chiamo Armistice Day come lo chiamavamo negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale. Il Giorno dell’Armistizio doveva celebrare la fine della guerra, a differenza del Veterans Day, che sembra mirato a glorificare la guerra. Sono d’accordo con Kurt Vonnegut, che disse: «Il Giorno dell’Armistizio è diventato il Giorno dei Veterani. Il Giorno dell’Armistizio era sacro. Il Giorno dei Veterani non lo è. Quindi mi getterò il Giorno dei Veterani alle spalle. Il Giorno dell’Armistizio lo conserverò. Non voglio buttare via nulla di sacro».
Ma in realtà questa giornata è più propriamente definita “Giornata degli occupanti”, un termine che descrive correttamente la minaccia che le nostre comunità negli Stati Uniti devono affrontare da parte di tutti coloro che portano un’arma per conto del governo statunitense.
Collettivamente, consideriamo questa giornata come un’opportunità per mantenere e accelerare la necessaria reazione per allontanare la mentalità imperialista che ha contagiato fin troppe persone in questo Paese. Nessuno è “illegale” e solo abolire l’ICE garantirà la sicurezza alle comunità. Dobbiamo smettere di celebrare gli occupanti, sia in patria che all’estero.
Fonte
Gli elicotteri dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) sorvoleranno senza dubbio il mio quartiere in cerca di riparatori di tetti e giardinieri in questo “Veterans Day”, proprio come hanno fatto per settimane. Negli Stati Uniti, sei un bersaglio facile se hai la pelle scura e il tuo lavoro richiede di lavorare all’aperto.
La mia città, appena fuori Chicago, pullula di agenti o soldati dell’ICE (i due termini possono essere usati in modo intercambiabile) da settimane ormai. Di recente, due mamme, al freddo e con i loro fischietti, hanno aiutato a sorvegliare una squadra che lavorava su un tetto danneggiato dalla grandine. Gli agenti/soldati dell’ICE, vestiti con l’equipaggiamento militare completo, armati di armi semiautomatiche e con passamontagna per nascondere la loro identità, pattugliano su camion senza insegne – credo che ormai sappiamo tutti come riconoscerli.
Queste persone mi ricordano i soldati con cui ho pattugliato in Afghanistan, solo che l’agente medio dell’ICE ha meno addestramento del soldato medio. Sembra che ogni quartiere degli Stati Uniti sia ora soggetto a uno scontro armato e potenzialmente violento con le truppe federali. L’occupazione statunitense dell’Iraq e dell’Afghanistan ha chiuso il cerchio.
Analogamente a come ho terrorizzato i villaggi afghani durante il mio periodo nell’esercito dopo l’11 settembre, l’ICE ha terrorizzato la mia città. Quando ero nei Ranger dell’esercito americano, prendevamo di mira afghani in età da liceo e università. Il più delle volte, questi ragazzi stavano semplicemente camminando per strada, facendosi i fatti loro, quando venivano perquisiti, interrogati in modo intimidatorio o rapiti.
Dopo un po’, gli afghani avvisavano i vicini ogni volta che la nostra carovana di camion entrava in una città – a volte usavano i fischietti. Gli abitanti del villaggio sparivano rapidamente e sembrava di attraversare una città fantasma. Questa, in parte, è la vita sotto occupazione.
Le forze di occupazione interne del regime di Trump sono in forte crescita
L’addestramento dell’ICE è stato ridotto di cinque settimane per “aumentare” il numero di truppe: l’addestramento dura ora otto settimane rispetto alle precedenti 13. L’amministrazione Trump spera di aumentare il numero di agenti dell’ICE da 6.500 a livello nazionale a 10.000 entro la fine del 2025. Un bonus alla firma di 50.000 dollari ha spinto 150.000 persone a candidarsi per posizioni presso l’ICE. Intanto, l’agenzia utilizza immagini nazionaliste bianche per attrarre reclute suprematiste bianche.
