Mentre l'Europa è alle corde a motivo della crisi finanziaria,
proseguono le grandi manovre politico militari nell'Oceano Pacifico,
area geopolitica in rinnovata espansione.
La visita del presidente
americano Obama in Australia a metà novembre ha prodotto risultati molto
significativi: facendo seguito al suo discorso, che ha esaltato la più
che sessantennale collaborazione militare fra Usa, Australia e Nuova
Zelanda nell'ambito dell'ANZUS (la Nato del Pacifico sud-occidentale),
Julia Gillard, la primo ministro australiana ha dichiarato, facendo
seguito al discorso di Obama, che "la nostra regione sta crescendo
economicamente ma la stabilità è altrettanto importante per la crescita
economica; e la nostra alleanza è stata una delle basi della stabilità
nella nostra regione".
Obama, da parte sua, ha ribadito che gli Stati
Uniti stanno spostando la loro attenzione dalla guerra contro il
terrorismo alle questioni dell'economia e della sicurezza nell'Asia
Orientale e nel Pacifico, aggiungendo significativamente che il
messaggio che gli Usa inviano all'Asia ed al Pacifico è: "siamo qui per
restare". Dichiarazione davvero importante, alla quale in Europa
dovremmo prestare molta maggiore attenzione, memori del fatto che,
storicamente, delle due anime della politica internazionale ed imperiale
Usa, l'una orientata verso l'Atlantico l'altra estesa sul Pacifico,
quest'ultima, rivolta all'Asia orientale, è la più antica e vigorosa,
assai più che quella transatlantica, rivolta com'è ad una Europa, che
gli americani hanno sempre finito per considerare antiquata patria del
dispotismo e dei vincoli all'economia.
In base all'accordo
sottoscritto in occasione di questa storica visita, per la prima volta
nella storia del secondo dopoguerra, gli Usa dispiegheranno fino a 2.500
marines in Australia, accrescendo anche la cooperazione fra le
aviazioni militari dei due Paesi.
Come se non bastasse, nella stessa
settimana, il ministro degli esteri Usa Hillary Clinton ha firmato una
dichiarazione di sostegno ad un trattato militare difensivo bilaterale
fra gli Usa e le Filippine, un Paese dove il radicamento dell'influenza
americana dura dalla fine dell'Ottocento.
Sono ovviamente tutti
messaggi molto chiari rivolti in primo luogo alla Cina, il cui crescente
profilo militare non è più sottovalutabile da parte degli Stati Uniti. I
nuovi passi americani sono stati subito accolti con molta
preoccupazione da parte del governo cinese, il cui portavoce Liu Weimin
ha fatto notare che sarà necessario iniziare a discutere del crescente
dispiegamento di forze Usa in Asia, precisando che la Cina non ha mai
fatto parte di alcuna alleanza militare con Paesi dell'area, come quelle
costituite dagli Usa.
È vero del resto che nelle stesse settimane è
divenuta operativa la prima portaerei cinese: una unità navale
originariamente ucraina che è stata acquistata nel 1998 e quindi
profondamente ristrutturata per corrispondere alle esigenze della nuova
grande potenza asiatica. Ad essa si dovrebbero aggiungere almeno altre
due unità di questo tipo (di cui una a propulsione nucleare), per
guidare i tre gruppi navali che la Cina si propone di dislocare a
protezione dei suoi interessi economici e politici nel Pacifico.
Il
programma di costruzione navale cinese, che comprende anche una trentina
di altre unità di vario tipo, si accompagna alla strategia che da oltre
un quinquennio vede la Repubblica Popolare creare una catena di basi
navali di supporto tra il Pacifico e l'Oceano Indiano, la cosiddetta
strategie del "filo di perle": Akyab, Cheduba e Bassein nel Myanmar;
Chittadong, in Bangladesh; Trincomalee nello Sri Lanka, per finire con
Gwadar, in Pakistan la cui costruzione, iniziata nel 2002, è finanziata
dalla Cina all'80% (per oltre 248 milioni di dollari). Collocata a soli
72 km dall'Iran e a 400 dallo Stretto di Hormuz, Gwadar consentirà di
supportare le forze navali cinesi impegnate a garantire la sicurezza del
flusso di idrocarburi che in quantità crescente alimentano dal Medio
Oriente la crescita industriale cinese.
Proprio l'annuncio del
ministro della difesa pakistano sulla collaborazione pakistano-cinese
nella costruzione di questa base, dello scorso 23 maggio, ha sicuramente
turbato gravemente i già tesi rapporti tra gli Usa ed il Pakistan e
costretto i primi a ripensare tutta la propria organizzazione logistica
dell'Afghanistan. Lo proiezione di potenza cinese viene quindi a
collegare il teatro del Pacifico alla situazione medio-orientale,
imponendosi come la questione strategica fondamentale per gli Stati
Uniti nel XXI secolo.
Le implicazioni di questo mutamento sono
moltissime. Il Medio Oriente acquisisce una nuova importanza: non è più
solamente il teatro dello "scontro di civiltà" fra Islam, Cristianesimo e
Giudaismo; non è più solo il luogo deputato al democracy building; non è
più solo il campo di battaglia contro il terrorismo internazionale e
contro gli "stati canaglia" - esso diviene oggi la frontiera terrestre
principale nei confronti della Cina, per la quale le fonti energetiche
medio-orientali sono ora un elemento strategico essenziale.
La
stabilizzazione del Medio Oriente attraverso la eliminazione di regimi
potenzialmente ostili, come quelli libico, siriano, iraniano - diventa
dunque complementare e logico sviluppo di quanto avvenuto negli ultimi
venti anni, alla luce della possibilità che la Cina possa inserirsi,
come ha già mostrato di saper fare, nei complessi giochi
medio-orientali.
Ma anche la politica Usa verso la Russia deve tenere
conto di queste nuove esigenze, in quanto la brusca fine del rapporto
speciale con il Pakistan sta dando importanza vitale a quella Northern
Distribution Network (NDN), la rete di comunicazione stradale e
ferroviaria che, partendo dai porti baltici e attraversando tutta la
Russia, alimenta oggi da nord gran parte dello sforzo bellico Usa e Nato
in Afghanistan - un'impresa logistica da incubo, che richiede una
Russia non pregiudizialmente ostile agli interessi occidentali. Ciò che
spiega assai bene le crescenti interferenze americane nella politica
interna russa, interferenze che non si verificavano più dai tempi della
guerra fredda.
L'Afghanistan, infine, come tradizionale cerniera fra
Asia, Russia e Medio Oriente, acquisisce una nuova importanza, non più
solo nel tradizionale "grande gioco" anglosassone di contenimento della
Russia e di blocco alla sua corsa ai "mari caldi"; non più soltanto
quale porta di accesso alle grandi risorse energetiche delle repubbliche
centro-asiatiche ex-sovietiche; l'Afghanistan è ora prima di tutto
punto di controllo dell'intera massa continentale euro-asiatica, nella
quale sta avanzando a passi da gigante un'antica e insieme nuova forza
da Oriente, la Cina appunto.
Fonte.
Articolo veramente interessante a cui avrebbe giovato una maggiore perizia in fase di stesura. Belìn ma ci vuole tanto a rileggere il testo prima di pubblicarlo?!?
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