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02/04/2025

La “soluzione finale” di Israele per Gaza, rivelata da Netanyahu in persona

Con l’ordine di evacuazione intimato ieri da Israele alla popolazione di tutta Rafah, il piano israeliano di pulizia etnica/sterminio della popolazione di Gaza è ormai pienamente definito. In dieci giorni l’esercito di occupazione ha lanciato una serie di volantini che obbligano praticamente tutta la popolazione di Gaza a lasciare le proprie case/tende/rifugi di fortuna per andare a Mawasi, una microscopica striscia di terra a nord-ovest di Rafah. Tutto il resto della Striscia verrà occupato militarmente dall’esercito, che ha già iniziato le operazioni di conquista.

Una volta ammassata tutta la popolazione in una sola zona, bisogna poi espellerla per sempre e a questo ci penseranno non solo le bombe e il terrorismo indiscriminato, ma soprattutto la fame e la sete. Da 32 giorni neanche un singolo camion è entrato nella Striscia: il blocco imposto da Israele è totale e riguarda tutto, sia gli aiuti umanitari che il traffico commerciale. Niente cibo, acqua, medicine, carburante, tende, vestiti, niente di niente.

Ieri a Gaza una patata da due etti e mezzo veniva venduta a 10 dollari, e oggi è stata annunciata la chiusura di tutti i panifici ancora aperti per mancanza di farina e carburante. L’elettricità è stata totalmente tagliata, e i quadricotteri israeliani bersagliano sistematicamente i pannelli solari che consentono di mantenere una piccolissima disponibilità di energia.

Il piano lo ha spiegato esplicitamente Netanyahu in persona, giusto ieri: non solo Hamas deve lasciare la Striscia, ma in ogni caso tutti i civili verranno fatti oggetto del piano di “migrazione volontaria” proposto da Trump, ovvero un biglietto di sola andata per un posto qualsiasi. “Siamo pronti a discutere la fase finale della guerra. Hamas deporrà le armi e ai suoi leader sarà permesso di andarsene. Ci prenderemo cura della sicurezza a Gaza e implementeremo il piano di migrazione volontaria di Trump. Questo è il nostro piano, non lo nascondiamo e siamo pronti a parlarne in qualsiasi momento”.

La fame e la sete saranno le armi principali, e ciò significa un crescendo di orrori oltre ogni misura. Neanche i nazisti erano riusciti nell’impresa di togliere il cibo a un popolo di due milioni di persone, ammassato, assediato e senza alcuna via di fuga. Quello che succederà sarà oltre ogni immaginazione.

Il livello di atrocità di un simile piano è talmente gigantesco che Israele vuole arrivarci con una strategia simile a quella di Mitridate: alzare costantemente il livello di terrore, per normalizzare il più possibile il genocidio contando sull’indomito sostegno degli alleati “democratici”.

Così si spiega l’impennata di assassinii mirati di giornalisti, il diluvio di bombe (circa cento bambini ammazzati ogni giorno, negli ultimi dieci giorni), l’incredibile deliberata esecuzione di 15 operatori della Mezzaluna Rossa: tanta ferocia serve a mostrare al mondo che Israele non si fermerà davanti a nulla, anche dovesse ammazzare ogni singolo palestinese.

So che non è facile abbandonare ogni illusione, ma dobbiamo abituarci all’idea: i nostri governi, quasi tutti i nostri partiti (inclusi quelli all’opposizione), le nostre élite intellettuali, il nostro sistema dell’informazione sono consapevoli di tutto ciò, sin dall’inizio, e non solo non hanno intenzione di muovere un dito per impedire questo crimine, ma addirittura fanno il tifo affinché Israele sia rapido e definitivo, in modo da sollevarli alfine dalla fatica costante di nascondere l’evidente, giustificare l’ingiustificabile, far accettare l’inaccettabile.

Questi disumani pazzi e furiosi credono davvero che dopo questa atrocità tutto tornerà come prima, perché credono sinceramente che il resto del Mondo sia uguale a loro: menefreghisti, corruttibili, amorali, egoisti, disposti a vendere moglie e figli in cambio di mezzo piatto di lenticchie, per cui nulla ha valore e tutto ha un prezzo.

Lo hanno creduto molti potenti, lungo i millenni della storia umana: e ogni volta questi criminali hanno scoperto che il bisogno di umanità è insopprimibile e che riemerge e si prende la rivincita, nonostante la ferocia, anche a costo della vita stessa.

