Fatta questa premessa, dobbiamo subito
spiegare il senso dell'espressione presente nel titolo: "baluardo
dell'antidemocrazia". L'abbiamo scelta perché, a differenza di altri
congressi Cgil del passato, questo del 2014 è stato segnato in maniera
aspra e molto dura (internamente nei congressi territoriali e delle
singole federazioni, ma più in generale anche esternamente nel dibattito
sindacale complessivo) dal tema fondamentale della rappresentanza. Un
tema che, purtroppo, probabilmente non riesce ancora ad essere percepito
in pieno dalle masse dei lavoratori, ma che è indubbiamente centrale
visto che da quello deriva tutto il resto. Senza la democrazia e la
libertà sindacale infatti, non esiste possibilità di cambiamento se non
nei modi stabiliti e previsti dal sistema concordato a tavolino da
Cgil-Cisl-Uil. Un sistema chiuso, segregante, labirintico,
autolegittimante ed esclusivo, che sottrae le organizzazioni che l'hanno
ideato da un controllo minimo ed elementare per un paese civile e
democratico, ossia quello della base dei cittadini (in questo caso, dei
lavoratori) che dovrebbero poter decidere di bocciare le politiche di
una organizzazione aderendo ad un'altra. Se infatti, come scrivevamo già in questo nostro articolo dello scorso gennaio,
sarà ancora possibile iscriversi ad altri sindacati (e ci mancherebbe
altro, aggiungiamo...), non sarà più possibile per un lavoratore
eleggere (e quindi essere rappresentato nel dialogo con l'impresa) i
propri delegati se prima l'organizzazione di cui fanno parte non avrà
sottoscritto questo famoso accordo col quale si impegna a non scioperare
e a non fare conflitto. Come scrivevamo nel suddetto articolo, se dici
ad un sindacato che per partecipare deve accettare di non poter
scioperare, è come dire (ad esempio) a un partito che deve a priori
rinunciare ad una propria rivendicazione fondamentale. Impensabile, ma
nell'allucinante sistema sindacale italiano funziona proprio così: le
regole, valide per tutti, non sono decise dallo Stato ma vengono fatte
scrivere direttamente alle tre organizzazioni più grandi, Cgil-Cisl-Uil
appunto, che hanno così la possibilità di schiacciare tutti gli altri
creando un cortocircuito senza vie d'uscita. Ecco perché usiamo
l'espressione "baluardo dell'antidemocrazia", perché si tratta di una
anomalia che esiste solo nel mondo sindacale italiano.
Ma il tema dell'antidemocrazia non riguarda solo i rapporti con l'esterno (si veda anche quanto accaduto proprio ieri a Rimini con le aggressioni a chi chiedeva semplicemente la parola). Questo congresso rimarrà infatti alla storia come quello dello scontro Landini-Camusso proprio sulla rappresentanza, delle botte ai dissidenti interni, delle dimissioni pronunciate con rabbia e amarezza,
insomma di uno scontro interno (duro nei toni ma non nei numeri) nel
quale fin dall'inizio nessuno ha mai avuto neanche la più remota
speranza che la linea della Camusso potesse essere anche solo
minimamente scalfita. Perché dentro la Cgil lo schema è il solito
praticamente da sempre: una schiera infinita di funzionari e burocrati
stipendiati che costituiscono la stragrande maggioranza
dell'organizzazione, e un'area di sinistra del 10-15% (ovviamente più
sana e apprezzabile dell'altra ma anche questa, va detto, diretta da
stipendiati di lungo corso) che recita la parte dell'opposizione
interna. Nell'intervento del delegato vicentino che abbiamo linkato
sopra c'è la sintesi di cos'è oggi la Cgil: un sindacato non
riformabile, grigio, dove i giovani e chi vorrebbe cambiare le cose
soffocano sotto una cappa di piombo opprimente.
La Cgil oggi è un'azienda come un'altra,
che opera nel settore della professione politico-sindacale. Un'azienda
molto selettiva nello scegliere chi far avanzare ai propri vertici, e
repressiva (utilizzando lo strumento della revoca del distacco sindacale) nei confronti di chi non si allinea. Un'azienda blindata che può permettersi numeri congressuali secretati
e bilanci nell'ordine delle decine di milioni di euro ogni anno grazie
anche alla propria presenza all'interno di fondi finanziari come quelli
pensionistici. Ma quello che più ci interessa è ovviamente il lato
strettamente sindacale, visto che una organizzazione può anche avere
dimensioni enormi e tanti soldi ma comunque operare bene politicamente. Tuttavia negli ultimi decenni è successo proprio che questi due aspetti
si sono sovrapposti e mischiati, ponendo sotto gli occhi di tutti un
conflitto di interessi palese. Come può infatti non apparire evidente il
legame tra lo smantellamento (avallato dalla Cgil) del sistema
pensionistico italiano dai primi anni '90 in poi, e la presenza della
Cgil dentro i fondi pensione (al punto che i delegati nei luoghi di
lavoro svolgono il ruolo di promotori finanziari)? Oppure la
correlazione tra le varie riforme del mercato del lavoro e i "ritorni" economici di vario genere per Cgil-Cisl-Uil.
