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20/05/2014

La Cina imperiale potenza d’Oriente che mira al Pianeta


L’espansionismo cinese, analizza Michele Marsonet, non è favola o invenzione del risorgente nazionalismo nipponico. Le preoccupazioni dei vicini d’oriente, Corea del Sud, Filippine, Taiwan, Vietnam, Malaysia, Thailandia. La sfida del piccolo Vietnam al colosso imperiale che ha sconfitto gli Usa.

Chi era convinto che l’espansionismo cinese fosse una favola o, tutt’al più, un’invenzione di Shinzo Abe per giustificare il crescente nazionalismo nipponico, è ora costretto a ricredersi. In altre occasioni ho rilevato che la Cina non preoccupa soltanto i giapponesi, ma anche tutti gli altri Paesi che al colosso asiatico sono contigui: Corea del Sud, Filippine, Taiwan, Vietnam, Malaysia, Thailandia etc.
Dopo aver compiuto un gesto da “grande potenza” creando una zona assai vasta di identificazione e difesa aerea che include il piccolo arcipelago delle Shenkaku sotto sovranità giapponese, ora la Repubblica Popolare punta sul Vietnam con un gesto che dimostra la volontà di dominio del governo di Pechino. Secondo un comunicato di Hanoi diffuso alcuni giorni or sono, “le autorità competenti del Vietnam hanno scoperto la perforatrice di profondità Hai Yang Shi You 981 (denominata HD 981 dal Vietnam) e tre navi per il trasporto del petrolio e del gas della Cina che si stavano muovendo a Nord Ovest delle Isole Tri Ton (appartenenti all’arcipelago vietnamita di Hoang Sa).


La perforatrice si trovava a 80 miglia all’interno della piattaforma continentale vietnamita, 130 miglia nautiche dalla costa del Vietnam. La Cina ha installato questa perforatrice per condurre esplorazioni petrolifere nella piattaforma continentale vietnamita e ha utilizzato un gran numero di navi per proteggerla. In questo momento le navi di scorta cinesi sono 60 e fra queste vi sono anche navi militari. Tali navi hanno intenzionalmente violato e ignorato la legge vietnamita”.
Un comunicato per niente “leggero”, come le parole in esso contenute lasciano chiaramente intendere. Immediate le proteste di Hanoi e frenetici i contatti tra le due capitali. Il problema è che i cinesi – come già era avvenuto nel caso delle Shenkaku – vanno avanti come bulldozer, ignorando le reazioni dei vicini (che poi siano giapponesi o vietnamiti poco importa). La Cina si sente “padrona” in questa parte del mondo.

C’è però un grosso problema. I vietnamiti, al pari dei giapponesi, possiedono un fortissimo spirito nazionale. Nel volgere di poche ore in Vietnam si è scatenata una vera e propria caccia ai cinesi (che ha coinvolto pure cittadini di Taiwan che non c’entrano affatto). Fabbriche cinesi distrutte, installazioni saccheggiate e, purtroppo, anche molti morti. Il governo di Hanoi ha ufficialmente condannato le violenze, facendo però capire con chiarezza che l’intera responsabilità ricade sul potente vicino.
Un bel coraggio, vien fatto di pensare. Il Vietnam ha 90 milioni di abitanti, la Cina un miliardo e 300 milioni (circa). Non c’è proporzione tra i rispettivi eserciti, né tra le due economie. A occhio e croce uno pensa subito che, se solo lo volesse, i cinesi potrebbero mangiarsi il Vietnam in un solo boccone.


Tuttavia varrebbe la pena che l’attuale seconda potenza mondiale chiedesse il parere degli USA prima di compiere ulteriori passi. Anche gli americani, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, pensarono di fare piazza pulita in Vietnam grazie alla loro superiorità militare e tecnologica. Il presidente Lyndon Johnson definiva il Vietnam “un piccolo Paese piscioso”. Iniziarono con l’invio di consiglieri militari. Poi sbarcarono – in numero sempre maggiore – GI e marines, toccando la soglia dei 600.000 uomini. Nulla da fare, e tutti sanno come andò a finire: i funzionari dell’ambasciata USA costretti a fuggire sugli elicotteri lasciando al loro (triste) destino gli alleati di Saigon, ora chiamata Ho Chi Minh City.
Ma non è questo il punto principale. Si tratta invece di capire dove vuole arrivare la Cina e se i suoi governanti riusciranno a comprendere che i Paesi vicini, pur molto più piccoli, non sono disposti a diventare dei semplici satelliti.

Nel frattempo si apprende che nelle scuole cinesi le carte geografiche riportano i confini dell’Impero di mezzo che includeva molti Stati vassalli (incluso, guarda caso, anche il Vietnam). Finiti i tempi della solidarietà internazionalista e dei sorrisi tra Mao e lo Zio Ho, in Asia si torna a vecchi scenari che noi europei conosciamo bene. Una nazione cresce e utilizza la sua potenza economica e militare per imporre la propria volontà a tutti gli altri.

Fonte

A mio modestissimo parere articoli come questo dimostrano che in occidente continua a serpeggiare una concezione notevolmente superficiale delle dinamiche entro cui si muove la Cina che andrebbero osservate alla luce della miriade di frizioni in atto nello scacchiere del pacifico e determinate dal venir meno della potenza unica americana.
Onestamente dalle pagine del sito da cui ho tratto questo articolo mi attendevo un'analisi un po' più fine...

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