Berlinguer rilancia la questione morale con
un’intervista destinata a pesare per decenni nel campo della sinistra
italiana: quella rilasciata a Eugenio Scalfari che
compare nel numero di Repubblica del 28 luglio 1981. Il segretario del
Pci denuncia i partiti come “macchine di potere e di clientela”.
Quel giorno Napolitano si trova in Sicilia, e la sua prima reazione è di telefonare al suo compagno e amico Gerardo Chiaromonte:
“Eravamo entrambi sbigottiti – ricorda Napolitano – perché in quella
clamorosa esternazione di Berlinguer coglievamo un’esasperazione
pericolosa come non mai, una sorta di rinuncia a fare politica visto che
non riconoscevamo più alcun interlocutore valido e negavamo che gli
altri partiti, ridotti a ‘macchine di potere e di clientela’,
esprimessero posizioni e programmi con cui potessimo e dovessimo
confrontarci”. Napolitano decide di dare una risposta pubblica a
Berlinguer, ma solamente un mese più tardi, approfittando
dell’anniversario della morte di Togliatti.
La risposta di Napolitano, dunque, esce sull’Unità del
21 agosto. Il leader della destra migliorista, per attaccare Berlinguer,
usa appunto la lezione di Togliatti all’epoca della nascita del
centrosinistra tra Dc e Psi negli anni Sessanta: “’Saper scendere e
muoversi sul terreno riformistico’ anziché pretendere di combattere il
riformismo con ‘pure contrapposizioni verbali’ o ‘vuote invettive’”. Per
Napolitano, gli scandali e la corruzione della Dc di Antonio Gava e
Salvo Lima o del Psi di Bettino Craxi non sono un
ostacolo al riformismo dialogante. È la stessa logica con cui anni più
tardi, da esponente del Pds e poi dei Ds, propugna la linea
dell’inciucio e della collaborazione sulle riforme con il berlusconismo
del Caimano, fatto anche dai vari Previti e Dell’Utri.
Le reazioni all’articolo di Napolitano arrivano nella direzione del Pci
del 10 settembre, dopo la pausa estiva. “Nella relazione introduttiva –
racconta il Capo dello Stato – mi si accusò di aver favorito, con
l’espressione di dissensi ‘ cifrati’, la campagna avversaria su una
contrapposizione nel gruppo dirigente del partito e l’attacco al suo
segretario, di avere impoverito e forzato il pensiero di Togliatti, di
avere indicato il terreno riformistico quando di riformistico non c’era
più nulla nel Psi”. Con Napolitano si schierano Bufalini, il sindaco di
Roma Luigi Petroselli, Chiaro-monte. Per i miglioristi inizia a maturare
l’infamante etichetta non solo di essere platealmente filosocialisti,
ma soprattutto filocraxiani: una specie di male assoluto. Ma la sponda
del Psi, per Napolitano, non è proprio solida.
Ne è la prova, dieci giorni dopo, il 19 settembre, la positiva ma sarcastica intervista di Claudio Martelli,
vicesegretario del Psi di Craxi, al settimanale l’Espresso. I difetti
dell’indole di Napolitano sono analizzati alla perfezione: “Napolitano è
l’uomo dell’eurocomunismo, del dialogo con la Dc, poi con il
capitalismo illuminato, poi col Psi. Se egli – diceva Martelli – sia una
sorta di ‘passator cortese’ del comunismo italiano o la punta di
iceberg di elettori, quadri, amministratori, sindacalisti comunisti in
transizione verso la socialdemocrazia europea è quanto cercheremo di
capire con tutta la simpatia che merita chi porge la mano aperta e non
il pugno chiuso”. Sempre nel 1981, l’ossessione di Napolitano per il
dramma della sinistra divisa si trasferisce da Botteghe Oscure a
Montecitorio: lascia l’organizzazione del partito e viene eletto
capogruppo del Pci alla Camera. Viene sospettato, ancora una volta, di
favorire i socialisti. In un articolo sull’Unità del 4 gennaio 1984 si
difende: “La funzione di una grande forza nazionale come la nostra non
può di norma consistere nel non far passare i provvedimenti del governo,
per quanto da noi negativamente giudicati; non può essere questo il
modo di far valere il nostro potere contrattuale”.
La questione diventa devastante con il decreto legge per la riforma
della scala mobile: Napolitano lavora per migliorarlo, ma il 7 giugno il
suo amico Chiaromonte, che è capogruppo al Senato, annuncia il ricorso
al referendum (che nel 1985 il Pci perderà).
Quella sera Berlinguer parla in un comizio a Padova e si sente male. Muore quattro giorni dopo. Ricorda Emanuele Macaluso sul
Riformista nel 2005: “Napolitano allora era capogruppo alla Camera e
con Formica, capogruppo dei socialisti, aveva trovato un’intesa per
rendere il testo accettabile anche per i comunisti. Intesa che poi venne
mandata all’aria da entrambe le parti. Ma in quel momento Berlinguer
comincia a vedere di cattivo occhio sia Napolitano sia Nilde Iotti,
allora presidente della Camera. A Nilde Iotti sembra
rimproverare di tutelare più il governo che il suo partito, mentre su
Napolitano pesa il sospetto di morbidezza per via della sua nota
contrarietà alla linea scelta in quella fase dal Pci, durante la dura
battaglia parlamentare che precedette il referendum. Da lì in avanti i
rapporti si inasprirono a tal punto che quando Berlinguer morì
Napolitano aveva già in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo.
Una lettera mai recapitata, in quel funesto 7 giugno 1984.
Fonte.
Napolitano è persona assolutamente priva di qualsivoglia moralità, è per questo motivo che la questione sollevata da Berlinguer, per lui non sì è mai posta.
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