Un Kim dopo Kim. Dopo la morte di Kim Jong Il, il suo terzogenito Kim Jong Un dovrebbe prendere il suo posto, ma la transizione non appare semplice.
Facciamo un bilancio dei 17 anni di leadership del defunto “caro leader” e ipotizziamo qualche scenario futuro con Rosella Ideo, coreanista ed esperta di Asia orientale.
Chi era Kim Jong Il?
Diventa delfino del padre, Kim Il Sung, con un lungo processo di
successione, durato circa quindici anni: un passaggio di consegne
preparato facendo piazza pulita di tutti gli ostacoli alla sua scalata
al potere. Kim Il Sung muore nel 1994, dopo un “regno” di trentadue
anni. Era stato uno dei leader più amati del Novecento: aveva creato lo
Stato nordcoreano su basi di eguaglianza, una cosa che in Corea non si
era mai vista. Negli ultimi dieci anni della sua vita, c’era stata una
diarchia di fatto, in cui padre e figlio lavoravano a stretto contatto.
Quando il potere passa a Kim Jong Il nel 1994, la situazione politica è
sostanzialmente stabile, mentre quella economica e sociale è invece
molto grave, tant’è che nel 1995 scoppia una carestia che inaugura in un
certo senso il nuovo “regno” e che colpisce un Paese di fatto
industrializzato e con un alto livello di scolarizzazione.
Nel frattempo c’è anche la prima crisi nucleare, che viene ricomposta
ancora dal vecchio Kim e da Jimmy Carter, con accordi informali ma
precisi che verranno poi rispettati dalla presidenza Clinton.
Kim Jong Il non riesce però a gestire l’emergenza economica. La sua
preoccupazione principale diventa allora quella di consolidare il potere
della propria famiglia all’interno, tenendo alta l’allerta
internazionale. Questa strategia, che dura anche negli anni delle due
amministrazioni Bush, punta paradossalmente a garantirsi proprio
l’appoggio degli Stati Uniti, attraverso una pace bilaterale sulla testa
di Seul. Con l’arrivo di Obama, il “Caro Leader” capisce che questa
strategia non ha funzionato.
All’attivo di Kim Jong Il non c’è molto, se non il successo nel
mantenersi al potere e nel conservare intatte le strutture fondamentali
dello Stato nordcoreano, progettato dal padre.
In Occidente circolano voci che Kim potrebbe essere morto per
cause non naturali. Si parla per esempio di un interesse di alcuni
ambienti militari a una sua uscita di scena per forzare la mano verso le
riforme. È plausibile?
Non lo ritengo probabile. Era molto malato dai tempi dell’ictus del
2008, che lo aveva fatto sparire dalla circolazione per tre mesi. La sua
sorte era segnata. Le voci circolano come in tutti i casi in cui c’è un
regime di cui si sa poco o nulla. Di fatto, potrebbe essere
tranquillamente morto per un secondo ictus. Va detto che era
nell’interesse di tutti che lui vivesse, garantendo una situazione tutto
sommato stabile.
Cosa succede adesso?
Le incognite sono molte. Dobbiamo vedere le prossime mosse delle forze
armate. L’erede è giovane, il processo di successione è incompleto,
perché Kim Jong Un è stato nominato delfino solo un anno fa. È un
personaggio di cui si sa poco, perfino l’età anagrafica è controversa:
27 o 28 anni? Si sa solo che ha studiato in Svizzera.
L’anno prossimo, nel 2012, ricorre il centenario della nascita di Kim Il
Sung. Sarà un evento importantissimo per cui lo stesso Kim Jong Il
stava preparando festeggiamenti imponenti. Vedremo in che condizioni ci
arriveremo, per il momento è necessario tenere d’occhio le forze armate e
il tutore, il mentore di Kim Jong Un, cioè suo zio Jang Song Taek: è
vicepresidente della commissione nazionale di Difesa – il cui presidente
era il defunto Kim – quindi figura potentissima. Seguirà le volontà di
Kin Jong Il? Agirà in proprio, per il potere personale, o sarà un fedele
tutore del giovane senza esperienza? Si aggiunga anche che in un Paese
confuciano come la Corea del Nord, ci sono preclusioni verso la
leadership incarnata da un giovane. E le forze armate, da parte loro,
manifesteranno una fedeltà personale a Jang Song Taek oppure
continueranno a essere fedeli alla dinastia del Kim, che negli ultimi
anni non ha garantito un livello di sussistenza neppure minimo ai
nordcoreani? Ci sarà un “si salvi chi può”? Tutto è possibile.
Una soluzione “alla cinese” è all’orizzonte? Qual è oggi lo stato dei rapporti tra Corea del Nord e Cina?
Negli ultimi anni, la Cina è stata l’unico puntello diplomatico della
Corea del Nord, nonché l’unico Paese che l’ha aiutata concretamente
attraverso la fornitura di materie prime, soprattutto petrolio. Da
questa posizione, Pechino ha sempre cercato di spingere Kim Jong Il in
direzione di riforme “alla cinese”: non c’è mai riuscita. Nelle poche
visite che Kim ha fatto in Cina, è sempre stato portato a visitare poli
industriali, Zone Economiche Speciali, affinché si rendesse conto della
necessità di avviare riforme verso la modernizzazione. La Cina ha fatto
anche investimenti in Corea: nel 2009, Wen Jiabao ha visitato il Paese
per confermare i legami e per spingere il Paese verso riforme
strutturali.
I rapporti con la Cina sono molto buoni, perché i cinesi a differenza
degli americani sono sempre stati molto vicini ai nordcoreani. Hanno
sempre usato un linguaggio diplomatico felpato sia verso il Paese sia
verso Kim Jong Il. È una vicinanza “intelligente”, perché ha anche
permesso alla Cina di comprendere i reali equilibri di potere
all’interno della leadership nordcoreana. Per Pechino, non ne ha mai
fatto mistero, c’è anche un chiarissimo interesse nazionale, perché la
destabilizzazione della Corea del Nord sarebbe un problema enorme:
milioni di profughi passerebbero il confine tra i due Paesi,
destabilizzando le regioni nord-orientali della Cina, dove vive tra
l’altro una fortissima minoranza coreana. Anche la Corea del Sud ha gli
stessi problemi. Quindi sia Pechino sia Seul monitorano con attenzione
la situazione nordcoreana.
Fonte.
La brevissima disamina del trentennio di Kim Il Sung è per me un fulmine e ciel sereno. Maledetta ignoranza!
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