Abbiamo chiesto a Stefano Squarcina,
funzionario europarlamentare della Sinistra Unita Europea, un commento
all'accordo faticosamente raggiunto a Bruxelles per la creazione di
un'unione fiscale europea.
Qual è il significato politico di questo nuovo patto?
L'accordo di Bruxelles sancisce la nascita di una nuova Europa basata sull'austerità e sul rigore di bilancio. E' il trionfo dell'ideologia economica liberista più conservatrice e antisociale, che da scelta politica viene eretta a norma vincolante, come fosse una necessità oggettiva. Gli Stati rinunciano definitivamente al loro ruolo economico di stimolo alla crescita e allo sviluppo attraverso la sostenibilità del debito pubblico, e quindi attraverso la spesa pubblica, per perseguire un unico obiettivo: il raggiungimento del pareggio di bilancio per mezzo di drastici tagli alla spesa pubblica che ricadono, inevitabilmente, sulle fasce più povere della popolazione europea. E' la sconfitta del sogno di un'Europa sociale e solidale, la vittoria dell'idea di Europa propria delle forze politiche di centrodestra, in particolare del centrodestra tedesco.
Le manovre lacrime e sangue imposte a Grecia e Italia erette a sistema?
I devastanti effetti sociali di queste politiche di austerità devono ancora mostrarsi in tutta la loro brutalità. Politiche che vengono spacciate come tecniche, neutrali, necessarie e ineluttabili, ma non è così. Perché anche ponendosi come obiettivo il pareggio di bilancio, c'è da fare una scelta politica e ideologica su come raggiungerlo: tagliando le pensioni o facendo pagare i ricchi con una patrimoniale? Alla Grecia e all'Italia l'Unione europea ha imposto una scelta ideologica con letterine e commissariamenti. Quando l'unione fiscale entrerà in vigore, questa prassi intrusiva verrà istituzionalizzata nei confronti di tutti i Paesi sottoposti alla cosiddetta 'procedura di deficit eccessivo': la Commissione europea avrà pieni poteri di indirizzo, controllo e sanzione nei confronti dei bilanci statali, deferendo alla Corte europea di giustizia gli Stati che sgarrano.
Quindi un trasferimento di sovranità più forte di quello previsto dal Trattato di Maastricht?
Sì certo, ma il problema, a meno di non essere su posizioni ideologiche nazionaliste, non è la cessione di sovranità di per sé, ma il fatto che essa avvenga a favore di istituzioni sovranazionali caratterizzate da un forte deficit democratico e che impongono politiche rispondenti a un'ideologia ben precisa. Se non saranno più i governi eletti a decidere la politica economica dei singoli Paesi, bensì la Commissione europea che eletta non è, ci troviamo di fronte a un gravissimo problema di controllo democratico. A meno che i cittadini europei non eleggano in futuro la Commissione, o almeno il suo presidente, in maniera tale da poter condizionare le sue decisioni.
L'adesione dei singoli Stati a questa nuova Europa non dovrebbe almeno essere sottoposta a referendum popolari?
Faranno di tutto per evitarlo, nonostante ci siano Paesi come l'Irlanda in cui ogni cessione di sovranità va sottoposta a referendum. Il trattato che dovrebbe essere firmato a marzo sarà intergovernativo e basterà la ratifica del parlamento. Sarà comunque un processo lungo, che vedrà la luce non prima di un anno, un anno e mezzo.
Tempi un po' lunghi per affrontare l'emergenza della crisi, non le pare?
Questo è l'altro grande problema dell'accordo di Bruxelles: a causa dell'insormontabile opposizione tedesca, sono state scartate tutte le misure urgenti che servivano per uscire dalla fase acuta della crisi: niente eurobond, niente misure di rilancio dell'economia, niente tassazione finanziaria. L'unica cosa decisa è lo stanziamento di altri 200 miliardi di euro di aiuti per gli Stati in difficoltà, triangolati attraverso il Fondo monetario internazionale in maniera tale da poter accogliere anche fondi extraeuropei. A tenere a galla i Paesi in crisi nel breve periodo dovrà quindi essere per forza la Bce, continuando a comprare titoli italiani, spagnoli e greci di sottobanco.