Agenti e soldati dell’ICE stanno occupando i quartieri degli Stati Uniti con alcune delle armi più letali al mondo, con solo otto settimane di addestramento e senza alcuna esperienza pregressa richiesta. Secondo un ex funzionario del Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS) intervistato da NBC News, “[il DHS] sta cercando di far passare tutti, e il processo di selezione non è quello che dovrebbe essere”. Eppure, anche se il controllo fosse più rigoroso e approfondito, nessun addestramento può giustificare il terrore creato nei nostri vicini da parte di soldati armati.
La mia unità Ranger nell’esercito contava su alcuni dei soldati meglio addestrati al mondo. Eppure, ogni sei mesi circa perdevamo un soldato a causa di uno sparo accidentale. Un primo sergente della mia unità, considerato un soldato estremamente competente, sparò accidentalmente con il suo fucile M-4 all’interno di un elicottero Blackhawk. Il primo sergente perse il grado e fu espulso dai Ranger.
Anche Pat Tillman, l’ex giocatore di football professionista che si arruolò nell’esercito dopo l’11 settembre, era nella mia unità. Fu ucciso in un episodio di “fuoco amico” e la sua morte fu insabbiata lungo tutta la catena di comando di George W. Bush.
La stragrande maggioranza delle vittime della “guerra globale al terrore” degli Stati Uniti dopo l’11 settembre erano civili. “Danni collaterali”, è così che li chiamano. Ma in realtà, queste morti dovrebbero essere definite per quello che sono: grave imprudenza con armi mortali e un generale disprezzo per la vita umana. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sono morte per mano dei soldati statunitensi e dei loro leader. Non ci si può fidare nemmeno delle unità militari meglio addestrate per fare la cosa giusta. La “guerra globale al terrore” lo ha dimostrato.
Quindi, quando vedo agenti dell’ICE e poliziotti militarizzati armati di fucili d’assalto o di altre armi, mi rendo conto di quanto sia ingenuo e sciocco fidarsi di chi è armato dal governo degli Stati Uniti. Sta diventando sempre più evidente che agli agenti dell’ICE – vestiti ed equipaggiati come soldati – non dovrebbe essere permesso di avvicinarsi ai nostri quartieri, soprattutto se armati di armi d’assalto.
A ottobre, Miramar Martinez, residente a Chicago, è stata colpita cinque volte da un agente della Border Patrol (Polizia di Frontiera ndt). L’agente mascherato, il cui nome non è ancora stato reso pubblico, è fuggito nel Maine subito dopo l’aggressione. Secondo l’emittente locale della rete FOX News, l’uomo mascherato, pochi istanti prima di aprire il fuoco, ha puntato un fucile d’assalto contro Miramar e ha urlato: “Fai qualcosa, puttana”.
Silverio Villegas-Gonzalez è stato colpito e ucciso da un agente/soldato dell’ICE in un altro sobborgo di Chicago a settembre.
Solo nelle ultime settimane abbiamo assistito a numerosi episodi che dimostrano quanto sia pericolosa questa banda mascherata di vigilanti.
Nel frattempo, Trump sta cercando di rendere la Guardia Nazionale complice di questa occupazione: finora ha schierato truppe a Washington DC, Los Angeles, Chicago, Portland, Oregon e Memphis, Tennessee. Minaccia di schierarne ancora di più a Baltimora, New York, New Orleans, Oakland, San Francisco e St. Louis. Il Posse Comitatus Act impedisce alla Guardia Nazionale di essere impiegata in attività di polizia.
Ma come ha documentato Democracy Docket, questa legge vecchia di 150 anni non ha fermato Trump, che è già stato rimproverato da un giudice federale che ha stabilito che la sua amministrazione ha violato il Posse Comitatus Act “utilizzando le truppe per assistere direttamente gli agenti federali che effettuavano arresti, istituendo perimetri e blocchi stradali per le operazioni di polizia e, in almeno due occasioni, per arrestare civili”.
