di Michele Paris
Con una
sentenza interamente politica e dalle chiarissime connotazioni di
classe, un giudice fallimentare americano nella giornata di martedì ha
stabilito la legittimità della procedura di bancarotta presentata da
Detroit, dando di fatto il via libera all’assalto alle pensioni di
decine di migliaia di ex dipendenti pubblici e alla liquidazione dei
rimanenti beni cittadini. Quello della metropoli del Michigan è il
fallimento municipale più importante della storia degli Stati Uniti ed è
giunto dopo mesi di manovre dietro le quinte da parte di un’intera
classe politica che è riuscita a creare un vero e proprio modello di
comportamento per altre amministrazioni locali in difficoltà
finanziarie, intenzionate a calpestare leggi e norme costituzionali per
smantellare i benefici conquistati dai lavoratori con anni di sacrifici.
Il
punto più critico e dalle conseguenze potenzialmente più disastrose del
verdetto letto dal giudice federale Steven Rhodes stabilisce che,
contrariamente a quanto fissato nella Costituzione statale del Michigan,
la città di Detroit non ha alcun obbligo di mantenere i propri impegni
finanziari nei confronti dei dipendenti municipali in pensione. Nel
processo di fallimento, cioè, gli amministratori cittadini potranno
ridurre drasticamente i benefit pensionistici già accumulati, così da
poter rimborsare i creditori, in gran parte rappresentati da banche e
istituti finanziari.
La decisione del giudice Rhodes istituisce
un pericolosissimo precedente legale, grazie al quale le amministrazioni
locali negli Stati Uniti potranno appellarsi alla legislazione
fallimentare per cancellare le protezioni garantite alle pensioni dei
lavoratori del settore pubblico. Per quanto riguarda Detroit, la
bancarotta si tradurrà in sacrifici spesso devastanti per più di 23 mila
persone.
Come ha spiegato un commento apparso mercoledì sul New York Times,
questa sentenza avrà conseguenze “a Chicago, Los Angeles, Philadelphia e
in molte altre città americane” alle prese con il peso crescente dei
costi pensionistici. Per un avvocato di Chicago esperto in diritto
fallimentare sentito sempre dal quotidiano newyorchese, infatti, “nessun
tribunale fallimentare aveva finora deliberato che le pensioni dei
dipendenti pubblici non debbano essere necessariamente protette da un
procedimento federale di bancarotta”, così che la sentenza del giudice
Rhodes risulterà “istruttiva” per molti.
L’opzione del fallimento
per una delle città in passato più floride e produttive degli Stati
Uniti è stata perseguita con determinazione da mesi dal commissario
straordinario di Detroit, l’avvocato di Wall Street vicino agli
ambienti del Partito Democratico, Kevyn Orr. Nominato lo scorso mese di
marzo dal governatore repubblicano del Michigan, Rick Snyder,
quest’ultimo dopo la sentenza di martedì ha subito minacciato che ci
saranno “decisioni molto difficili da prendere in merito alle pensioni”.
Entro i primi giorni dell’anno, Orr presenterà un “piano di
aggiustamento” per pagare una parte dei 18 miliardi di dollari di debiti
che gravano su Detroit.
Nei
prossimi mesi, perciò, oltre a condurre un attacco frontale contro le
pensioni pubbliche, il commissario non eletto di Detroit procederà alla
svendita di beni e aziende della città, compresi probabilmente i
capolavori dell’arte conservati nel Detroit Institute of Art (DIA).
Questa collezione è una delle più importanti a livello municipale degli
Stati Uniti e conserva opere, tra gli altri, di Bruegel, Caravaggio,
Cézanne, Picasso, Renoir e Van Gogh, nonché lo straordinario ciclo di
affreschi murali di Diego Rivera che documentano la storia della classe
operaia a Detroit.
Da tempo, Orr ha incaricato la casa d’aste
Christie’s di stimare il valore delle opere del DIA in vista di una
possibile svendita che andrebbe a beneficio di alcuni esponenti
dell’aristocrazia parassitaria statunitense, mentre un importante
sindacato nelle scorse settimane si era unito ai creditori della città
nel chiedere ogni sforzo per ricavare il massimo dai capolavori d’arte,
definiti apertamente come servizi “non essenziali” per la popolazione di
Detroit.