Ora, come da un anno e mezzo (e 75 anni) a questa parte, il dovere di una persona umana è chiaro: restare tale, continuare a parlare di Palestina, continuare a denunciare le bugie, i crimini, i criminali, in ogni caso e in qualunque situazione, anche nel caso che tutto ciò non servisse a fermare la banda di assassini matricolati che in questo momento detiene il potere.

Come ha scritto ieri Ori Goldberg, attivista israeliano: “Pensavo che il motivo per parlare contro l’ingiustizia fosse utilitaristico: se non parlo quando vengono perpetrate contro gli altri, sarò la loro vittima. Ora la penso diversamente. Non parlo per paura del mio futuro. Parlo dal mio presente, dalla paura di diventare un uomo vuoto”: vuoto proprio come i genocidari e i loro complici, attivi o ignavi che siano.

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Il Crollo dell'Illusione Euroatlantica - #10 Marco Passarella - Trump stategia di sopravvivenza per gli USA?

I dazi di Trump, l’Occidente e noi

Dal primo febbraio di quest’anno Donald Trump ha deciso di applicare i dazi sull’importazione di prodotti provenienti da Canada e Messico (+25%) e Cina (+10%), i tre maggiori partner commerciali degli Stati Uniti.

La risposta cinese è stata immediata: al presidente Usa che ha imposto tariffe del 10% sulle importazioni cinesi, Pechino ha risposto con un pacchetto che prevede una tassa del 15% su alcuni tipi di carbone e gas naturale liquefatto e una tariffa del 10% su petrolio greggio, macchinari agricoli, auto di grossa cilindrata e pick-up. Le misure cinesi in risposta a quelle USA sono entrate in vigore il 10 febbraio.

Tuttavia, con l’Executive Order n. 14228 del 3 marzo 2025, Donald Trump ha deciso di aumentare ancora i dazi sulle importazioni negli USA di prodotti originari di Cina e Hong Kong, portandoli dal 10% al 20%. La decisione è stata motivata ufficialmente “a causa dell’insufficiente impegno del Paese nel collaborare a livello internazionale per affrontare la crisi legata alla droga illecita”.

In realtà, dietro la decisione di continuare ad inasprire la guerra commerciale con la Cina raddoppiando i dazi nei confronti del paese del Dragone c’è la strategia economica USA orientata al protezionismo più duro con l’obiettivo di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti e incentivare la rilocalizzazione della produzione industriale sul suolo americano.

Anche in questo caso le autorità cinesi hanno reagito subito. Il ministero del Commercio di Pechino ha aumentato, a partire dal 10 marzo scorso, del 15% i dazi sulle importazioni di pollo, grano, mais e cotone dagli USA, più un incremento del 10% su quelle di soia, sorgo, carne di maiale, manzo, frutta e verdura e altri beni alimentari. Un vero salasso per l’economia USA considerando che la Cina è il primo mercato per esportazioni per gli agricoltori statunitensi.

Ma che impatto avrà questa nuova impennata dei dazi USA sull’export cinese decisa da Trump? Praticamente zero.

Il governo cinese ha già dimostrato di essere in grado di neutralizzarne la portata grazie alla riduzione dei margini di profitto imposta dal governo alle imprese multinazionali cinesi. Una mossa che aveva già assorbito la prima ondata di dazi sui prodotti cinesi introdotti da Trump a febbraio scorso.

Viceversa, nei paesi occidentali (Italia compresa), in cui sono, ormai, le multinazionali a controllare i governi, gli aumenti dovuti ai dazi verranno scaricati sui consumatori sicché il costo della vita, già sensibilmente aumentato a causa della ripresa dell’inflazione a due cifre, schizzerà ulteriormente andando a peggiorare un quadro già drammatico per decine di milioni di persone.

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La prima Intifada è stata uno straordinario esempio di resistenza popolare contro l’oppressione

L’intifada fu una campagna di resistenza spontanea e dal basso, scaturita da un accumulo di frustrazioni e inizialmente senza alcun legame con la dirigenza politica palestinese.

Come per la rivolta avvenuta tra il 1936 e il 1939, la durata e il vasto sostegno all’intifada sono stati prova dell’ampio appoggio popolare di cui godeva.

La sommossa si dimostrò anche flessibile e innovativa, in quanto seppe sviluppare una gestione coordinata pur rimanendo guidata e controllata a livello locale.

