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05/01/2014

Cile. La coscienza sporca di Bachelet: contro i Mapuche è ancora dittatura

Il 15 dicembre 2013 il popolo cileno ha scelto che fosse Michelle Bachelet Jeria a guidare nuovamente il Paese, facendo di lei la prima donna a vincere per due volte le presidenziali in Cile. Una vittoria oscurata dall’altissima percentuale di astensionismo (circa il 60% degli aventi diritto non ha votato), chiaro segno di come i cileni non credano più nelle proprie istituzioni.

Per riguadagnare la fiducia degli elettori, la neoeletta presidente, che prenderà posto a La Moneda l’11 marzo, dovrà portare a compimento le promesse elettorali, quali la garanzia di un’istruzione gratuita e di qualità e la riforma della Costituzione, considerata illegale dal popolo in quanto votata in piena dittatura (1980) attraverso un referendum privo di registri, svoltosi in un clima tutt’altro che sereno.

Ma queste non sono le uniche promesse alle quali la Bachelet e la sua Nueva Mayoría dovranno far fronte.  Esiste un tema delicato, toccato poche volte durante la campagna elettorale dei candidati, una lotta che si porta avanti da anni all’interno del territorio cileno, una questione sociale e politica chiamata Mapuche. Il popolo Mapuche, cui nome nel loro idioma Mapudungun significa “Popolo della Terra”, non amano essere definiti come gli indigeni del Cile, bensì come la Nazione Originaria, coloro che vivevano lì da prima dell’invasione dei Conquistadores spagnoli.

La lotta per recuperare le loro terre ancestrali, vendute dallo Stato a grossi proprietari terrieri privati o ad imprese forestali e centrali idroelettriche, dura ormai da più di 20 anni ed è costata (e continua a costare) moltissimo in termini di vite e di rispetto dei diritti umani.

Fu proprio durante il primo mandato della Bachelet che si registrò il numero più alto di Mapuche uccisi ed incarcerati, addirittura maggiore al periodo di governo della Concertación (coalizione di partiti che sconfisse il dittatore Pinochet e governò il Cile per 10 anni), grazie anche all’applicazione della “Ley antiterrorista”, una legge varata da Pinochet, che puniva indiscriminatamente qualsiasi forma di ribellione sociale. Giovani come Matías Catrileo e Jaime Mendoza Collío, uniti dallo stesso tragico destino, sono diventati esempi della lotta Mapuche; proprio durante una tappa della campagna elettorale della neoeletta presidente a Temuco, l’11 novembre 2013, la famiglia di Catrileo aveva vibratamente protestato per la mancanza di giustizia nei confronti del popolo Mapuche.

In risposta, la Bachelet che aveva affermato che l’applicazione della legge antiterrorista era stato un errore e che per nessun motivo l’avrebbe applicata nuovamente, dichiarazione che stride con l’atteggiamento dello Stato che, proprio oggi, ha provveduto ad inviare forze speciali ed elicotteri dotati d'infrarossi per monitorare la regione dell’Araucanía in un giorno particolare, il 3 gennaio, in cui si commemora la morte dello studente Matías Catrileo, ucciso da alcuni colpi di arma da fuoco alla schiena, mentre stava cercando di recuperare un fondo agricolo.

“I Mapuche sono innocenti vittime di un montaggio politico” ha dichiarato padre Luís García-Huidobro, un gesuita che condivide la lotta degli originari, arrestato alcuni giorni fa, solo per aver partecipato ad una marcia a favore dei prigionieri politici Mapuche. Alcune associazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International, hanno accusato il governo cileno di perpetrare una politica di repressione e, recentemente, l’Unicef si è espresso sulle condanne inflitte ai minori di età contro i quali si continua ad applicare, seppure ben occultata, la legge antiterrorista. L’ONU, tramite il relatore per i popoli indigeni, James Anaya, ha chiesto il rispetto per i diritti dei popoli originari del Cile e l’accelerazione nella restituzione delle loro terre ancestrali.

Ed in questo clima di instabilità, si registra un’altra morte “sospetta”, quella di Nicolasa Quintreman, la donna che insieme alla sorella aveva capeggiato la lotta dei Mapuche Pehuenche, contro le centrali idroelettriche di Pangue e Ralco. “Non possiamo confidare in Michelle Bachelet” afferma padre García-Huidobro, rispecchiando il pensiero di migliaia di Mapuche.
La risoluzione del conflitto, a prescindere dalle dichiarazioni di facciata dei governanti, sembra molto lontano.

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