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05/05/2014

Geostrategia di Mosca tra Medio Oriente e Caucaso

La Russia ha superato con successo la prova delle Olimpiadi invernali di Sochi a rischio attentati, ha ucciso il suo più accanito avversario, l’autoproclamato Emiro del Caucaso del Nord Doku Umarov, ma Mosca ha ancora di fronte diverse sfide e ostacoli, oltre al caso Nato-Ucraina ai confini.

La crisi Ucraina e la minaccia di conflitto di portata imprevedibile è soltanto uno dei problemi che ha di fronte il Cremlino. A livello geo-strategico Mosca deve affrontare tre sfide:

- le irrequiete Repubbliche dalla sua “Ciscaucasia”, affacciate a Ovest sul Mar Nero e a Est sul Mar Caspio, a forte presenza jihadista;

- la salvaguardia della Siria, alleato strategico sin dagli anni ‘70 con il consolidamento del Partito Baa’t ma soprattutto porto d’ingresso nel Mar Mediterraneo con Tartous e Latakia,

- il conflitto in Ucraina.

Sul primo punto la Russia, già nel 2011 ha blindato nel Distretto Federale del Caucaso del Nord Daghestan, Inguscezia e la Cecenia riconquistata con la campagna militare 1999-2009, per mantenere unito ciò che restava dell’impero sovietico su quel fronte.

La secessione di Paesi dell’area a forte presenza islamico-radicale scatenerebbe la frammentazione della Regione dal Volga alla Siberia occidentale privando la Russia di un enorme patrimonio minerario.

La spaccatura lungo l’asse Caucaso-Volga consentirebbe ai jihadisti caucasici la saldatura con i loro omologhi della Bashiria e del Tatarstan, epicentri dell’islamismo russo.

La cifra della minaccia è fornita in dati dalle centinaia di vittime del jihadismo nel Caucaso russo. Colpiti anche gli islamici ‘quietisti’ che sostengono la separazione fra religione e potere politico; di ascendenza sufi sono considerati collaborazionisti e presi di mira dal fondamentalismo salafita-wahabita.

Anche se i jihadisti non godono di ampio consenso sociale, hanno dimostrato di essere in grado di eseguire attentati come la strage del Teatro Dubrovka a Mosca nel 2002, le bombe nella metropolitana moscovita nel 2010, gli attentati all’aeroporto Domodedovo nel 2011 e i più recenti a Volvograd su un autobus nell’ottobre 2013, e alla vigilia delle olimpiadi di Soci nella Stazione e su un autobus.

Il secondo tema è strettamente legato al primo.

La guerra in Siria è stata trasformata in confronto religioso fra Asse sunnita composto da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Giordania contro la Mezzaluna sciita di cui fanno parte Iran, Iraq, Hezb’ Allah, Siria e i movimenti islamici filo-iraniani di Gaza Jihad Islamico Palestinese e Fronte Popolare di Liberazione Palestinese/Comando Generale.

I jihadisti caucasici sarebbero oltre un migliaio divisi tra Fronte Nord dello Stato Islamico in Iraq e Sham, comandato da Abu Omar al Sisani (ceceno, in arabo) nominato Emiro, e il Fronte rivale Jabat al Nusra, di matrice qaedista.

In questi giorni si combatte a Jibrin e ad Al Hamairi a maggioranza alawita in provincia di Hama, ad Aleppo e Damasco con un bilancio provvisorio di 150 vittime.

Mentre Ayman al Zawahiri intima di nuovo all’ISIS di interrompere la battaglia contro il Fronte al Nusra, l’opposizione annuncia la formazione del Fronte Sud in cui sono confluiti oltre 30 mila combattenti provenienti da 55 gruppi minori che operano lungo la frontiera con la Giordania fino alla periferia di Damasco a alle Alture del Golan.

Fronte che è sostenuto da Arabia Saudita e Giordania per unificare le varie fazioni e che non intende avere contatti con Al Nusra come dichiarato dal portavoce Ibrahim al Jabawi.

Le due sfide impongono l’impegno militare, logistico ed economico in due teatri di guerra mentre un’altra è in corso in Ucraina con ricadute non meno preoccupanti come dimostra l’escalation militare di questi giorni e che costituisce la terza sfida per Mosca.

Considerando che tra il 1999 e il 2009, la NATO ha inglobato tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia e due dell’ex Jugoslavia spostando vicino alla Russia basi e Forze militari dotate di uno scudo anti-missili, si può ipotizzare che la posta in gioco non sarebbe l’adesione dell’Ucraina all’Europa ma la sua annessione alla NATO.

Gli USA intendono ridimensionare il ruolo della Russia in politica estera dopo i successi per aver evitato l’ennesima “guerra umanitaria” in Siria, supportato l’Iran nel contenzioso nucleare e creato un asse con la Cina.

E vogliono anche mantenere tramite la NATO la leadership sugli alleati.

L’Ucraina inoltre è strategica anche per quanto riguarda il settore energetico.

In merito gli USA chiedono agli europei di ridurre le importazioni di gas e petrolio dalla Russia.

Ma l’EU dipende per 1/3 dalle forniture energetiche russe: Germania e Italia per il 30%, Svezia e Romania per il 45%, Finlandia e Repubblica Ceca per il 75%, Polonia e Lituania per il 90%.

La guerra riguarda quindi anche i gasdotti.

Obiettivo USA è bloccare il North Stream che porta nell’UE il gas russo attraverso il Baltico e impedire la realizzazione del South Stream che lo porterebbe nella UE attraverso il Mar Nero e ambedue aggirano l’Ucraina attraverso cui passa la gran parte del gas russo e sono realizzati da consorzi guidati da Gazprom di cui fanno parte compagnie europee.

Anche in questo teatro, Mosca ha dislocato Forze Armate e una rete protettiva per tutti i cittadini russi in Crimea - tornata a far parte della Russia ad aprile - distogliendole dall’impegno per la Siria.

Ma gli interessi strategici russi sono anche nel Mediterraneo e nel Medio Oriente che proteggerà mantenendo fermo il supporto finanziario, logistico e di armamento per la Siria.

Fonte

Anche grazie ad analisi come quella appena proposta, diventano sempre più concrete le ipotesi di coloro che nei fatti di questi mesi, rivedono tante, troppe caratteristiche della storia del XX secolo.

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