Tra i suoi attivisti figuravano uomini e donne, professionisti e uomini d’affari dell’élite, contadini, abitanti dei villaggi, gente povera delle città, studenti, piccoli commercianti e membri di quasi tutti gli altri settori della società.

Le donne vi svolgevano un ruolo centrale, assumendo sempre più posizioni di comando, dato che molti uomini furono incarcerati, e mobilitando anche quelle persone che spesso erano escluse dalla politica convenzionale dominata dai maschi.

Oltre alle dimostrazioni, l’intifada prevedeva tattiche che andavano dagli scioperi ai boicottaggi, alle trattenute fiscali e ad altre ingegnose forme di disobbedienza civile.

A volte le proteste diventavano violente, innescate spesso dai soldati che infliggevano perdite pesanti attraverso l’uso di munizioni vere e con proiettili di gomma usati contro i manifestanti disarmati e dei giovani che lanciavano pietre.

A ogni modo, la rivolta fu prevalentemente non violenta e non armata, un elemento di importanza fondamentale che contribuì a mobilitare altri settori della società oltre ai giovani che protestavano nelle strade, dimostrando quindi che opporsi allo status quo e a sostenere l’intifada era l’intera società palestinese sotto occupazione.

La prima intifada è stata uno straordinario esempio di resistenza popolare contro l’oppressione e può essere considerata come la prima vittoria senza attenuanti per i palestinesi nella lunga guerra coloniale iniziata nel 1917.

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Giappone e Corea del Sud rafforzano il commercio con la Cina, contro i dazi USA

Il 30 marzo, a Seul, si è svolto un trilaterale tra i padroni di casa della Corea del Sud, il Giappone e la Cina. I ministri rispettivamente dell’Industria, dell’Economia e del Commercio si sono stretti la mano e hanno deciso di aumentare la cooperazione commerciale, e anche di rafforzare accordi e istituti regionali e multilaterali.

Nella dichiarazione congiunta si legge la volontà di creare “un campo di gioco globale equo [...] non discriminatorio, trasparente, inclusivo e prevedibile” per gli investimenti e, dunque, per le prospettive di crescita. Il convitato di pietra – neanche così nascosto – è la prossima introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione statunitense.

Per tutti e tre i paesi, gli States sono il principale partner commerciale. Sia per la Corea del Sud sia per il Giappone, la filiera dell’acciaio e dei chip potrebbe subire pesanti contraccolpi, e ancora di più l’automotive: per il paese del Sol Levante la filiera dell’auto ha rappresentato il 30% dei 145 miliardi di esportazioni verso gli USA nel 2024.

L’incontro risulta interessante per vari motivi. Il ministro coreano dell’Industria ha detto che i tre paesi devono muoversi in maniera congiunta di fronte “all’attuale ambiente economico e commerciale caratterizzato da una crescente frammentazione”. Ma, almeno sulla carta, non si è trattato di semplice retorica.

Innanzitutto, questo incontro è il primo di questo genere da cinque anni a questa parte, e ciò già dà il senso del passaggio storico che stiamo vivendo. È altrettanto significativo che, al summit, sia stata affermata la volontà di accelerare su un accordo di libero scambio che dovrebbe unire i tre paesi.

Il dialogo su questo dossier va avanti dal 2013, ed è difficile aspettarsi una risoluzione di tutti i suoi nodi a breve termine. Ma che ritorni nel dibattito proprio ora, dopo cinque anni di sostanziale stallo, non può passare inosservato. Senza contare le dichiarazioni effettuate su altre questioni che esulano dalle tre realtà dell’Estremo Oriente.

I tre ministri hanno espresso l’intenzione di rafforzare il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo commerciale firmato nel 2020 da 15 paesi dell’area dell’Asia-Pacifico, finalizzato ad aumentare l’integrazione tra le loro economie e a diminuire le barriere doganali.

All’incontro si è parlato anche di proporre una riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio affinché sia “più reattiva e resiliente nell’affrontare le attuali sfide commerciali”. Al di là dei contenuti della proposta, è interessante che i tre paesi vogliano rilanciare il ruolo di un’istituzione multilaterale che ha rappresentato il pilastro della globalizzazione post-Guerra Fredda.

Si parla pur sempre di intese sul piano economico, ma che rispondono alle richieste formulate dalla Cina poco più di una settimana fa, durante un altro vertice tenuto a Tokyo. Questa volta sono stati i ministri degli Esteri a incontrarsi, per la seconda volta in poco più di un anno (dopo un silenzio che, anche in questo caso, era durato oltre quattro anni).

