Nel marzo 2005, in piena era neo-conservatrice,
l'Amministrazione degli Stati Uniti e le Forze armate americane
stilarono la nuova dottrina nucleare denominata DJNO (Doctrine for Joint
Nuclear Operations) che dettava le regole di ingaggio per l'uso degli
armamenti atomici in uno scenario bellico circoscritto o in caso di
aggressione asimmetrica da parte di entità nemiche.
Conseguente
alla linea di condotta delineata con la "guerra preventiva", gli
armamenti nucleari, intesi durante la guerra fredda quasi unicamente
nella loro funzione di deterrente e come difesa contro eventuali
attacchi atomici nemici massivi, in quella che si prospettava come MAD
(Mutual Assured Destruction), divenivano in quel frangente esplicite
armi tattiche.
Si leggeva nel documento: «È
essenziale che le forze armate statunitensi si preparino all'uso di armi
atomiche, e che siano determinate ad impiegarle se ciò è necessario per
prevenire o per reagire all'uso di armi di distruzione di massa».
Dunque anche la semplice previsione che un eventuale nemico potesse
utilizzare armi di distruzione massa giustificava l'utilizzo di armi
atomiche a scopo preventivo.
Un altro cambiamento
strutturale era relativo alla decisione operativa sull'utilizzo di tali
armi. Mentre precedentemente tale prerogativa era esclusivo appannaggio
del Presidente, da quel momento la decisione ultima spettava ai
comandanti militari sul campo. Il Presidente, in caso di crisi bellica,
si sarebbe limitato a fornire un via libera a priori, consentendo
l'utilizzo di tutti gli armamenti, convenzionali e non, ad appannaggio
della cosiddetta "cassetta degli attrezzi" di cui dispone ogni
comandante. A costui, che in ultima analisi potrebbe essere anche un
generale di brigata, spetterà la decisione discrezionale sull'utilizzo
degli armamenti più appropriati determinati dallo scenario di guerra,
comprese le testate atomiche in sua dotazione.
Questa
discrezionalità era anche figlia delle innovazioni tecnologiche che
avevano portato alla definizione di piccole testate nucleari, cosiddette
mini-nukes, con caratteristiche di estrema flessibilità nell'utilizzo
e, a detta dei vertici militari, «sicure per la popolazione civile». Il
tipo di scenario previsto si attagliava perfettamente ad una possibile
crisi tra Stati Uniti e Iran.
All'inizio di aprile
2010, Barack Obama ha inaugurato un nuovo corso con un documento di 80
pagine (Nuclear Posture Review), stilato con il segretario della Difesa
Robert Gates, il segretario di Stato Hillary Clinton, il capo di stato
maggiore Michael Mullen, il segretario dell'Energia Steven Chou, che ha
parzialmente rivoluzionato la dottrina strategica americana sul nucleare
militare, prevista da George W. Bush, prevedendo la restrizione delle
condizioni nelle quali sarebbe ammesso l'uso dell'atomica.
Da
quel momento gli Stati Uniti si sono impegnati unilateralmente (come
del resto era unilaterale la precedente dottrina) a non utilizzare mai
l'arma nucleare contro un avversario che non la possieda e che rispetti
il Trattato di Non-proliferazione, ma, aveva precisato Obama al "New
York Times", «gli Stati come Iran e Corea del Nord sono esclusi da
questa nuova regola».
Allo stesso modo gli
americani non avrebbero risposto col nucleare ad attacchi chimici,
battereologici, cibernetici, purché non si trattasse di minacce dalla
portata «devastante». Ed in ogni caso si «continueranno a preservare
tutti gli strumenti necessari a garantire la sicurezza del popolo
americano».
In previsione di un 2030 senza armi
atomiche, Obama era quindi giunto ad un accordo, a conclusione di sei
mesi di serrate trattative, per una nuova edizione del Trattato START
con l'altra grande potenza atomica globale, la Russia. Il testo,
ratificato a Praga l'8 aprile 2010 dallo stesso presidente Obama e
dall'omologo Dimitri Medvedev (poi approvato dal Congresso americano a
fine anno), prevede una riduzione di circa il 30% delle ogive detenute
dai due paesi, da 2.200 a 1.500. Il numero di vettori (missili
intercontinentali e a bordo di sommergibili e bombardieri) sarà ridotto
della metà, da1.600 a 800. L'accordo prevede inoltre rispettive
verifiche sul posto delle installazioni nucleari, scambi di dati,
reciproche notifiche sugli armamenti offensivi.
***
Per
un paese come gli Stati Uniti, l'architettura giuridica nazionale ed
internazionale sull'uso delle armi atomiche, o più in generale sul tema
della guerra, è altrettanto importante quanto la costruzione di un
immaginario emotivo per la popolazione.
I legami
tra la filmografia popolare americana e i sentimenti patriottici sono
sempre esistiti, ma a ridosso e dopo l'11 settembre questi rapporti sono
sembrati entrare in una fase evoluta e complessa. Nel periodo classico,
infatti, i film di guerra prodotti a Hollywood avevano soprattutto un
carattere celebrativo, e durante gli anni reaganiani i produttori
sembravano piuttosto odorare il vento e di conseguenza sfornare film e
personaggi che accompagnassero le tendenze della politica e della
società. Per fare un esempio ci si può riferire al Rambo di Sylvester
Stallone, che, da reduce del Vietnam disadattato ed emarginato del primo
episodio, diventa un autentico freedom fighter nei successivi sequel.