Oppure ancora il collegamento tra i tagli alla sanità pubblica e il
proliferare di fondi sanitari aziendali, anche quelli guarda caso
cogestiti da Cgil-Cisl-Uil.
La Cgil, nella storia italiana dal
dopoguerra ad oggi, ha sempre recitato un ruolo di prim'ordine, ma a
differenza dei partiti e di tanti altri soggetti politici non ha mai
dovuto affrontare crisi di consenso preoccupanti. In questo l'hanno
sempre aiutata un po' tutti. Il Pd (e i suoi antenati) in primis, ma
paradossalmente anche tutte le destre (democristiane prima,
berlusconiane dopo), che hanno sempre fatto passare agli italiani il
messaggio e l'incredibile immagine della Cgil come sindacato addirittura
conflittuale e di opposizione. E ancora più paradossalmente anche parte
della sinistra "radicale", spesso pronta a dire che "Cisl e Uil sono
peggio". Un'immagine, quella della Cgil come sindacato di conflitto, che
alle destre (e ora anche al Pd) fa comodo per delegittimare qualsiasi
altra conflittualità vera e positiva, oltre che necessaria, nel mondo
del lavoro (quella dei sindacati di base ad esempio, ma anche dei
collettivi autonomi di sostegno alle lotte). Un modo, insomma, per dire
(facendo finta di criticare) che un'opposizione sociale nel paese è
concessa ma deve essere appunto al massimo come quella della Cgil:
contrarietà leggera, pacifica, e poi tutto passa. E infatti tutto è
passato, nell'ultimo quarto di secolo: sistema pensionistico demolito,
tutele per i lavoratori quasi annientate, salari tra i più bassi in
Europa, lavoratori precari e atipici abbandonati al proprio destino,
agenzie interinali a farla da padroni, frattura drammatica tra garantiti
e non, rottura della fiducia e di ogni patto generazionale. Ma soprattutto, una incredibile polarizzazione della ricchezza (come
testimonia ancora una volta lo studio del Censis uscito due giorni fa)
della quale la Cgil è totalmente colpevole e responsabile in quanto
sindacato concertativo che negli ultimi 25 anni ha condiviso con i vari
governi le vergognose politiche dei redditi degli italiani. Su tutti
questi scempi, la Cgil è stata nel migliore dei casi una debole e
silente perdente, nel peggiore una complice mascherata. Emblematico
della contrarietà sempre "light" della Cgil è un argomento di stretta
attualità come il Jobs Act di Renzi-Poletti, dove la posizione della
Cgil è niente di più che quella della "sinistra" del Pd che, come spiega
Usb in questo editoriale,
ha dato vita a un teatrino osceno per recitare uno scontro con
l'alleato Alfano. Uno scontro finto, visto che le differenze tra i due
testi sono marginali e non cambiano la sostanza dell'impianto
complessivo. Un impianto complessivo vergognoso del quale la Cgil riesce
però a lamentarsi solo per le virgole. Come a dire, va bene il Jobs
Act, ma lasciateci almeno le briciole. In questo quadro generale, non è
ovviamente casuale il fatto che tutti i segretari Cgil dal dopoguerra ad
oggi hanno ricoperto incarichi partitici importanti, col
sindaco-sceriffo Cofferati e il segretario Pd Epifani a chiudere una
lunga serie di segretari "prestati" alla politica.
In questa progressiva deriva, in questo
graduale ma costante slittamento all'indietro delle condizioni dei
lavoratori in Italia, la Cgil ha dunque rappresentato (e sta
rappresentando) un monolite apparentemente inscalfibile ma con
responsabilità enormi, diciamo pure decisive. Perché l'arretramento di
cui parliamo non è solo economico e di diritti, ma anche e soprattutto
culturale. Ecco, per riassumere, l'Italia del lavoro di oggi è quella
che è, proprio perché plasmata sul modello culturale (fallimentare)
della Cgil. Un modello antidemocratico anche perché (oltre a quanto
ampiamente spiegato sopra) sostanzialmente imposto attraverso
martellanti parole d'ordine mediatiche che sono i classici zuccherini
preparati per addolcire le pillole amare. Le parole stucchevoli,
ipocrite e mielose di una pace sociale cercata in continuazione e
trovata sempre al ribasso. "La pace per fare quello che voi (i padroni)
volete..." diceva una vecchia canzone.
Per Senza Soste, Franco Lucenti - 5 maggio 2014
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