I tre politici hanno parlato di Ucraina, mentre rimangono sul tavolo alcune questioni spinose come quella dell’arsenale nucleare della Corea del Nord e del suo legame con la Russia. Ma l’idea espressa dal Dragone di riprendere i colloqui sul trattato di libero scambio e di rafforzare il RCEP ha trovato risposta appena una settimana dopo.

Si delinea nuovamente una situazione che si era già vista in passato, ovvero quella in cui Seul e Tokyo fanno affari con Pechino, ma in politica estera rimangono sugli indirizzi dell’alveo occidentale. Questa volta, però, ci sono anche le parole di una ricercatrice di importanti think tank di Washington a dire che ci potremmo trovare di fronte a una svolta.

Patricia M. Kim, studiosa affiliata al Council on Foreign Relations (che pubblica la rivista Foreign Affairs), al National Committee on U.S.-China Relations e alla Brookings Institution (frequentata anche dall'italiano Mario Draghi), ha riconosciuto che questo incontro “ha un’importanza accresciuta” rispetto al passato, vista la nuova situazione internazionale.

Per Seul e Tokyo rimane una sorta di ‘vincolo esterno’ nella presenza militare statunitense, e senza dubbio i due alleati di Washington non nascondono la loro preoccupazione per il rafforzamento militare della Cina e le tensioni intorno alla questione Taiwan. Ma rimane il fatto che la politica commerciale di Trump potrebbe innescare effetti indesiderati.

L’incontro di qualche giorno fa ha mostrato la volontà di mantenere aree di libero scambio, ma innanzitutto in una dimensione regionale ed asiatica, e perciò confermando la tendenza alla frammentazione del mercato mondiale. E all’interno di questo orizzonte, i dazi potrebbero avvicinare ulteriormente gli ‘alleati’ degli Stati Uniti al nemico strategico principale, ovvero la Cina.

Anche in questo caso, non si potrà che aspettare che la polvere sollevata dall’introduzione dei dazi si sia posata per comprendere le tendenze più generali dello scenario internazionale.

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01/04/2025

20.000 leghe sotto i mari (1954) di Richard Fleischer - Mini

Fantozzi e l’astrazione kafkiana del padrone

di Marco Sommariva

Mentre non è ancora morto
il Poteve Opevaio,
schiere di sfruttati
continuano a prendere il bus al volo

Per la regia di Luciano Salce, il 27 marzo 1975 usciva nei cinema Fantozzi, e il giorno del cinquantesimo anniversario – giovedì 27 marzo 2025 – tornerà nelle sale questo primo leggendario capitolo della saga del Ragionier Ugo; a festeggiare lo storico personaggio inventato da Paolo Villaggio, sarà una versione del film rimessa a nuovo dal laboratorio di restauro cinematografico L’Immagine Ritrovata, con la supervisione di Daniele Ciprì per il processo di color correction.

Fantozzi nasce nelle storie che Villaggio scrive per “L’Europeo”, un settimanale d’attualità edito da Rizzoli pubblicato sino al 2013; diventerà un libro nel 1971, quando lo stesso editore del settimanale gli proporrà di raccogliere queste storie in volume.

Nella premessa del libro datata luglio 1971, l’attore genovese scrive: “Con Fantozzi ho cercato di raccontare l’avventura di chi vive in quella sezione della vita attraverso la quale tutti (tranne i figli dei potentissimi) passano o sono passati: il momento in cui si è sotto padrone. Molti ne vengono fuori con onore, molti ci sono passati a vent’anni, altri a trenta, molti ci rimangono per sempre e sono la maggior parte. Fantozzi è uno di questi. Nel suo mondo il padrone non è più una persona fisica, ma un’astrazione kafkiana, è la società, il mondo. E di questa struttura lui ha paura sempre e comunque perché sa che è una struttura-società che non ha bisogno di lui e che non lo difenderà mai abbastanza. Questo per lo meno qui da noi. Ma questo rischia di diventare un discorso politico troppo serio per uno «scherzo» quale deve essere tutta questa faccenda del «libro» e mi fermo qui”.

