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05/05/2014

Va al Congresso la Cgil, il sindacato baluardo dell'antidemocrazia in Italia

Domani, 6 maggio 2014, inizia il diciassettesimo congresso della Cgil, il più grande sindacato italiano con i suoi 5.700.000 iscritti, 3 milioni dei quali sono pensionati. Chi, come la nostra testata, segue da sempre con la massima attenzione l'evolversi dei rapporti di forza e degli equilibri sindacali nel mondo del lavoro italiano, non può sottrarsi ad una analisi sul ruolo che questo sindacato ha avuto negli ultimi decenni e sta avendo in questa fase della storia. Il lavoro infatti è il fulcro economico e sociale (ma anche e soprattutto culturale) di ogni sistema-paese, e una organizzazione con i numeri della Cgil non può essere dipinta, a differenza di quanto fanno molti giornali e media, solo come il sindacato del singolo delegato onesto che fatica nel proprio luogo di lavoro (tra l'altro, in molti casi, non è vero neanche questo), bensì deve essere valutata per le sue politiche generali, che orientano (e molto spesso decidono direttamente) le linee guida delle politiche dei redditi e del lavoro in Italia. In altre parole, la Cgil non può sfuggire a un giudizio sul proprio operato semplicemente dicendo che se le cose vanno male la colpa è dei governi, perché se su un accordo programmatico nazionale ci metti la firma, sei concorde. E se non ci metti la firma ma comunque non ti pronunci, non fai conflitto, rimani prudente, non ti opponi, sei comunque complice perché decidi consapevolmente di far rimanere solo forza potenziale e non reale i tuoi quasi 6 milioni di iscritti.

Fatta questa premessa, dobbiamo subito spiegare il senso dell'espressione presente nel titolo: "baluardo dell'antidemocrazia". L'abbiamo scelta perché, a differenza di altri congressi Cgil del passato, questo del 2014 è stato segnato in maniera aspra e molto dura (internamente nei congressi territoriali e delle singole federazioni, ma più in generale anche esternamente nel dibattito sindacale complessivo) dal tema fondamentale della rappresentanza. Un tema che, purtroppo, probabilmente non riesce ancora ad essere percepito in pieno dalle masse dei lavoratori, ma che è indubbiamente centrale visto che da quello deriva tutto il resto. Senza la democrazia e la libertà sindacale infatti, non esiste possibilità di cambiamento se non nei modi stabiliti e previsti dal sistema concordato a tavolino da Cgil-Cisl-Uil. Un sistema chiuso, segregante, labirintico, autolegittimante ed esclusivo, che sottrae le organizzazioni che l'hanno ideato da un controllo minimo ed elementare per un paese civile e democratico, ossia quello della base dei cittadini (in questo caso, dei lavoratori) che dovrebbero poter decidere di bocciare le politiche di una organizzazione aderendo ad un'altra. Se infatti, come scrivevamo già in questo nostro articolo dello scorso gennaio, sarà ancora possibile iscriversi ad altri sindacati (e ci mancherebbe altro, aggiungiamo...), non sarà più possibile per un lavoratore eleggere (e quindi essere rappresentato nel dialogo con l'impresa) i propri delegati se prima l'organizzazione di cui fanno parte non avrà sottoscritto questo famoso accordo col quale si impegna a non scioperare e a non fare conflitto. Come scrivevamo nel suddetto articolo, se dici ad un sindacato che per partecipare deve accettare di non poter scioperare, è come dire (ad esempio) a un partito che deve a priori rinunciare ad una propria rivendicazione fondamentale. Impensabile, ma nell'allucinante sistema sindacale italiano funziona proprio così: le regole, valide per tutti, non sono decise dallo Stato ma vengono fatte scrivere direttamente alle tre organizzazioni più grandi, Cgil-Cisl-Uil appunto, che hanno così la possibilità di schiacciare tutti gli altri creando un cortocircuito senza vie d'uscita. Ecco perché usiamo l'espressione "baluardo dell'antidemocrazia", perché si tratta di una anomalia che esiste solo nel mondo sindacale italiano.

Ma il tema dell'antidemocrazia non riguarda solo i rapporti con l'esterno (si veda anche quanto accaduto proprio ieri a Rimini con le aggressioni a chi chiedeva semplicemente la parola). Questo congresso rimarrà infatti alla storia come quello dello scontro Landini-Camusso proprio sulla rappresentanza, delle botte ai dissidenti interni, delle dimissioni pronunciate con rabbia e amarezza, insomma di uno scontro interno (duro nei toni ma non nei numeri) nel quale fin dall'inizio nessuno ha mai avuto neanche la più remota speranza che la linea della Camusso potesse essere anche solo minimamente scalfita. Perché dentro la Cgil lo schema è il solito praticamente da sempre: una schiera infinita di funzionari e burocrati stipendiati che costituiscono la stragrande maggioranza dell'organizzazione, e un'area di sinistra del 10-15% (ovviamente più sana e apprezzabile dell'altra ma anche questa, va detto, diretta da stipendiati di lungo corso) che recita la parte dell'opposizione interna. Nell'intervento del delegato vicentino che abbiamo linkato sopra c'è la sintesi di cos'è oggi la Cgil: un sindacato non riformabile, grigio, dove i giovani e chi vorrebbe cambiare le cose soffocano sotto una cappa di piombo opprimente.

