Chiara Cruciati – il Manifesto
Gerusalemme torna teatro della frustrazione del popolo palestinese. Ieri
nel primo pomeriggio un 25enne residente del quartiere di Jabel
Mukaber, alle porte della Città Vecchia, a bordo di una ruspa ha
centrato un autobus parcheggiato nel quartiere di Sheikh Jarrah e lo ha
ribaltato, uccidendo un passante, Avraham Walz, 29 anni, e ferendo
l’autista e tre passeggeri. Immediata la reazione dei
poliziotti presenti, dispiegati in tutta la città, che hanno ucciso a
colpi di pistola Mohammed Naif el-Ja’abis. Subito dopo un gruppo di
ebrei ultraortodossi ha circondato l’autobus e la ruspa, gridando «morte
agli arabi».
In
un video girato da un telefonino, si vede la ruspa avvicinarsi
all’autobus e si sentono alcuni colpi di pistola prima che il
palestinese uccidesse il pedone e colpisse più volte il pullman. Un
secondo video mostra l’autobus già su un fianco e i poliziotti aprire il
fuoco 23 volte. La polizia, ha riportato il ministro della Sicurezza
Interna Aharonovitch, ha parlato subito di attentato terroristico e
avviato indagini sulla famiglia el-Ja’abis, aggiungendo che «le autorità
israeliane si attendevano tali reazioni dopo l’avvio dell’operazione
contro Gaza». Una foto, fatta girare sui social network, mostra
el-Ja’abis morto, coperto di sangue, ancora dentro la cabina di guida.
Poche
ore dopo, vicino alla Hebrew University, sul Monte Scopus, un uomo a
bordo di una motocicletta ha aperto il fuoco ferendo un soldato
all’addome, per poi fuggire. Secondo la polizia, una guardia privata ha tentato di fermarlo sparandogli, ma senza successo.
Subito sono scoppiati scontri nel quartiere palestinese di Issawiya, a poche centinaia di metri dalla Hebrew University. Un quartiere, come il resto di Gerusalemme Est, soffocato dalle colonie e dalle politiche repressive delle autorità israeliane.
«La polizia entra nel villaggio ogni sera – ha raccontato Mohammed Abu
Hummus, membro del Follow-Up Committee di Issawiya alla giornalista
israeliana Connie Hackbarth – Sparano acqua chimica alle case e alle
auto e lanciano lacrimogeni. Soprattutto il venerdì, dopo la preghiera,
sono decine le persone ferite». Una forma di punizione collettiva contro
le varie forme di resistenza messe in piedi dalla popolazione
palestinese di Gerusalemme: boicottaggio dei mezzi pubblici israeliani e
dei negozi e i centri commerciali a ovest, manifestazioni quotidiane a
Issawiya, Silwan, Shuafat, Al-Ram, Anata, scontri in Città Vecchia.
E
mentre la famiglia el-Ja’abis difende il figlio, insistendo che si è
trattato di un incidente e non di un attentato, da Gaza un portavoce di
Hamas l’ha definita «un’operazione coraggiosa ed eroica, naturale
reazione ai crimini compiuti dall’occupazione contro la Striscia».
Diversa la versione israeliana: «L’intera famiglia è sotto
interrogatorio – ha detto il capo della polizia di Gerusalemme, Yossi
Parienti – Vogliamo sapere chi lo ha mandato, se ha agito da solo o
apparteneva ad una rete».
Che
l’attacco al bus sia stato un attacco volontario o un incidente, è
innegabile la rabbia della popolazione palestinese per i massacri in
corso a Gaza. Gerusalemme è teatro da oltre un mese, dalla barbara uccisione del giovane Mohammed Abu Khdeir a Shuafat il primo luglio, di
un’esplosione di ira per le condizioni di vita e le giornaliere
discriminazioni subite dai quartieri palestinesi. L’attacco contro Gaza e
le immagini di morte e distruzione che ogni giorno le tv arabe mostrano
al resto della Palestina storica hanno fatto da miccia a una situazione non più tollerabile. Colonizzazione selvaggia, di cui i quartieri di Issawiya e Sheikh Jarrah (ieri teatro dei due attacchi) sono soggetti, assenza
di servizi pubblici, demolizioni di case, arresti, mancanza di
strutture scolastiche, crisi economica dovuta alla costruzione del muro e
alla separazione forzata dalla Cisgiordania, impossibilità a usufruire
delle proprie terre per costruire nuove case.
Alle discriminazioni istituzionalizzate si sono aggiunti gli attacchi fisici e verbali da parte di israeliani estremisti contro la popolazione palestinese, accoltellamenti e aggressioni verbali per le strade della città. Ultimo in ordine di tempo il tentato rapimento denunciato da Ali Muhammad al-Abassi, 21 anni, giovedì scorso: un gruppo di israeliani, dopo avergli spruzzato in viso spray al peperoncino, averlo gettato a terra e picchiato, ha cercato di farlo salire in un’automobile ma l’intervento di alcuni lavoratori li ha fatti desistere. L’ennesimo esempio di una crescente violenza di base, manifestazione della frustrazione della comunità palestinese da una parte, e dall’altra del tasso di razzismo israeliano istigato dalle politiche governative ormai incapaci a gestire le più brutali espressioni dell’intolleranza della propria società.
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