Fonte.
Qual è il significato politico di questo nuovo patto?
L'accordo di Bruxelles sancisce la nascita di una nuova Europa basata sull'austerità e sul rigore di bilancio. E' il trionfo dell'ideologia economica liberista più conservatrice e antisociale, che da scelta politica viene eretta a norma vincolante, come fosse una necessità oggettiva. Gli Stati rinunciano definitivamente al loro ruolo economico di stimolo alla crescita e allo sviluppo attraverso la sostenibilità del debito pubblico, e quindi attraverso la spesa pubblica, per perseguire un unico obiettivo: il raggiungimento del pareggio di bilancio per mezzo di drastici tagli alla spesa pubblica che ricadono, inevitabilmente, sulle fasce più povere della popolazione europea. E' la sconfitta del sogno di un'Europa sociale e solidale, la vittoria dell'idea di Europa propria delle forze politiche di centrodestra, in particolare del centrodestra tedesco.
Le manovre lacrime e sangue imposte a Grecia e Italia erette a sistema?
I devastanti effetti sociali di queste politiche di austerità devono ancora mostrarsi in tutta la loro brutalità. Politiche che vengono spacciate come tecniche, neutrali, necessarie e ineluttabili, ma non è così. Perché anche ponendosi come obiettivo il pareggio di bilancio, c'è da fare una scelta politica e ideologica su come raggiungerlo: tagliando le pensioni o facendo pagare i ricchi con una patrimoniale? Alla Grecia e all'Italia l'Unione europea ha imposto una scelta ideologica con letterine e commissariamenti. Quando l'unione fiscale entrerà in vigore, questa prassi intrusiva verrà istituzionalizzata nei confronti di tutti i Paesi sottoposti alla cosiddetta 'procedura di deficit eccessivo': la Commissione europea avrà pieni poteri di indirizzo, controllo e sanzione nei confronti dei bilanci statali, deferendo alla Corte europea di giustizia gli Stati che sgarrano.
Quindi un trasferimento di sovranità più forte di quello previsto dal Trattato di Maastricht?
Sì certo, ma il problema, a meno di non essere su posizioni ideologiche nazionaliste, non è la cessione di sovranità di per sé, ma il fatto che essa avvenga a favore di istituzioni sovranazionali caratterizzate da un forte deficit democratico e che impongono politiche rispondenti a un'ideologia ben precisa. Se non saranno più i governi eletti a decidere la politica economica dei singoli Paesi, bensì la Commissione europea che eletta non è, ci troviamo di fronte a un gravissimo problema di controllo democratico. A meno che i cittadini europei non eleggano in futuro la Commissione, o almeno il suo presidente, in maniera tale da poter condizionare le sue decisioni.
L'adesione dei singoli Stati a questa nuova Europa non dovrebbe almeno essere sottoposta a referendum popolari?
Faranno di tutto per evitarlo, nonostante ci siano Paesi come l'Irlanda in cui ogni cessione di sovranità va sottoposta a referendum. Il trattato che dovrebbe essere firmato a marzo sarà intergovernativo e basterà la ratifica del parlamento. Sarà comunque un processo lungo, che vedrà la luce non prima di un anno, un anno e mezzo.
Tempi un po' lunghi per affrontare l'emergenza della crisi, non le pare?
Questo è l'altro grande problema dell'accordo di Bruxelles: a causa dell'insormontabile opposizione tedesca, sono state scartate tutte le misure urgenti che servivano per uscire dalla fase acuta della crisi: niente eurobond, niente misure di rilancio dell'economia, niente tassazione finanziaria. L'unica cosa decisa è lo stanziamento di altri 200 miliardi di euro di aiuti per gli Stati in difficoltà, triangolati attraverso il Fondo monetario internazionale in maniera tale da poter accogliere anche fondi extraeuropei. A tenere a galla i Paesi in crisi nel breve periodo dovrà quindi essere per forza la Bce, continuando a comprare titoli italiani, spagnoli e greci di sottobanco.
Fonte.
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