Era ed è sì un discorso politico: lo era allora, quando sul viso di Fantozzi ritrovavamo tutte le sconfitte dell’impiegato medio italiano, non una caricatura, ma una discarica pubblica dove ci si alleggeriva tutti, in cui si evacuavano le risate amare che le nostre facce da culo producevano guardando le genuflessioni del Ragionier Ugo davanti allo stesso Megadirettore Galattico che ci aspettava l’indomani in ufficio, al quale rispondevamo “faccio subito” intanto che speravamo che qualcuno gli sparasse nelle gambe; lo è al giorno d’oggi, mentre una struttura-società che non ha bisogno di noi e non ci difenderà mai abbastanza, ci sta sfruttando con quella viscida delicatezza che cinquant’anni fa ancora non esisteva, che prevede di non prenderci a manganellate perché, con gli anni, è stata capace di convincerci che dobbiamo essere noi a manganellare i nostri pari che non seguono le direttive dei potenti – non a caso, nella stessa premessa l’autore ci consiglia coi potenti “di essere vischiosi, servili e sempre d’accordo anche su posizioni «fasciste»”, un po’ come certi conduttori televisivi che da decenni non riusciamo a scollarceli di dosso, regnanti indiscussi di squallidi studi televisivi consacrati alle celebrazioni del regime.

Sul manganellare i nostri pari, Villaggio aveva capito che era un processo già iniziato: “[…] la pesantissima boccia di metallo di 42 chili centrò in piena nuca il suo direttore, che aveva accostato alle labbra in quel momento un bicchiere di vino ristoratore. Fantozzi non si fermò neppure a chiedere scusa ma si diede alla macchia sulle montagne. Cominciò allora una delle più feroci cacce all’uomo degli ultimi centovent’anni. Parteciparono alla ricerca cani-poliziotto e feroci molossi napoletani, mescolati ai quali c’erano moltissimi impiegati ruffiani che si erano offerti come cani da riporto per segnalarsi presso la direzione sperando in un aumento. Dopo tre giorni e tre notti di drammatica caccia tra gli acquitrini, Fantozzi fu circondato da un gruppo di colleghi abbaianti, tenuti al guinzaglio da alcuni feroci dirigenti”.

A differenza dei tanti comici che proliferano nei numerosi spettacoli d’oggi creati apposta per far ridere il pubblico e che sempre più raramente raggiungono l’obiettivo, Villaggio non ci parla di una zona dell’Italia – siciliani o calabresi “contro” milanesi, nordisti “contro” sudisti, apologie del romanesco, napoletano, toscano, eccetera – non ci parla di uomini “contro” donne e viceversa – i primi che sporcano di pipì la seduta del water, le seconde che sono intrattabili in “quei giorni” – no, Villaggio non ha alcuna intenzione di anestetizzarci con queste fesserie che fingiamo di credere esistere ancora ridendo fintamente a crepapelle perché intorno a noi altri fanno la stessa cosa, no, Villaggio ci parla dell’autobus preso al volo perché cinquant’anni fa si provava a dormire sino all’ultimo minuto dopo giornate snervanti già allora per la mancanza di senso, che mi ricordano molto da vicino la vita che fanno certe dipendenti della cooperativa che ha in appalto la pulizia degli uffici dove lavoro che, stremate dalla giornata lavorativa precedente, alle cinque del mattino prendono al volo il primo di tre autobus che, dopo un’ora e mezza di viaggio, le porterà a svuotarmi nuovamente il cestino chiedendomi scusa per il disturbo, e il tutto per un pugno di euro all’ora, lo stesso che a volte mi capita di dare in elemosina a Yassir, il ragazzo bengalese che mi riporta a posto il carrello vuoto, dopo che ho riempito l’auto coi sacchetti della spesa, situazione che a volte mi fa sentire come il Megadirettore Galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam, il Direttore Marchese Conte Piermatteo Barambani o un altro qualsiasi feroce padrone o amministratore delegato: è un attimo saltare dall’altra parte della barricata senza neppure accorgersene.

Se è vero che 1984 di Orwell fu un romanzo premonitore, vedete se vi dice qualcosa dei nostri giorni questo estratto del libro Fantozzi: “Cominciò [...] una discussione tra giovani sulla contestazione studentesca e l’intervento americano in Vietnam. Fantozzi credeva di essere nel covo della reazione: ma con suo grande stupore s’accorse che più quei gran signori erano bardati con orologi Cartier e brillanti (con uno solo dei quali lui avrebbe vissuto senza patemi il resto dei suoi giorni) più erano su posizioni maoiste. La maggior parte, giudicò Fantozzi, era a sinistra del partito comunista cinese. [...] L’indomani mattina lui “timbrava” alle 8: pensando a quei giovani sovversivi che si sarebbero svegliati a mezzogiorno, gli si confondevano le idee”.

