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23/01/2015

ANALISI. Il processo di disintegrazione della Libia

di Francesca La Bella

Ormai da molto tempo, a cadenza regolare, riaffiora nel dibattito internazionale la questione libica. Molte volte, in questi anni, gli analisti hanno dichiarato che la Libia era giunta ad un punto di svolta nel suo destino, che da quel momento in avanti tutto sarebbe stato diverso. L’intervento internazionale, la caduta di Gheddafi, il caos del dopo-Gheddafi, gli attentati contro le ambasciate e i rapimenti, le minacce di un un nuovo intervento internazionale e gli scontri tra le diverse fazioni etniche, religiose e politiche interne al Paese: tutte fasi di un processo di disintegrazione della Libia come Stato, come comunità e come soggetto internazionale.

Questa condizione di conflitto latente ha avuto anche un ulteriore risvolto. La problematica libica, essendo uscita dall’eccezionalità del momento, ritorna all’attenzione della comunità internazionale laddove altre questioni non vengano considerate più “urgenti” o nel caso la questione libica si ricolleghi ad esse. Il rafforzamento delle compagini islamiste ha così rinnovato l’intraprendenza egiziana ed algerina nelle questioni di politica interna del vicino d’area e le bandiere dello Stato Islamico che sventolavano a Derna durante l’avanzata del califfato in Iraq e Siria hanno riacceso l’interesse europeo per la questione libica.

A questo si aggiunga che il Paese, per molto tempo, è stato considerato strategico soprattutto dal punto di vista economico/energetico per l’Europa in generale e per l’Italia in particolare. La lunga fase di ostilità ha, però, indebolito enormemente le capacità di estrazione ed esportazione degli idrocarburi libici, unico settore ancora produttivo in un sistema economico pressoché distrutto. In questo senso bisogna, quindi, leggere le dichiarazioni degli ultimi giorni di rappresentanti europei in merito alla questione libica. L’impegno delle Nazioni Unite per avviare i colloqui a Ginevra tra le diverse parti in conflitto, la disponibilità della Missione di supporto alla Libia di valutare la possibilità di trasferire i colloqui nel territorio libico in condizioni di sicurezza e le dichiarazioni del Governo italiano sono le evidenze di questa rinnovata intraprendenza. Per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Marco Minniti è stata, infatti, palesata la disponibilità dell’Italia a intervenire in Libia sotto egida ONU perché “la Libia è lo specchio dell’Italia e dell’Europa, se la Libia va bene, va bene l’Italia e l’Europa, se la Libia va male […] saranno problemi non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa”.

La prospettiva di una pacificazione è, però, ben lontana e la percezioni di insicurezza rimane molto forte nel Paese. L’amministrazione statunitense ha invitato i suoi cittadini ad abbandonare il suolo libico ed è di ieri la notizia del probabile rapimento a Tripoli del numero due della rappresentanza della Libia presso l’Opec, Samir Salem Kamal. Gli ostacoli al raggiungimento di una qualsivoglia forma di equilibrio interno sono, dunque, ancora molti ed attengono a diverse sfere di azione. Se dal punto di vista militare, il cessate il fuoco dichiarato da Libya Dawn potrebbe essere un primo passo in direzione distensiva, dal punto di vista politico molte sono le incognite.

A questo proposito sembra doveroso sottolineare un aspetto. Il dibattito internazionale si è concentrato su una rappresentazione parzialmente semplificata della questione libica. In Libia esisterebbero due forze contrapposte, una con base a Tobruk, perlopiù laica e legittimata a livello internazionale, ed una con base Tripoli vagamente assimilabile all’opposizione islamista, che dovrebbero essere aiutate dalla comunità internazionale a giungere ad un accordo per la ricostruzione del Paese. La realtà è, però, ben più articolata ed esistono attori fondamentali le cui scelte non possono essere chiaramente assimilate a quelle delle coalizioni alle quali, formalmente, apparterrebbero: dai gruppi ribelli dello Zintan alla coalizione di Misurata, dalle brigate di Khalifa Haftar agli irriducibili di Ansar al Sharia.

In questo senso, gli incontri di Ginevra potrebbero diventare solamente l’ennesimo atto di una tragedia ormai infinita. Questo è ancor più vero se si considera che il Paese, statualmente fallito, non riesce a garantire i servizi primari alla popolazione che, laddove non sia coinvolta direttamente nei combattimenti, cerca la fuga via mare verso l’Europa con drammatiche conseguenze. Al momento, dunque, nonostante i segnali di apertura per un Governo di unità nazionale non sembrano esserci le premesse per una reale soluzione di lungo termine per la Libia.

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