Una domenica mattina, anni fa, in un'isola dell'Oceano
Indiano, ho lasciato i miei amici e mi sono incamminato lungo la costa.
Ho superato delle grandi palme che si allungavano sulla spiaggia per
seguire delle voci. Allegre. Venivano da un piccolo villaggio.
Gli abitanti erano vestiti quasi di nulla. Qualche camicetta, dei
pantaloncini, dei cappelli di paglia. Cantavano, qualcuno rideva
esibendo denti bianchissimi. Le case erano capanne, piccole, ma
confortevoli. C'era un rivo di acqua trasparente con pesci e perioftalmi,
i pesci che camminano, che ho visto solo lì. Mi guardavano
indifferenti, sia loro che gli indigeni. Avranno pensato che fossi un
miserabile, loro avevano tutto e io dovevo guadagnarmi ogni cosa con la
schiavitù del lavoro. Un ragazzo mi si è avvicinato e mi ha offerto una noce di cocco. E allora mi sono sentito povero come mai prima. Non è stata una bella sensazione. Che cosa stavo facendo della mia vita?
La
paura di diventare indigenti è oggi palpabile, nell'aria. Le persone
sono terrorizzate dall'idea di perdere il lavoro e quello, poco o tanto,
che hanno accumulato. La miseria come riporta il vocabolario è "capace di pregiudicare seriamente la dignità morale e sociale di un individuo", ma miserabile vuol dire soprattutto "sentirsi miserabile".
Nessuno può farti sentire miserabile senza il tuo permesso. La civiltà
dei consumi ha creato il nuovo miserabile, colui che non può accedere ai
consumi. Più consumi, meno sei miserabile, più sei invidiato. Qualcuno
la chiama evoluzione, altri progresso. Il PIL guida le decisioni dei
governi, non la ricerca della felicità. La rinuncia a un bene inutile è
un atto rivoluzionario. Se le masse ne prendessero coscienza, il mondo cambierebbe senza un solo colpo di fucile.
Negli
anni 50 i nostri fiumi erano chiari e pescosi, l'aria decente,i prati
circondavano le città. Si viveva con poco, con semplicità, si andava in
vacanza dai parenti in treno, magari in terza classe con le panchine di
legno, ma il treno era puntuale, pulito e i passeggeri cortesi. La crisi
può diventare un ritorno al passato, un momento di ripensamento delle
nostre priorità e dei nostri bisogni. Una decostruzione e ricostruzione
di un mondo nuovo dove nessuno possa sentirsi miserabile. Se per Napoleone
la rivoluzione era un'opinione appoggiata dalle baionette, oggi la
rivoluzione è un'opinione appoggiata sulla spesa. C'è qualcuno che può
prestarmi 20 euro? Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi
neppure.
Fonte.
Com'è che ultimamente tutti ripetiamo la stessa cosa?
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