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07/02/2014

Bosnia in fiamme, rivolta popolare contro le privatizzazioni

Il mondo sta proprio cambiando se anche nella normalmente tranquilla (almeno sul fronte sociale) Bosnia-Erzegovina, federazione nata dalla guerra fratricida seguita alla deflagrazione dell’ex Jugoslavia, si assiste da almeno tre giorni a una vera e propria rivolta popolare che chiede le dimissioni dei governi locali e di quello centrale.
Un’esplosione di rabbia a partire da una situazione più che insostenibile dal punto di vista sociale ed economico, con la disoccupazione ufficialmente al 28% ma in realtà vicina al 40%, un paese diviso su basi etniche e preda di una classe dirigente inetta e corrotta.

A Tuzla, nel nord del Paese, oggi centinaia di dimostranti sono entrati nel municipio e l'hanno dato alle fiamme mentre in piazza si contano almeno sei mila persone tra operai, studenti e pensionati. Ieri migliaia di persone hanno forzato un cordone di polizia che impediva l’accesso alla sede dell’amministrazione regionale ed hanno lanciato pietre e torce incendiarie contro l’edificio, mandando in frantumi tutte le finestre dello stabile. Già mercoledì scorso, sempre a Tuzla, migliaia di lavoratori hanno dato inizio ad una rivolta che si sta estendendo a tutta la Bosnia, superando anche i confini etnici. La rabbia popolare è esplosa quando migliaia di operai e disoccupati hanno cercato di irrompere in un palazzo governativo per parlare con i funzionari, incolpati della bancarotta di quattro aziende statali avvenuta a seguito della loro privatizzazione negli anni 2000-2008, ordinata dall’Unione Europea e gestita da un'impresa tedesca.
Le quattro ex compagnie statali, tra cui fabbriche di mobili e di detersivi, impiegavano gran parte della popolazione della terza città della Bosnia. Le aziende furono vendute a proprietari privati, che a loro volta rivendettero le partecipazioni, smisero di pagare i lavoratori e presentarono l'istanza di fallimento. Ora circa 10 mila lavoratori si sono ritrovati senza nessuna occupazione e senza sussidio e chiedono un posto di lavoro o una pensione.


Scontri si sono verificati anche a Sarajevo dove la polizia ha usato proiettili di gomma e granate per disperdere le proteste. Già venerdì scorso i manifestanti avevano rifiutato un incontro con il presidente del governo regionale, Sead Causevic, di cui la piazza chiede le dimissioni. I manifestanti chiedono anche la testa di Nermin Niksic, primo ministro della Federazione.
Oggi nella capitale bosniaca i manifestanti hanno fatto irruzione nella sede del governo cantonale, dove hanno appiccato il fuoco. Secondo la tv di stato, "dei contestatori hanno infranto le finestre e hanno appiccato il fuoco alle garitte delle guardie e ai locali" degli uffici governativi.

Ma la protesta non si limita solo a Sarajevo e a Tuzla; proteste e manifestazioni si sono svolte in questi giorni anche in altre venti città grandi e piccole del paese tra cui Bihac, Mostar e Zenica. Sabato scorso è stata la prima volta anche per Banja Luka, capitale della Repubblica Spska, la Repubblica serba di Bosnia. Qui alcune centinaia di persone hanno fatto una "passeggiata di protesta" per le strade della città e il corteo, passando davanti alla presidenza cantonale ha scandito "ladri, ladri!" e slogan contro le privatizzazioni.


Secondo la stampa locale la rivolta popolare sta ormai uscendo dagli argini e nelle prossime ore la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi.
Finora sarebbero oltre 200 i feriti e alcune decine i manifestanti arrestati.

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