Nel decretare la legittimità del procedimento di
bancarotta, il giudice Rhodes ha inoltre respinto la tesi di coloro che
sostenevano, con piena ragione, che la richiesta di fallimento fosse
stata avanzata in “cattiva fede” e a seguito di consultazioni segrete
tra il commissario straordinario Orr, il governatore Snyder e altri
esponenti politici locali e dell’industria finanziaria.
Una serie
di rivelazioni nei mesi scorsi aveva messo in luce come questi ultimi
avessero di fatto congiurato dietro le spalle degli abitanti di Detroit
per giungere ad un procedimento fallimentare, considerato come la via
più breve per “ristrutturare” pensioni, assicurazioni mediche e servizi
pubblici che molto difficilmente avrebbero potuto essere toccati
attraverso la strada del negoziato con le organizzazioni sindacali o
perché protetti dalla Costituzione dello stato.
Proprio questa
strategia, d’altra parte, è stata ratificata dal giudice Rhodes martedì,
quando, pur riconoscendo che il commissario Orr non aveva
effettivamente provato a trattare con i creditori per evitare la
bancarotta della città come prevede la legge, ha stabilito che la strada
dei negoziati era “impraticabile”, visto che le parti coinvolte erano
più di 100 mila e Detroit si trovava ormai in una situazione finanziaria
disperata.
Il baratro in cui si troverebbe Detroit, oltre ad
essere stato ingigantito da Orr e dagli altri principali esponenti
politici locali, non è però in nessun modo il risultato di una
“dipendenza da debito” o dell’elargizione di benefici “insostenibili” o
“eccessivamente generosi” ai dipendenti della città nel corso degli
anni. Come ha dimostrato un recente studio del think tank Demos,
infatti, la crisi finanziaria della città del Michigan è dovuta in gran
parte a prestiti-truffa estorti da compagnie finanziarie senza scrupoli e
ad altri strumenti sottoscritti con svariate banche e creditori che ora
finiranno per beneficiare maggiormente del procedimento fallimentare.
Più
in generale, la ricerca ha messo in luce come la crisi finanziaria sia
il risultato del “declino delle entrate cittadine durante il processo di
de-industrializzazione” patito da Detroit negli ultimi decenni, ma
anche “della disoccupazione di massa, dell’aumento della povertà e dei
benefici fiscali assicurati alle corporations” che ne sono conseguiti.
“Contrariamente
a quanto si crede”, continua poi il documento di Demos, “Detroit non ha
un problema di spesa eccessiva”, dal momento che dall’inizio della
recessione nel 2008 “le uscite complessive della città sono scese di
356,3 milioni di dollari”, mentre “a salire vertiginosamente sono stati i
costi finanziari”.
A tutto ciò vanno aggiunti i tagli colossali
dei fondi tradizionalmente trasferiti alle municipalità del Michigan
dallo stato stesso e che ammontano, solo negli ultimi anni sotto la
responsabilità del governatore Snyder e del suo predecessore, la
democratica Jennifer Granholm, a più di 700 milioni di dollari per la
sola città di Detroit.
La
sorte di Detroit e dei suoi abitanti, perciò, è stata segnata questa
settimana da una decisione puramente politica che, andando contro la
legalità e l’evidenza dei fatti, assegna alla classe dirigente americana
un altro strumento formidabile per procedere nella drammatica
ristrutturazione dei rapporti di classe negli Stati Uniti, dopo che da
tempo i procedimenti di bancarotta vengono usati dalle grandi compagnie
private per ottenere una riduzione dei costi tramite il peggioramento
delle condizioni economiche e di lavoro dei propri dipendenti.
Il
fallimento di Detroit e la nuova devastazione sociale prescritta ad una
città che ha perso metà della propria popolazione negli ultimi
cinquant’anni darà così il via ad un inevitabile effetto domino in tutto
il paese. Significativamente, solo alcune ore dopo la sentenza del
giudice Rhodes, il parlamento locale del vicino Illinois ha approvato un
pacchetto di tagli al sistema pensionistico statale, anche in questo
caso calpestando le garanzie previste dalla Costituzione.
Molte
altre città americane, infine, hanno già annunciato di essere pronte a
seguire l’esempio di Detroit, a cominciare dalla californiana Stockton -
la città più grande degli USA a presentare istanza di fallimento prima
della metropoli del Michigan - dove fino a martedì il piano di
ristrutturazione delle autorità locali aveva lasciato inalterate le
pensioni dei dipendenti pubblici, i quali ora si troveranno invece
esposti a nuovi pesanti attacchi alle loro condizioni di vita.
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