Il morale nella Guardia Nazionale sta crollando. Documenti interni mostrano che l’esercito è consapevole che la propria missione è impopolare; un’istantanea di settembre ha rilevato che solo il 2% dei post sui social media analizzati esprimeva un giudizio positivo sul dispiegamento della Guardia Nazionale a Washington, mentre oltre il 53% dei post esprimeva un giudizio negativo.
Questo offre un’opportunità a chiunque speri di convincere i membri della Guardia Nazionale a deporre le armi e a resistere alle richieste di Trump. Questi soldati hanno la responsabilità morale di rifiutare ordini illegali. È nostro dovere ricordarglielo: qualcosa da tenere a mente la prossima volta che parteciperete a una protesta o avrete l’opportunità di parlare con un membro della Guardia Nazionale in servizio attivo.
Gruppi di veterani come About Face e Veterans for Peace stanno facendo un lavoro fenomenale nell’incoraggiare i membri della Guardia Nazionale a resistere a Trump. Le proteste “Veters Say No” qui a Chicago e in altre città hanno attirato migliaia di persone. Questi gruppi stanno ricordando ai soldati che non sono soli, che gli Stati Uniti hanno una gloriosa tradizione di rifiuto degli ordini e che coraggio e onore a volte implicano dire di no agli ufficiali in comando.
Rifiutare il culto dell’“eroe”
Parlando con gli immigrati del mio quartiere, so che provano una paura simile a quella degli afghani che controllavo. Mi sono arruolato nell’esercito nel febbraio del 2002 pensando che avrei reso gli Stati Uniti più sicuri contribuendo a proteggerli da un altro attacco in stile 11 settembre. Ho imparato che gran parte di ciò che gli Stati Uniti stavano facendo in luoghi come l’Afghanistan stava rendendo il Mondo un posto più pericoloso: sia occupando territori che non avrebbero dovuto invadere, sia uccidendo così tanti civili innocenti. Inoltre, era prevedibile che l’acritica venerazione per i soldati, trattati come eroi, che abbiamo visto dopo l’11 settembre avrebbe generato un pericoloso livello di sicurezza in coloro che portavano armi per conto del governo statunitense.
Divento sempre più arrabbiato e frustrato ad ogni “Veterans Day” che passa – questo è il mio ventesimo da quando ho lasciato i Rangers dell’esercito americano come obiettore di coscienza – perché diventa sempre più chiaro che il “Veterans Day” non è altro che un tentativo di nascondere il programma oppressivo e mortale della classe dirigente statunitense celebrando i nostri “eroi”. Gli eroi non uccidono civili innocenti, non si approfittano degli emarginati e non partecipano a missioni imperialiste progettate solo per arricchire i ricchi, vero? Se porti un’arma per conto del governo federale nel 2025, sei l’opposto di un eroe, nonostante le tue migliori intenzioni.
Non lo chiamo mai “Veterans Day”. Lo chiamo Armistice Day come lo chiamavamo negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale. Il Giorno dell’Armistizio doveva celebrare la fine della guerra, a differenza del Veterans Day, che sembra mirato a glorificare la guerra. Sono d’accordo con Kurt Vonnegut, che disse: «Il Giorno dell’Armistizio è diventato il Giorno dei Veterani. Il Giorno dell’Armistizio era sacro. Il Giorno dei Veterani non lo è. Quindi mi getterò il Giorno dei Veterani alle spalle. Il Giorno dell’Armistizio lo conserverò. Non voglio buttare via nulla di sacro».
Ma in realtà questa giornata è più propriamente definita “Giornata degli occupanti”, un termine che descrive correttamente la minaccia che le nostre comunità negli Stati Uniti devono affrontare da parte di tutti coloro che portano un’arma per conto del governo statunitense.
Collettivamente, consideriamo questa giornata come un’opportunità per mantenere e accelerare la necessaria reazione per allontanare la mentalità imperialista che ha contagiato fin troppe persone in questo Paese. Nessuno è “illegale” e solo abolire l’ICE garantirà la sicurezza alle comunità. Dobbiamo smettere di celebrare gli occupanti, sia in patria che all’estero.
Fonte
Iscriviti a:
Commenti (Atom)