Negli
anni immediatamente successivi all'11 settembre, il film di guerra
tornava prepotentemente di moda, tanto da rappresentare 1/3 della
produzione totale. E non erano più i film di guerra classici, di
denuncia o meno, ma comunque pellicole con intenti di ricostruzione
storica o sociale, dai classicissimi Il giorno più lungo sullo sbarco in
Normandia, al corrosivo Il dottor Stranamore di Kubrik, fino ad
Apocalypse Now o Platoon sulla tragedia del Vietnam. I nuovi film
sembravano inserirsi in una sorta di progetto sociologico tendente a
creare modelli che lo spettatore americano medio avrebbe ritrovato poi,
con linguaggi del tutto simili, nei telegiornali e nelle corrispondenze
degli inviati nelle guerre vere. Attraverso quello strumento
potentissimo che è la narrazione emotiva, si potevano ingenerare nella
psicologia dello spettatore paure, desideri di rivalsa e vendetta,
accettazione di schemi culturali.
Non è quindi un
caso che in questi film di nuova generazione, a cavallo dell'anno 2000,
si mescoli guerra e terrorismo e che gli Stati Uniti siano costantemente
sotto la minaccia catastrofica da parte di gruppi terroristici, magari
con l'uso di armi nucleari.
Nel film Broken Arrow
(1996) un ufficiale corrotto dell'aviazione (John Travolta) ruba delle
bombe atomiche per rivenderle sul mercato nero e ne fa esplodere una
come ammonimento; per The Peacemaker (1997) con George Clooney e Nicole
Kidman, l'ambientazione è New York e il terrorista che cerca di far
esplodere nel centro della città un ordigno atomico, acquistato ancora
sul mercato nero, è un serbo; in Attacco al potere (1998), invece,
Denzel Washington è un funzionario dell'FBI che sventa la minaccia
portata contro New York da terroristi arabi. Molto interessante in
questa pellicola è la risposta data dal potere, personificato da un
generale col volto di Bruce Willis, che, contro una campagna di terrore,
decide di sospendere i diritti civili della popolazione in una sorta di
annuncio del Patriot Act post 11 settembre; in The sum of all fears
(titolo particolarmente evocativo, approssimativamente tradotto in
italiano con Al vertice della tensione) un film Paramount del 2002
tratto da un romanzo di Tom Clancy, con Ben Affleck e Morgan Freeman, i
terroristi fanno esplodere una bomba nucleare per uccidere il presidente
degli Stati Uniti e provocare un conflitto con la Russia. La pellicola,
di grande successo popolare negli Usa, diventò anche l'ambientazione
per un videogame, con una penetrante capacità educativa che non si
limitava alle due ore della visione ma diventava addirittura un compagno
di gioco per i ragazzi.
Una bomba atomica può
essere anche un amico. In Armageddon, del 1998, film del filone
catastrofista con i soliti muscolari Bruce Willis e Ben Affleck, sarà
proprio un ordigno nucleare a distruggere il meteorite che minaccia di
cancellare la vita sulla terra.
La familiarità del
pubblico americano con l'uso delle testate atomiche procede nell'ultimo
decennio attraverso le serie televisive di maggior successo, quelle che
entrano direttamente nelle case degli americani. Nella celebre serie
24, in onda sulla emittente Fox dal 2001, le prime stagioni ruotano
attorno al tentativo dell'agente federale Jack Bauer (Kiefer Sutherland)
di salvare Los Angeles dallo scoppio di una bomba atomica; in Jericho,
prodotto dalla CBS, si narrano le vicende post-apocalittiche di una
immaginaria cittadina della provincia americana dopo che le maggiori
città del paese sono state rase al suolo da attacchi atomici; anche in
Lost (ancora della Fox), probabilmente il serial più famoso del
decennio, si viene a scoprire che le surreali alterazioni
spazio-temporali vissute dai protagonisti sono state provocate dallo
scoppio di un ordigno nucleare.
È possibile trarre
un significato profondo da tutte queste tendenze? Sicuramente si è
instillato nel pubblico americano un terrore che si è materializzato
come in un incubo l'11 settembre, allorché la più ricorrente
considerazione tra la popolazione a proposito delle immagini di quel
giorno riguardò, appunto, l'immaginario collettivo: «Sembrava un film,
ma stavolta era vero». E da quel momento si faceva sempre più tangibile
la possibilità che il colpo successivo sarebbe stato con un'arma di
distruzione massiva.
La comunicazione politica di
massa si impossessò immediatamente di quella emozione. Quando si
chiedeva a Bush di fornire le prove che giustificassero l'attacco
all'Iraq, la prova provata, la "pistola fumante", gli spin doctor della
Casa Bianca confezionarono uno splendido discorso per il presidente.
Bush disse che l'inazione era un crimine, poiché dopo l'11 settembre il
fumo della smoking gun poteva assumere la forma di un fungo atomico.
Tale
immagine poetica ebbe un effetto psicologico davvero forte presso
l'opinione pubblica americana, e fu talmente efficace da fare il giro
del mondo. Ma il successo comunicativo non poteva essere così completo
se il terreno non fosse stato sapientemente preparato. Fu poi del tutto
irrilevante che la minaccia nucleare irachena, e quella di ogni altra
arma di distruzione di massa, risultasse completamente inventata. Lo
scopo era stato raggiunto.
Nel contesto attuale,
l'uso immaginifico della bomba assume un duplice significato. Quello
classico, della minaccia distruttrice che giunge dall'esterno; quello
familiare, se non addirittura benevolo, di ritrovata concordia col
concetto di guerra atomica, e quanto sia accettabile da parte degli
Stati Uniti, o dei suoi alleati, il ricorso all'uso di armamenti
nucleari come strumento di difesa, anche preventivo. Dopo 50 anni di
terrore per un possibile olocausto nucleare, si tratta di un epocale
cambiamento culturale. Ma la filmografia popolare non è uno dei mezzi
più efficaci per questo scopo?
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