Questo è Fantozzi; Villaggio, invece, nella biografia in quarta di copertina della seconda edizione del libro, datata 1981, si definisce “figlio di padre ricchissimo” e per questo “a sinistra del partito comunista cinese”, non solo, sostiene che “a Roma ha fondato con un gruppo di nobili una frangia politica di estrema sinistra molto “in” che si chiama «POTEVE OPEVAIO»”.

Il libro Fantozzi era anche confortante; alla rabbia di mio padre che bestemmiava nel leggere dell’ennesima apparizione mariana a una contadina quattordicenne, piuttosto che a dei bambini impegnati a sorvegliare un gregge o a una bambina belga, il concittadino e quasi coetaneo Paolo Villaggio rispondeva così: “Un giorno c’era un tale caldo che a Fantozzi alle undici del mattino, mentre era in cucina che faceva correre un po’ d’acqua per bere, comparve improvvisamente la Madonna. Era in piedi sull’acquaio e gli sorrideva, poi scomparve. “Sarà questo maledetto caldo” si disse: e decise di raggiungere la moglie in campagna. Mentre si preparava per il viaggio si domandava perché mai la Madonna per il passato si sia limitata a comparire a pastorelli semianalfabeti e in zone montuose, e mai per esempio a Von Braun, al Centro Spaziale di Houston durante una riunione della NASA. Non ricordava infatti di aver mai letto sui giornali notizie di questo tipo: “Ieri alle 16,30 la Santa Vergine è comparsa improvvisamente dietro la lavagna di un’aula gremita di studenti della scuola di ingegneria di Pisa, durante la lezione di “meccanica applicata alle macchine”. Il docente professor Mannaroni-Turri, noto ateo, è svenuto di fronte a duecento studenti”.

Il libro Fantozzi è ancora confortante; alla mia rabbia condita di bestemmie che fa seguito all’ascolto di boiate pazzesche tipo quella espressa da due signore bionde col fisico scolpito che, d’estate, alla spiaggia, lamentano il “sold out” – a giugno! – nelle “location” più “in” di New York che le costringerà a trascorrere il Capodanno da un’altra parte, mentre una donna africana larga quanto le due messe assieme passa loro accanto stracarica di mercanzia che nessuno vuole, le pagine del libro mi consolano così: “A un’ora da Roma, Fantozzi andò in corridoio a fumare. C’erano due bambini molto belli biondi, figli di ricchi: tutti i figli dei ricchi sono biondi e uguali, i figli dei braccianti calabresi sono scuri, disuguali e sembrano scimmie. Erano dei bambini molto educati e non facevano rumore. Una baby-sitter americana bionda li custodiva. Uscirono dallo scompartimento le madri. Erano molto giovani, molto belle, molto ricche, molto profumate, molto eleganti e molto abbronzate: venivano da due mesi sulla neve a Gstaad in Svizzera e parlavano della gente che c’era lassù. Fantozzi le guardava con la bocca semiaperta. Le due donne cominciarono a parlare delle loro prossime vacanze al mare ed erano un po’ in pensiero perché non sapevano più dove andare: dovunque ormai andassero, dalla Corsica alle isole Vergini, trovavano della gente orribile. Fantozzi si commosse quasi per il dramma di quelle poverette. Il treno entrò alla stazione Termini. Sulla banchina c’era una tragica lunga fila di terremotati siciliani del Belice. Erano seduti sulle loro valigie di cartone [...] e guardavano muti il vuoto. Una delle due signore disse: “È stato un anno davvero disgraziato!”. “Meno male” pensò Fantozzi “che si occupano di questi poveracci!”. “Perché?” domandò l’amica. E l’altra: “Perché non abbiamo mai avuto a Gstaad una neve così poco farinosa!”

Perché mi consolano queste pagine? Perché avere testimonianza scritta che figure così mostruosamente stronze già esistevano più di mezzo secolo fa e che, quindi, certi orrori non sono solo frutto degli sfaceli della mia generazione, solleva un poco il morale: lo so, non sono messo bene.

