Siccome per quasi vent’anni gente come Alfano, Ghedini, Mastella e Cicchitto se ne è riempita la bocca, ormai le parole “riforma della giustizia” suonano alle nostre orecchie come una bestemmia. Eppure è innegabile che il nostro sistema giudiziario sia un marchingegno ingolfato,
che rischia sempre più di incepparsi. Ecco perché sarebbe il caso di
intervenire per riaggiustarlo – ora che farlo non significa più
necessariamente distorcerlo – cercando di renderlo non solo più
efficiente, ma anche più economico. Cosa che non guasta mai,
specialmente in questo periodo in cui il professor Monti Mani di Forbice sta effettuando tagli e ritagli alle finanze dei cittadini.
Innanzitutto, dopo decenni di inquinamento acustico al riguardo, è il
caso di liberarci da quest’ansia spasmodica di garantismo: l’Italia è
uno dei Paesi del mondo intero che più garantisce i diritti degli
imputati. È nei confronti delle vittime, semmai, che il sistema
giudiziario lascia a desiderare.
Piuttosto, vero è che abbiamo un numero così spropositato di processi: se in Gran Bretagna si celebrano 300 mila processi penali l’anno, e in Italia 3 milioni,
forse qualcosa non va. Anche perché l’alto numero di processi non si
traduce in un alto numero di condanne. Infatti la popolazione carceraria
inglese è costituita da 100 mila persone, mentre quella italiana appena da 70 mila.
Per quanto riguarda il civile, invece, la situazione avrebbe
dell’esilarante, se non fosse tragica. Ogni anno il numero di cause
civili in Italia è superiore alla somma di quelle avviate in Spagna,
Francia e Gran Bretagna prese tutte insieme. I motivi di una tale
abnorme proliferazione di processi ha evidentemente varie cause, alcune
forse molto profonde da ricercare nella natura eccessivamente litigiosa
dell’Italiano medio. Lo diceva anche Giorgo Gaber, che le discussioni ci
appassionano troppo. Tuttavia, uno dei motivi più concreti di questo
inquietante fenomeno risiede nel numero eccessivo di avvocati. I quali, ovviamente, vivono di processi e quindi hanno tutto l’interesse che se ne facciano sempre di più. Questa analisi è stata svolta nel 2008 anche da Claudio Fancelli che, da presidente della Corte d’Appello di Roma, denunciò che nella sola capitale il numero di avvocati iscritti all’ordine forense era pari a quello dell’intera Francia. “L' abnorme numero di avvocati – disse –
può inconsapevolmente determinare il rischio di un incremento del
ricorso dei cittadini alla giurisdizione e quindi, stante la carenza
strutturale di risorse, di un allungamento dei tempi processuali”. E nel 2011 lo stesso allarme è stato ribadito da Ernesto Lupo, primo Presidente della Cassazione: “In Italia ci sono 332 legali ogni 100 mila abitanti, in Francia 75".
Bisogna quindi cominciare ad intervenire sul sistema universitario,
cercando di limitare il numero di neo-avvocati, che ogni anno sono 15
mila.
C’è poi la questione dei tre gradi di giudizio: siamo
sicuri che siano necessari per forza tutti e tre, e che non si possa
rinunciare al terzo? Anche qui i numeri parlano chiaro. Il confronto con
gli altri stati è impietoso: la Corte Suprema di Cassazione degli Stati
Uniti, dove gli abitanti sono 300 milioni, esegue 120 sentenze in un anno. In Italia, con un quinto della popolazione, ce ne sono 100 mila.
La soluzione sarebbe a portata di mano. C’è un motivo infatti se per
esempio anche in Francia solo il 40% delle sentenze viene impugnato, mentre in Italia la percentuale è prossima al 100%. Questo avviene perché da noi chi ricorre in Appello, o in Cassazione, non rischia niente:
la Corte a cui l’imputato si appella non può aumentare la pena inflitta
nel grado di giudizio precedente. Al massimo, quindi, chi impugna una
sentenza finisce col vedersela confermata. E se gli va bene la pena
viene anche ridotta.
Inoltre c'è il problema relativo alla mancata riscossione delle sanzioni pecuniarie che la Corte di Cassazione infligge per i cosiddetti “ricorsi inammissibili”. Dei 250 mila euro di multa che ogni giorno vengono comminati, solo il 3%
viene effettivamente incassato. Basterebbe mettere a posto questo
sistema per garantire ogni anno alle casse dello Stato qualcosa come 88 milioni di euro,
magari da reinvestire proprio nella Giustizia. Farlo tra l'altro è
molto più elementare di quanto si possa pensare: basterebbe far pagare
una cauzione a chi esegue l’impugnazione, cosicché nel
caso di inammissibilità quei soldi rimarrebbero automaticamente allo
Stato. E magari si scoraggerebbe anche la tendenza ad impugnare sempre e
comunque, con la logica del “tanto non costa nulla!”.
Altro tema scottante di questo periodo, sul quale una riorganizzazione della Giustizia potrebbe incidere positivamente, è l’evasione fiscale.
Si dice che è complicato scoprirla e anche molto costoso. Tuttavia il
professor Monti, visto che è membro gettonatissimo delle più elitarie
organizzazioni internazionali, saprà benissimo come si comportano gli
altri paesi del mondo per combattere questa piaga che a noi pare
insanabile. In America, ad esempio, non fanno le indagini sulla
corruzione, perché sono troppo difficili. Applicano, invece, il test d’integrità:
la polizia, cioè, manda degli agenti federali sotto copertura ad
offrire denaro e favori illeciti ai dirigenti di partiti ed imprese
appena eletti. Chi sta al gioco e accetta le mazzette, viene arrestato.
Con pene detentive che arrivano anche a 15 anni.
Quelle relative alla giustizia sono riforme a costo zero che
porterebbero nelle casse dissanguate dello Stato parecchi quattrini.
Inoltre garantirebbero, in nome della tanto sbandierata equità, un
sistema giudiziario più efficiente e quindi "giusto": ovvero
che non sia forte coi deboli e debole coi forti, come la manovra
presentata da questo governo, insomma. E visto che si parla tanto di
risparmi, tagli e spese intelligenti, tra una lacrima e un appello
all’impegno nazionale si potrebbe cominciare a riformare la giustizia.
Ma per davvero, questa volta.
Fonte.
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