Tra
il suicidio assistito del povero Lucio Magri e quello di Pierluigi
Bersani la differenza non sta solo nel fatto che il primo è stato,
purtroppo, un evento reale mentre il secondo fa parte di una di quelle
metafore efficaci per comprendere la vita politica. Esiste infatti un
fine vita colmo di senso della dignità che è restituito dalla dimensione
del tragico, ed è il caso di Magri, e uno, e in questo Bersani è
maestro, in cui prevale il patetico.
E’
un peccato che una dichiarazione del segretario del PD di quest’estate
non sia entrata tra i cult della comunicazione politica che finiscono
su youtube. A inizio luglio, mentre cominciava la tracimazione del
debito pubblico e lo sgretolamento della borsa di Milano, un Bersani
versione battagliera si faceva intervistare dal consueto microfono
amico. “Noi non ci faremo mettere in ginocchio dalla speculazione”,
affermava Bersani con il tono fuori contesto del cliente del mercato
all’ingrosso delle carni , “siamo un grande paese”. Ci mancava
stringesse i pugni per mostrare la grinta, come avrà visto fare nei
manifesti dei raduni di boxe o del circo dei primi anni ‘60 nella
provincia piacentina dove è nato, e lo spettacolo avrebbe potuto dirsi
completo. Il segretario si apprestava così a votare una finanziaria
patriottica, benedetta da uno dei personaggi meno chiacchierati e più
pericolosi della storia della repubblica ovvero Napolitano, assieme al
centrodestra di Berlusconi. La storia, come sappiamo, sa essere
impietosa con i personaggi improvvisati. E infatti, non solo poche
ore dopo la finanziaria patriottica votata da Bersani, il grande paese
si è fatto mettere in ginocchio, ma ad agosto era già commissariato da Ue, Bce, Germania e Francia, mancava giusto l’Uefa, mentre oggi il Pd
si appresta in questi giorni a votare di fatto la quarta finanziaria
dettata da Francoforte in cinque mesi. Un tempo si sarebbe detto che è
stato fatto un’errore di analisi sulla fase. Ma il Pd è un partito che
l’analisi l’ha esternalizzata a consulenti, esperti di marketing,
giuslavoristi, insomma a chiunque rappresenti il mondo del nuovo
liberismo. Il suo problema è stare dentro la fase a prescindere dal
senso e dai danni che può, con questo comportamento, combinare ad un
paese.
D’altronde cosa ci si può
attendere da un uomo, che nel bel mezzo della prima crisi del governo
Berlusconi, estate 2010, propone pubblicamente l’uomo più odiato dai
suoi elettori, Giulio Tremonti, come presidente del consiglio? O da un
ex ministro economico che, quando la crisi era già grave e sistemica,
duettava con Tremonti in televisione dicendo che “l’Italia ha bisogno
di sollievo, un mezzo punto di pil in più”? Lo stesso senso di chiedere
l’esposizione di bandiere nazionali negli uffici pubblici durante la
grande depressione americana, insomma.
Il bello è che l’assenza di significato dei discorsi pubblici di Bersani è talmente marcata che nessuno ne ricorda più né la sequenza logica né quella temporale. Nemmeno i suoi avversari interni hanno evidenziato il fatto che, fino al richiamo all’ordine di Napolitano a inizio novembre, Bersani ha insistito a lungo, dopo un’epopea di correzioni di rotta insignificanti quindi impercettibili, con le elezioni immediate per “dare aria nuova al paese”. E’ finita con l’appoggio ad un governo, candidato a impoverire il paese in nome del rigore dei conti e dei profitti a breve sia economici che finanziari, dove i tre segretari maggiori che lo sostengono si riuniscono clandestinamente negando di essersi visti.
Il bello è che l’assenza di significato dei discorsi pubblici di Bersani è talmente marcata che nessuno ne ricorda più né la sequenza logica né quella temporale. Nemmeno i suoi avversari interni hanno evidenziato il fatto che, fino al richiamo all’ordine di Napolitano a inizio novembre, Bersani ha insistito a lungo, dopo un’epopea di correzioni di rotta insignificanti quindi impercettibili, con le elezioni immediate per “dare aria nuova al paese”. E’ finita con l’appoggio ad un governo, candidato a impoverire il paese in nome del rigore dei conti e dei profitti a breve sia economici che finanziari, dove i tre segretari maggiori che lo sostengono si riuniscono clandestinamente negando di essersi visti.
Quanto
alla visione della politica economica, Bersani neanche riesce a stare
al passo con il nuovo liberismo. I suoi discorsi parlano di un paese,
tutto ricavato dall’esperienza emiliana (ma dei primi anni ’80), fatto
di padroncini, piccole e medie imprese e rapporto organico tra
imprenditore e lavoratore. Una sorta di piccolo mondo antico col marchio
coop la cui assenza di realtà, evidentemente, non deve causare un gran
problema. E che dire del fatto che non si ricorda di Bersani, in un
certo senso meno male, un discorso significativo in politica estera? In
un momento in cui accettare la politica economica e fiscale proposta
dalla Germania o meno, ne va del destino di un paio di generazioni di
questo paese, il silenzio di Bersani su questi temi ha dell’incredibile.
Perché non fa arrabbiare, l’uomo è talmente sproporzionato rispetto al
compito che viene solo da sorridere. Esprime un patetico che lascia
allibiti piuttosto che scatenare il naturale risentimento verso le
nullità pretenziose che causano danni.