Perché la mia generazione, e pure quella dopo, di errori ne ha fatti veramente tanti, nonostante gli ammonimenti ricevuti da cinema e letteratura; avvertimenti che, ancor oggi, continuano a esser lanciati vista la produzione di Scissione, una serie televisiva statunitense del 2022 dove gli impiegati di una ditta non conoscono altro al di fuori delle attività svolte all’interno dell’azienda, sono solo schiavi asserviti al raggiungimento di uno scopo il cui significato è loro precluso. Allo sceneggiatore televisivo e produttore statunitense Dan Erickson, l’idea gli è stata ispirata da certe sue deprimenti esperienze lavorative giovanili maturate in ambito impiegatizio, un po’ come Paolo Villaggio quando, da giovane, lavorava all’Italsider di Genova come impiegato e iniziava a mettere in cantiere certe idee, ma per saperne di più su Scissione v’invito a leggere questo pezzo di Walter Catalano: Severance/Scissione: il Corporate Horror e gli incubi di Fantozzi.

Conforto, consolazione, riconoscenza, ecco quello che raccolgo dal genio di Paolo Villaggio, e non sono il solo; scriveva Oreste Del Buono nell’introduzione al libro: “L’ultima apparizione di Paolo Villaggio a cui ho assistito in televisione quasi mi ha fatto piangere per la riconoscenza. La riconoscenza per chi si sobbarca il peso di tutti i diseredati dell’aspetto e del gesto, di tutti gli umiliati e offesi dalla propria bruttezza e goffaggine, di tutti i mutilati del pensiero e della prassi, dell’affabilità e della sintassi. Si era sotto le feste di Natale, magari alla viglia stessa. Avevano chiamato Paolo Villaggio in televisione per commentare insieme natività e austerità, un miscuglio di moda nel nostro disgraziato paese”.

Chi aveva invitato l’attore genovese s’aspettava da lui un po’ d’umorismo, ma sbagliò i suoi conti: Villaggio si presentò trasandato, malmostoso e, parlando con piglio truce, disse “controvoglia una sgradevolezza dopo l’altra” e prese a parlar male di se stesso, perché quello aveva da dire – Paolo Villaggio non fingeva mai.

A proposito di Natale, leggete quest’altro estratto del libro Fantozzi: “A casa la signora Pina gli preparò una minestra calda. Lui si sedette a tavola con uno sguardo da pazzo e diede la prima cucchiaiata. La moglie lo guardò e gli disse: “Buon Natale, amore!”. In quel momento l’albero si abbatté sulla tavola con violenza, centrò Fantozzi in piena nuca e lui tuffò la faccia nella minestra rovente. Si provocò ustioni di quarto grado. Non gli uscì un lamento: più tardi, nel buio della stanza da letto, pare che abbia pianto in silenzio con grande dignità”.

Quella dignità che perdiamo quando siamo preda della sindrome da consumo; ossia, quasi sempre.

Villaggio fa cenno al boom consumistico in un’intervista rilasciata alla Televisione Svizzera nel 1975: “Il piccolo Fantozzi, l’omino che per anni è vissuto nel boom consumistico, ha ricevuto dai mass-media, cioè dalla televisione, dai settimanali e da tutte le informazioni possibili, uno stimolo preciso, quasi un ordine a consumare, ad acquistare, a vivere secondo determinati schemi, e lo schema di questa filosofia era precisissimo: attento!, che se compri e ti attrezzi in determinati modi, cioè secondo la chiave consumistica, potrai essere felice, vivrai in un mondo che sarà felice e contento per mille anni. Improvvisamente, invece, un crack strano; insomma, tutto questo sistema meraviglioso, pieno di promesse, questo mondo fiabesco si è incrinato: è bastato che nel Medio Oriente una forte tensione internazionale chiudesse i rubinetti del petrolio perché tutta la grande economia mondiale entrasse in crisi”.

Villaggio fa riferimento al periodo a cavallo tra il 1973 e il 1974 quando, in seguito alla crisi petrolifera, diversi governi del mondo occidentale, tra cui l’Italia, emanarono disposizioni per contenere drasticamente i consumi energetici: ricordo, per esempio, che ci si metteva d’accordo tra parenti per uscire insieme nei giorni festivi, con l’auto che poteva circolare senza prendere la multa – una domenica toccava alle macchine con targhe che terminavano col numero pari, quella dopo era il turno delle dispari.

Oggi come oggi pare che il consumare, l’acquistare, il vivere secondo determinati schemi, siano azioni che non si riescano a fermare, neppure a rallentare.

E se pensate che anche andare a vedere la versione di Fantozzi rimessa a nuovo faccia parte di questo circolo vizioso, quello del consumare e del vivere secondo determinati schemi, vi rispondo che andrò ugualmente a vederlo lasciandovi alla vostra erre moscia e a quella cagata pazzesca de La corazzata Potëmkin.

