”Il libero flusso di beni e servizi attraverso lo stretto è vitale
per la prosperità globale”. Lo ha affermato, ieri, 28 dicembre 2011, il
portavoce della V flotta militare Usa, di stanza nel regno del Bahrein, nel Golfo Persico.
Una
minaccia, neanche troppo velata, all’Iran che tramite l’ammiraglio Habibollah Sayyari, comandante delle operazioni militari in
atto nello Stretto, ha replicato: ”Chiudere lo Stretto di Hormuz,
per la marina militare della Repubblica Islamica, sarebbe facile come
chiudere un rubinetto”. Aggiungendo, però, che la misura ”non è al
momento presa in considerazione, visto che controlliamo il mare di Oman e
quindi il transito della zona”.
Botta e risposta, a stretto giro. Una tensione che da mesi, ogni
giorno, si fa più acuta nella triangolazione Usa, Iran e Israele.
Teheran, con la crisi che vive il regime siriano, che garantiva i
collegamenti con gli alleati d Hezbollah in Libano, teme l’isolamento e
ventila l’utilizzo del suo asso nella manica: la chiusura del passaggio
chiave per le economie occidentali. Da Hormuz, infatti, transita il 33
percento del greggio mondiale, sbocco logistico di tutte le
petromonarchie del Golfo Persico.
L’Unione europea, in giornata, ha preso subito posizione sulla stessa
linea di Washington. Michael Mann, portavoce dell’Alto rappresentante
per la politica estera e di sicurezza comune europea Catherine Ashton,
ha dichiarato: ”Non cederemo a nessuna minaccia o ricatto, andremo
avanti con le sanzioni all’Iran maturate nel clima del rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, e non tollereremo la chiusura di una via di comunicazione internazionale”.
Un clima che, per certi versi, ricorda quello del 1956, quando
l’allora leader egiziano Nasser nazionalizzò il Canale di Suez. Finì in
un conflitto con Israele, Inghilterra e Francia. Oggi la situazione
internazionale è differente, ma di sicuro quella dello Stretto di Hormuz
è l’asso nella manica di Teheran, che non esiterebbe a giocarla, ma più
in forma di reazione a eventuali attacchi esterni che non come mossa
preventiva, che garantirebbe ai suoi nemici un perfetto casus belli.
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