Il
bello è che, rispetto a una assenza di stategia, Bersani si
caratterizza per essersi incartato nella tattica. Il PD è completamente
nelle mani di Casini. Un risultato a suo modo storico: un partito che
nei sondaggi è vicino al trenta per cento subordinato a uno che
arriverebbe a malapena all’otto. Che la rincorsa al centro da parte del
PD fosse conclamata lo sapevamo. Meno che questa rincorsa si risolvesse
nella resa incondizionata. Adesso il PD si trova nella classica
situazione politica di chi rischia davvero di perdere, forse tutto,
qualsiasi cosa accada. Se il governo Monti funziona, salvando le classi
dirigenti del paese e affossando la popolazione, per il PD il bagno di
sangue alle prime elezioni è assicurato. Se il governo Monti non
funziona il PD diviene inaffidabile per le classi dirigenti che spera di
rappresentare. E dopo politiche che si faranno comunque sentire nel
profondo della società causando una perdita, ci auguriamo irreversibile,
di voti per il partito democratico.
Non resta che sperare nell’imponderabile, niente male per un partito fatto di amministratori che si vogliono pragmatici e concreti. Ma quando da questo partito si nominano dei numeri due come Penati, travolto da una spirale di scandali sulle tangenti, si comprende come un segretario simile sia emerso come interfaccia televisiva di un verminaio.
Non resta che sperare nell’imponderabile, niente male per un partito fatto di amministratori che si vogliono pragmatici e concreti. Ma quando da questo partito si nominano dei numeri due come Penati, travolto da una spirale di scandali sulle tangenti, si comprende come un segretario simile sia emerso come interfaccia televisiva di un verminaio.
Bisogna
dire però che Bersani rappresenta lo zoccolo duro del suo elettorato
con naturale simmetria. Entrambi riflettono un’Italia minima, a
prescindere dal reddito e dalla fascia sociale in cui si colloca,
inespressiva e convinta che i propri piccoli, grezzi calcoli coincidano
addiritttura con la realtà e la concretezza. Un’Italia oltretutto
credulona che si nutre dei miti, l’”Europa”, il “mercato”, il “senso
delle istituzioni”, tipici di una provincia disorientata da cose che le
sembrano più grandi e terribili di lei. Ma si tratta di una Italia
pericolosa che non esita a pronunciare la parola “sacrifici” senza
indietreggiare di fronte alla crudezza, sempre meno simbolica, del
significato di questa parola . E’ gente che, concettualmente parlando,
fa ridere ma che non batterebbe ciglio se il mitico giudizio dei mercati
gli chiedesse di mettere scaglioni di pensionati dentro i vagoni
piombati.
Il suicidio assistito, da
Napolitano, di Pierluigi Bersani può però trascinare nell'oblio non
tanto un segretario di un partito mai nato ma anche quadri ed
elettorato. Vengono a mente, per senso del contrasto, le parole che un
ex iscritto del Pdup ha scritto in memoria di Lucio Magri:
“caro segretario, un ultimo abbraccio. E’ stato un onore poterti seguire in tante battaglie politiche”.
Statene certi che quando arriverà il fine vita di Bersani nessuno scriverà parole simili. Perché il PD non ha mai combattuto una battaglia politica, sbagliata o centrata, per l’emancipazione delle masse di questo paese. Piuttosto una lunga guerra silenziosa, velenosa contro la popolazione italiana e i suoi stessi nessi di riproduzione materiale. In nome di una adesione al mercato e al potere, pallida quanto letale.
Si possono combattere battaglie politiche non condivisibili, almeno per chi scrive, come Magri. Ma è il modo come si conducono, persino quello in cui si muore, che rende un’esistenza veramente degna di essere vissuta. La parabola esistenziale di Bersani coincide invece con quella di un'italietta di non viventi, demograficamente rappresentata nel PD, che alle prese con problemi epocali liquida sé stessa e un paese. Nel culmine di un suicidio politico che non farà nemmeno spettacolo. E, visto il saldo legame tra politica istituzionale e società dello spettacolo, questo rappresenta il culmine dell’assenza di qualità. La speranza è che il nulla li travolga senza che li ricordi nessuno. Per certa gente basta la sentinella dello storico, poche pagine scarne che fanno scomparire nell’oblio nomi e vicende non necessarie, per il PD quasi tutto, e poi c’è solo la cenere.
“caro segretario, un ultimo abbraccio. E’ stato un onore poterti seguire in tante battaglie politiche”.
Statene certi che quando arriverà il fine vita di Bersani nessuno scriverà parole simili. Perché il PD non ha mai combattuto una battaglia politica, sbagliata o centrata, per l’emancipazione delle masse di questo paese. Piuttosto una lunga guerra silenziosa, velenosa contro la popolazione italiana e i suoi stessi nessi di riproduzione materiale. In nome di una adesione al mercato e al potere, pallida quanto letale.
Si possono combattere battaglie politiche non condivisibili, almeno per chi scrive, come Magri. Ma è il modo come si conducono, persino quello in cui si muore, che rende un’esistenza veramente degna di essere vissuta. La parabola esistenziale di Bersani coincide invece con quella di un'italietta di non viventi, demograficamente rappresentata nel PD, che alle prese con problemi epocali liquida sé stessa e un paese. Nel culmine di un suicidio politico che non farà nemmeno spettacolo. E, visto il saldo legame tra politica istituzionale e società dello spettacolo, questo rappresenta il culmine dell’assenza di qualità. La speranza è che il nulla li travolga senza che li ricordi nessuno. Per certa gente basta la sentinella dello storico, poche pagine scarne che fanno scomparire nell’oblio nomi e vicende non necessarie, per il PD quasi tutto, e poi c’è solo la cenere.
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