Appena inizio a leggere faccio un salto sulla sedia: "Vanessa, 26 anni è una delle «vittime» della crisi greca. Ma questo termine non le piace. «La responsabilità di questa situazione sono collettive. Noi tutti abbiamo colpe.
Noi che abbiamo accettato corruzione per trovare un posto di lavoro.
Noi che abbiamo chiuso gli occhi davanti all'evasione costante. Noi che
abbiamo usufruito di un sistema che era chiaro ci avrebbe portato a
ripiegarci su noi stessi»." Ecco il nuovo premio Nobel per l'economia,
penso. Poi però vado avanti.
"Il suo è un lungo curriculum con stage ed esperienze di lavoro
all'estero (...) Da sei mesi cerca disperatamente una maniera per
andarsene. «E non tornare più. Odio il mio Paese. Lo odio per quello che ci ha fatto. Per averci distrutto le speranze di un futuro»."
Allora penso che no, non la possiamo candidare per il Nobel. Però va
citata, perché d'un fiato, in un unico discorso che sembra lo sfogo da
un terapeuta, Vanessa ci rappresenta perfettamente.
"«Non usciamo più tutte le sere. C'era un tempo in cui potevamo
permetterci di andare a mangiare al ristorante. Bere nei locali. Ora non
è più possibile». E quando lo fanno «stiamo molto attenti a quanto
beviamo, cosa mangiamo»." Beh, cara Vanessa, benvenuta nella realtà. La nostra. La tua.
Una notizia: era così anche prima, solo che tu non volevi ammetterlo. E
ora cadi da più in alto. Ma non voglio sentire il tuo lamento.
Siamo così, un po' "piove governo ladro" un po' sinceri. Un po' "che
mondo lasceremo ai nostri figli" e un po' "che figli lasceremo al nostro
mondo". Insomma Vanessa, se la colpa è tua, perché odi il tuo Paese? E il Paese non dovrebbe odiare anche te? Non eri tu a drogarne l'economia uscendo tutte le sere, e facendo finta di vivere in un Paese ricco?
Vanessa deve stare attenta a quello che beve, adesso. E non può più uscire per ristoranti tutte le sere. Forse andava fatto già prima, da tempo, cercando uno schema di vita migliore, meno dispendioso.
Smettere di fare una cosa sbagliata è importante, ma vale meno se si
smette per impotenza. Le cose giuste non si fanno per forza. Si
scelgono.
Vanessa, forse per brevità giornalistica, non ci dice niente della necessità di consumare meno, lavorare meno, spendere meno, generare meno rifiuti,
tenere le lampadine spente quando non servono, smettere di spendere lo
stipendio semestrale di un etiope in una cena soltanto, rinunciare a
crescere sempre. Non ce lo dice perché se non ci fosse stata la crisi
lei sarebbe stata ben felice di lavorare come un treno, uscire tutte le
sere, godere della vista luminosa della sua città piena di lampade
accese fino all'alba. Eppure era partita bene: "la colpa è anche
nostra". Io direi soprattutto nostra.
Cogliamo l'occasione. Cogliamola! Vanessa svegliati,
impara a fare da mangiare! Ora dobbiamo farlo per forza di
ridimensionare le nostre abitudini. Ma mentre lo facciamo, cerchiamo di
capire. Non è anormale vivere sobriamente. Lo era non
farlo. Per due ragioni: la prima è che non si poteva e abbiamo fatto
finta di sì. La seconda è che non serviva ad essere felici. Quando si
sbaglia bisognerebbe capirlo. Per non perseverare. Se oggi i fiumi di
denaro virtuale ricominciassero per magia a scorrere, quanti vivrebbero
come hanno sempre vissuto? Quanti coglierebbero l'occasione di questa
crisi per cambiare vita?
Fonte.
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