E mentre mi si azzera la salivazione per l’emozione dovuta a questa mia intransigente presa di posizione, già sento iniziare lo scroscio dei novantadue minuti di applausi che mi renderanno immortale.

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Israele attacca ancora Beirut. Unicef: a Gaza 322 bambini uccisi in 10 giorni dai raid aerei

di Michele Giorgio

Un nuovo attacco aereo israeliano ha ucciso nella notte almeno quattro persone, tra cui Hassan Bdeir, un dirigente di Hezbollah, nella periferia meridionale di Beirut. Non c’è stato alcun preavviso del raid che ha ucciso anche i famigliari di Bdeir. Secondo Israele, il dirigente colpito era membro di un’unità di Hezbollah che avrebbe aiutato Hamas a pianificare attacchi. Dal Libano invece affermano che Bdeir per conto della sua organizzazione manteneva i rapporti con il movimento islamico palestinese a Gaza.

Si è trattato del secondo attacco aereo su Beirut in cinque giorni. Israele ha ripetutamente violato la tregua uccidendo oltre 100 libanesi dopo la proclamazione del cessate il fuoco che lo scorso novembre ha posto fine allo scontro tra le due parti che ha sfollato più di un milione di persone dal Libano meridionale e ne ha uccise almeno 3.768 in Libano (73 soldati e 45 civili sono stati uccisi da razzi e droni in Israele).

Forte lo sdegno in Libano. Il presidente, Joseph Aoun, ha condannato i raid israeliani e invitato gli alleati del suo paese a sostenere il “diritto alla piena sovranità” del Libano. II primo ministro, Nawaf Salam, ha descritto l’attacco su Beirut una “palese violazione” degli accordi di tregua.

Hezbollah non si accontenta di queste dichiarazioni, fa pressioni sul nuovo governo e lancia avvertimenti. “Non vogliamo la guerra, ma se questa ci venisse imposta, siamo pronti a scoraggiare qualsiasi aggressione”, ha avvertito Ali Ammar, un parlamentare del movimento sciita. Un altro deputato di spicco di Hezbollah, Ibrahim Musawi, ha commentato: “quello che è successo ci spinge a una fase completamente diversa, e riteniamo la comunità internazionale, gli Stati Uniti e l’Occidente responsabili di questo crimine, e il nemico non si è impegnato per un solo momento a rispettare la Risoluzione 1701”. Musawi ha criticato le dichiarazioni “irresponsabili” di alcuni ministri libanesi che a suo dire “incoraggiano il nemico a persistere nella sua aggressione” e denunciato le “1.500 violazioni israeliane che hanno causato morti e feriti dall’inizio del cessate il fuoco”.

Sabato scorso il segretario generale di Hezbollah Naim Qassem aveva ammonito che se lo Stato libanese non fosse riuscito a ottenere risultati attraverso la diplomazia contro le violazioni israeliane, sarebbero state prese in considerazione “altre opzioni”.

Intanto a Gaza, l’ offensiva di Israele ha ucciso almeno 322 bambini e ferito altri 609 negli ultimi 10 giorni, secondo l’agenzia dell’Onu per l’infanzia, Unicef. Le cifre includono i bambini che sono stati uccisi o feriti quando il reparto chirurgico dell’ospedale Al Nasser, nel sud di Gaza, è stato colpito da un attacco israeliano lo scorso 23 marzo. La maggior parte di questi bambini – aggiunge l’Unicef – erano sfollati e si erano rifugiati in tende di fortuna o in case danneggiate. In quasi 18 mesi di guerra, denuncia l’Unicef, almeno 15.000 bambini di Gaza sono stati uccisi, oltre 34.000 feriti e quasi un milione sono stati ripetutamente sfollati e privati dei servizi di base. L’agenzia dell’Onu chiede inoltre che Israele ponga fine al divieto di ingresso degli aiuti umanitari a Gaza che attua dal 2 marzo.

Intanto il Palestinian Journalists Protection Committee (PJPC) piange il giornalista Mohammad Al-Bardawil, 39 anni, ucciso insieme alla moglie e ai tre figli in un attacco aereo israeliano sulla loro casa a Khan Younis, nel sud di Gaza. Al-Bardawil, aveva lavorato con Al-Aqsa Radio per oltre 15 anni. È il quarto giornalista ucciso da quando è ripresa l’offensiva israeliana il 18 marzo. Il PJPC segnala che circa 209 giornalisti sono stati uccisi a Gaza dal 7 ottobre.

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