La Cgil oggi è un'azienda come un'altra, che opera nel settore della professione politico-sindacale. Un'azienda molto selettiva nello scegliere chi far avanzare ai propri vertici, e repressiva (utilizzando lo strumento della revoca del distacco sindacale) nei confronti di chi non si allinea. Un'azienda blindata che può permettersi numeri congressuali secretati e bilanci nell'ordine delle decine di milioni di euro ogni anno grazie anche alla propria presenza all'interno di fondi finanziari come quelli pensionistici. Ma quello che più ci interessa è ovviamente il lato strettamente sindacale, visto che una organizzazione può anche avere dimensioni enormi e tanti soldi ma comunque operare bene politicamente. Tuttavia negli ultimi decenni è successo proprio che questi due aspetti si sono sovrapposti e mischiati, ponendo sotto gli occhi di tutti un conflitto di interessi palese. Come può infatti non apparire evidente il legame tra lo smantellamento (avallato dalla Cgil) del sistema pensionistico italiano dai primi anni '90 in poi, e la presenza della Cgil dentro i fondi pensione (al punto che i delegati nei luoghi di lavoro svolgono il ruolo di promotori finanziari)? Oppure la correlazione tra le varie riforme del mercato del lavoro e i "ritorni" economici di vario genere per Cgil-Cisl-Uil. Oppure ancora il collegamento tra i tagli alla sanità pubblica e il proliferare di fondi sanitari aziendali, anche quelli guarda caso cogestiti da Cgil-Cisl-Uil.

La Cgil, nella storia italiana dal dopoguerra ad oggi, ha sempre recitato un ruolo di prim'ordine, ma a differenza dei partiti e di tanti altri soggetti politici non ha mai dovuto affrontare crisi di consenso preoccupanti. In questo l'hanno sempre aiutata un po' tutti. Il Pd (e i suoi antenati) in primis, ma paradossalmente anche tutte le destre (democristiane prima, berlusconiane dopo), che hanno sempre fatto passare agli italiani il messaggio e l'incredibile immagine della Cgil come sindacato addirittura conflittuale e di opposizione. E ancora più paradossalmente anche parte della sinistra "radicale", spesso pronta a dire che "Cisl e Uil sono peggio". Un'immagine, quella della Cgil come sindacato di conflitto, che alle destre (e ora anche al Pd) fa comodo per delegittimare qualsiasi altra conflittualità vera e positiva, oltre che necessaria, nel mondo del lavoro (quella dei sindacati di base ad esempio, ma anche dei collettivi autonomi di sostegno alle lotte). Un modo, insomma, per dire (facendo finta di criticare) che un'opposizione sociale nel paese è concessa ma deve essere appunto al massimo come quella della Cgil: contrarietà leggera, pacifica, e poi tutto passa. E infatti tutto è passato, nell'ultimo quarto di secolo: sistema pensionistico demolito, tutele per i lavoratori quasi annientate, salari tra i più bassi in Europa, lavoratori precari e atipici abbandonati al proprio destino, agenzie interinali a farla da padroni, frattura drammatica tra garantiti e non, rottura della fiducia e di ogni patto generazionale. Ma soprattutto, una incredibile polarizzazione della ricchezza (come testimonia ancora una volta lo studio del Censis uscito due giorni fa) della quale la Cgil è totalmente colpevole e responsabile in quanto sindacato concertativo che negli ultimi 25 anni ha condiviso con i vari governi le vergognose politiche dei redditi degli italiani. Su tutti questi scempi, la Cgil è stata nel migliore dei casi una debole e silente perdente, nel peggiore una complice mascherata. Emblematico della contrarietà sempre "light" della Cgil è un argomento di stretta attualità come il Jobs Act di Renzi-Poletti, dove la posizione della Cgil è niente di più che quella della "sinistra" del Pd che, come spiega Usb in questo editoriale, ha dato vita a un teatrino osceno per recitare uno scontro con l'alleato Alfano. Uno scontro finto, visto che le differenze tra i due testi sono marginali e non cambiano la sostanza dell'impianto complessivo. Un impianto complessivo vergognoso del quale la Cgil riesce però a lamentarsi solo per le virgole. Come a dire, va bene il Jobs Act, ma lasciateci almeno le briciole. In questo quadro generale, non è ovviamente casuale il fatto che tutti i segretari Cgil dal dopoguerra ad oggi hanno ricoperto incarichi partitici importanti, col sindaco-sceriffo Cofferati e il segretario Pd Epifani a chiudere una lunga serie di segretari "prestati" alla politica.

In questa progressiva deriva, in questo graduale ma costante slittamento all'indietro delle condizioni dei lavoratori in Italia, la Cgil ha dunque rappresentato (e sta rappresentando) un monolite apparentemente inscalfibile ma con responsabilità enormi, diciamo pure decisive. Perché l'arretramento di cui parliamo non è solo economico e di diritti, ma anche e soprattutto culturale. Ecco, per riassumere, l'Italia del lavoro di oggi è quella che è, proprio perché plasmata sul modello culturale (fallimentare) della Cgil. Un modello antidemocratico anche perché (oltre a quanto ampiamente spiegato sopra) sostanzialmente imposto attraverso martellanti parole d'ordine mediatiche che sono i classici zuccherini preparati per addolcire le pillole amare. Le parole stucchevoli, ipocrite e mielose di una pace sociale cercata in continuazione e trovata sempre al ribasso. "La pace per fare quello che voi (i padroni) volete..." diceva una vecchia canzone.

Per Senza Soste, Franco Lucenti - 5 maggio 2014

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