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03/01/2015

1996. Napolitano, un "non nemico" al Viminale

Un documento straordinario, di quelli che bisognerebbe incorniciare e tenere sempre a portata di mano. Per chi era in buonafede convinto che il “grande Partito Comunista di Togliatti-Longo-Berlinguer” (e via degradando...) fosse davvero un problema sia per il capitalismo che per il sistema politico nazionale.

Si tratta di un'intervista a Federico Umberto D'Amato, il capo della polizia politica italiana ai tempi di Piazza Fontana (allora Ufficio Affari Riservati), fascista d'antàn e tessitore di trame reazionarie come pochi altri, nel cui nome ci si imbatte in ogni inchiesta e depistaggio sulle stragi di stato. Anche l'intervistatore merita una menzione: Giuseppe D'Avanzo, grande firma di Repubblica, scomparso mentre si teneva in forma andando in bicicletta, per un banalissimo infarto, uomo con entrature privilegate ai vertici della polizia e dei “servizi”.

Da buon fascista di palazzo, D'Amato s'era riciclato democristiano. Anche lui travolto da Tangentopoli? Ma che scherziamo! Certa gente muore davvero solo davanti a un plotone d'esecuzione rivoluzionario (se si tengono gli occhi molto aperti)... E l'amico D'Avanzo lo stuzzica andando a intervistarlo, da neo-pensionato mai davvero fuori dai giochi, sulla nomina di tale Giorgio Napolitano, ex “dirigente comunista”, a ministro dell'Interno.

Noi ci limitiamo a riproporre l'intervista, datata 19 maggio 1996. Ricordando ai lettori di fare attenzione a due cose. Una, esplicita, è il giudizio entusiastico del vecchio piduista – ah, già! non si era fatta mancare neanche questa onoreficienza, oltre alla medaglia ricevuta dalla CIA (la Bronze Star) – per il suo “candidato numero uno” alla poltrona di ministro di polizia. La seconda, molto meno evidente: qualcuno ha notizia di un solo documento sui “servizi deviati” uscito dagli archivi durante il triennio di Re Giorgio al Viminale? No, eh? Per noi è sufficiente questo “dettaglio”, per non voler mai più sentir parlare di “servizi deviati”. Al contrario, ci sembrano abbastanza rettilenei...

Dite che certi passaggi di questa intervista non gettano una buona luce sul fu Pci? Che ne esce un'idea non proprio nobile del "consociativismo" solo ora dichiarato sepolto? Basta non nutrire alcuna nostalgia...

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di GIUSEPPE D' AVANZO

ROMA - "Glielo dico in un orecchio: Napolitano era il mio candidato unico". Federico Umberto D'Amato si versa un altro bicchiere di Chardonnay, accarezza il suo silenzioso yorkshire che si chiama Flic, dà fuoco all'ottava Philip Morris in un'ora. "Ho una grande stima di lui, è un uomo freddo, freddo al punto giusto per poter fare il ministro dell'Interno".

L'hanno chiamato in molti modi, D'Amato. Il Grande Fascicolatore, il Re degli Spioni, l'Uomo Nero dell'ufficio Affari Riservati del Viminale. C' è molto di esagerato e qualcosa di vero in queste definizioni. Di vero c'è che il prefetto Federico Umberto D'Amato, nonostante il vestito di flic gastronome che si è cucito poi addosso, si porta sulle spalle di pensionato di 78 anni un fardello di storie inconfessabili che vanno dal Sifar a Roberto Calvi transitando per golpe Borghese, Gelli, P2. Per poco meno di 40, è stato l'ascoltatissimo consigliere di governi e ministri. Per decenni, è stato indicato dal Pci come l'uomo che spiava i comunisti per conto degli americani.

E ora che un ex-comunista s'è insediato nel suo Viminale, come la mettiamo?
"Che vuole che faccia? Mi metto a sedere e vedo che succede. I governi passano e i capi divisione restano".

 Tutto cambi perché nulla cambi?
"Bello mio, ma è già tutto cambiato. Veramente pensi che i poliziotti abbiano ancora paura dei comunisti? La paura dei comunisti è un sentimento scomparso da tempo al Viminale, e ben prima che crollasse quel benedetto Muro".

Prefetto, mica vorrà dire che non ha mai spiato i comunisti?
"Certo, che li ho spiati. Era il mio mestiere, ho diretto l' ufficio speciale della Nato".

Anche Napolitano, ha spiato?
"Era il mio mestiere".

Lavoro illegittimo?
"Era tutto legittimo. Eravamo nell'immediato dopoguerra, 1947 o 1948. Io stavo allora all'ufficio politico della Questura e tenevo d'occhio quei giovanotti, Negarville, Reale, Napolitano...".

