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01/09/2014

Isis e Hamas uguali, Assad amico di Isis… ci riprovano ancora


analisi di Michele Giorgio – Il Manifesto

Hamas e l’Isis, lo Stato Islamico, «sono la stessa cosa». Tra Bashar Assad e l’Isis «correva buon sangue». L’avanzata del «mostro» che sta divorando l’Iraq e la Siria, grazie ai fondi messi a disposizione dei generosi «donatori privati» del Golfo per promuovere la crescita del salafismo e del wahabismo, è stata prontamente utilizzata a scopo propagandistico.

Il premier israeliano Netanyahu per giorni ha ripetuto che Hamas e Isis sono uguali. Un’affermazione che non sta in piedi. Così come era assurda l’associazione che un ex premier israeliano, Ariel Sharon, fece, nel 2001 dopo l’attacco alle Torri Gemelle,  tra Osama bin Laden e Yasser Arafat.

Il salafismo al quale si rifanno al Qaeda e la sua ultima emanazione, l’Isis, ha sempre attaccato frontalmente Hamas, apostata perché accetta un sistema politico di tipo «occidentale». Talaat Zahran, un noto sceicco salafita, lo scorso 22 luglio ha definito «inappropriato» l’aiuto ai palestinesi di Gaza e ad Hamas perché non hanno interrotto l’alleanza con l’Iran sciita ed Hezbollah.

I leader del salafismo ripetono che vanno eliminati i «nemici interni» all’Islam, ossia gli sciiti e le altre minoranze islamiche, prima di lanciare la guerra santa contro i non-musulmani. Anche per questi motivi, sostenere che tra Assad – visto dai sunniti più radicali semplicemente come uno sciita alawita al potere – e l’Isis corra o corresse buon sangue vuol dire avere una conoscenza limitata dell’Islam e della sua storia e non aver compreso l’impatto che più di trent’anni fa ha avuto nella regione la rivoluzione islamica (sciita) in Iran. Significa non avere presente le trame che l’Arabia Saudita ha messo in piedi per decenni per contrastare l’ascesa della «Mezzaluna sciita», simboleggiata dall’alleanza tra la Siria e l’Iran. Vuol dire non avere presente il significato che per un sunnita più estremista ha vedere in mani dei munafiqin (dissimulatori), dei rawàfid (rinnegati), ossia gli sciiti, Damasco e Bahgdad, le due antiche «capitali» del sunnismo uscito vittorioso dal sanguinoso conflitto interno con i «partigiani di Ali».

Sono vicende antiche eppure così attuali in Medio Oriente, se si considera che l’Isis intende fondare un califfato prendendo a modello il periodo di Maometto e dei primi anni successivi alla sua morte. In particolare, in buona considerazione è tenuto il primo califfo dell’Islam, Abu Bakr, che diede priorità proprio alla lotta agli «apostati». Il Saladino, secoli dopo, fece strage degli sciiti prima di combattere i Crociati in Terra Santa. Ancora oggi una porzione significativa di sunniti fatica ad accettare gli sciiti come musulmani a tutti gli effetti. Che l’Isis e Assad possano aver dialogato e complottato assieme è pura immaginazione. Il fatto che Damasco abbia liberato nel 2011 decine di islamisti finiti poi nei ranghi dell’Isis non può aver avuto un impatto determinante sulla crescita di una organizzazione che tra Iraq e Siria conta decine di migliaia di miliziani.

È vero che Assad per un lungo periodo ha osservato con soddisfazione lo scontro armato tra l’Isis e le altre milizie ribelli. Ma quale parte in guerra non guarda con compiacimento ai nemici che si ammazzano tra di loro? Descrivere la crescita dell’Isis come frutto di una strategia studiata a tavolino dal presidente siriano e il suo entourage è irrazionale. La conquista di Baghdad, la pulizia territoriale dagli sciiti e dalle altre minoranze islamiche e la sua restituzione ai «legittimi proprietari» sunniti all’interno di un califfato, è la missione che si era dato dopo il 2003 Abu Musab al Zarqawi, il fondatore dello Stato Islamico in Iraq (Isi), approfittando dell’invasione anglo-americana del paese. Dopo l’uccisione di al Zarqawi quella missione è passata ad Abu Bakr al Baghdadi, il leader di Isis, che vuole fare di Siria e Iraq un califfato. La conquista della Siria, l’uscita di scena di Assad, la fine dell’alleanza tra Damasco e Tehran, sono il sogno di Riyadh e di altre petromonarchie sunnite.

Usa e Francia parlano di «gioco sporco» di Assad e dimenticano che se i jihadisti oggi dettano legge in Siria e Iraq ciò è avvenuto per le manovre dietro le quinte, talvolta con interessi non coincidenti, di Turchia, Qatar e Arabia Saudita. E con la benedizione di Washington. Senza dimenticare che all’inizio l’Els (la milizia della Coalizione Nazionale dell’Opposizione) aveva accolto a braccia aperte i combattenti dell’Isis e del Fronte al Nusra (il ramo siriano di al Qaeda) perché ben addestrati e in grado di dare filo da torcere all’esercito siriano. Sono state proprio le unità di al Nusra qualche giorno fa a strappare ai governativi il valico di Quneitra sul Golan, a conferma che i qaedisti e i «laici» combattono spalla a spalla. Ad al Nusra, all’Isis e alle altre formazioni islamiste, non importa nulla dei diritti umani violati, dei prigionieri politici, del pluralismo e della «brutale dittatura». Vogliono soltanto rovesciare l’apostata Assad.

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