Ma quell'"attenzione" è andata oltre il dopoguerra...
"Sicuro che è continuata. Venne la 'guerra fredda' e nacque il 'Casellario politico centrale' dove venivano raccolte le schede degli uomini 'più attivi e pericolosi' della sinistra e della destra. C'era anche Napolitano, anche lui ebbe diritto alla sua brava scheda".

Insomma, schedavate i comunisti?
"Non è una novità, figlio mio. Era tutto fatto all'acqua di rose, però. Si diceva al commissario di Ps: tal dei tali abita nel tuo quartiere, dategli un'occhiata di tanto in tanto e se cambia domicilio, segnalate a questa autorità".

Tutto qui?
"Gesù, ma allora tu non hai capito che questa è stata una Repubblica fondata non sul lavoro, come dice la Costituzione, ma su una paura tutta da ridere. I borghesi tremavano come foglioline al pensiero dei cosacchi in piazza San Pietro. I comunisti avevano paura dello Stato che immaginavano repressivo, occhiuto, efficiente. Invece, quello era uno Stato sfessato e quella paura faceva felici e ricchi soltanto i ciarlatani, i magliari, i venditori di fumo. Qualcuno si è seduto anche al Viminale".

Chi?
"Tambroni, ad esempio. Il peggior ministro dell'Interno che ho conosciuto. Era un provincialotto, si sistemò al Viminale e perse la testa. Strinse legami pericolosi e illeciti con settori della Cia".

Che cosa fece?
"Si accordò con uno della Cia che veniva da Trieste e insieme crearono un nucleo investigativo speciale - un gruppo di irregolari, soprattutto italo-americani - che si piazzò dentro il Viminale con a capo un questore. Con le notizie raccolte da questi sciamannati, Tambroni si presentava in Parlamento a raccontare risibili storie sui 'propositi rivoluzionari' del Pci. Ma, in fondo, il Pci era il falso bersaglio".

Quello vero qual era?
"I veri avversari di Tambroni non erano i comunisti, ma i suoi amici democristiani. Il 'nucleo speciale' gli serviva per controllare la vita privata dei suoi nemici politici, e incastrarli. Poi, li chiamava nel suo studio, apriva il cassetto della scrivania e diceva: 'Amico mio, se io apro questo cassetto...' ".

E che aveva nel cassetto?
"Praticamente niente, ma la tattica funzionava perché ognuno di noi si porta dietro la sua ombra".

Tambroni è stato un pessimo ministro. E gli altri?
"Ce ne sono stati di ottimi. Ottimo è stato Romita, straordinari Scelba, Paolo Emilio Taviani e Francesco Cossiga".

Scalfaro non è nel novero?
"Non mi pronuncio su Scalfaro, altrimenti quest'intervista diventa un guaio".

E i peggiori?
"Gesù, Gava! Lo vedi che mi mancano i capelli. Mi caddero quando Antonio Gava divenne ministro dell'Interno. Avevo appena smesso i calzoni corti e già mio padre - Federico, questore - diceva che erano mariuoli".

E i capi della polizia?
"Ce ne sono stati di ottimi. Carcaterra, Vicari, Zanda, Meneghini, Parlato, Coronas. Gente che non ha mai fatto un intrallazzo, semmai gli intrallazzi se li facevano i ministri, da soli".

Vincenzo Parisi non è nella schiera?
"Soltanto perché ho 78 anni. L'ho dimenticato. Un grandissimo capo della polizia. Soltanto un imbecille come Maroni poteva liquidarlo in quel modo facendogli venire l'infarto fatale".

Se dovesse dare un consiglio a Napolitano, che cosa gli direbbe?
"Gli direi innanzi tutto: signor ministro, io so che lei non ha mai creduto a quella sciocca paura che ha diviso l' Italia per cinquant'anni. Anche per questo, io so che lei sarà un buon ministro dell'Interno. Le posso dare due consigli. Come diceva Talleyrand ai suoi direttori generali, anche lei deve rispettare la regola et surtout pas trop de zéle, mai troppo zelo. La sua poltrona ha il difettuccio che chi ci arriva può credersi un padreterno. E' uno di quegli incarichi che producono deliri paranoici, soprattutto una pericolosa mania di grandezza. Quindi, niente zelo, onorevole ministro!".

E il secondo consiglio?
"Mai mangiare al ministero. La cucina dei ministeri, e anche di Palazzo Chigi, è abominevole".

Un'ultima domanda. Che c' era in quelle schede intestate a Napolitano?
"Guagliò, ma tu sei scemo! Se lo dico nella tua intervista, che cosa ci metto nel mio libro di memorie?".

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