di Francesca La Bella
Ormai da molto tempo, a cadenza regolare, riaffiora nel dibattito
internazionale la questione libica. Molte volte, in questi anni, gli
analisti hanno dichiarato che la Libia era giunta ad un punto di svolta
nel suo destino, che da quel momento in avanti tutto sarebbe stato
diverso. L’intervento internazionale, la caduta di Gheddafi, il
caos del dopo-Gheddafi, gli attentati contro le ambasciate e i
rapimenti, le minacce di un un nuovo intervento internazionale e gli
scontri tra le diverse fazioni etniche, religiose e politiche interne al
Paese: tutte fasi di un processo di disintegrazione della Libia come
Stato, come comunità e come soggetto internazionale.
Questa condizione di conflitto latente ha avuto anche un ulteriore
risvolto. La problematica libica, essendo uscita dall’eccezionalità del
momento, ritorna all’attenzione della comunità internazionale laddove
altre questioni non vengano considerate più “urgenti” o nel caso la
questione libica si ricolleghi ad esse. Il rafforzamento delle compagini
islamiste ha così rinnovato l’intraprendenza egiziana ed algerina nelle
questioni di politica interna del vicino d’area e le bandiere dello
Stato Islamico che sventolavano a Derna durante l’avanzata del califfato
in Iraq e Siria hanno riacceso l’interesse europeo per la questione
libica.
A questo si aggiunga che il Paese, per molto tempo, è stato
considerato strategico soprattutto dal punto di vista
economico/energetico per l’Europa in generale e per l’Italia in
particolare. La lunga fase di ostilità ha, però, indebolito
enormemente le capacità di estrazione ed esportazione degli idrocarburi
libici, unico settore ancora produttivo in un sistema economico pressoché distrutto. In questo senso bisogna, quindi, leggere
le dichiarazioni degli ultimi giorni di rappresentanti europei in merito
alla questione libica. L’impegno delle Nazioni Unite per avviare i
colloqui a Ginevra tra le diverse parti in conflitto, la disponibilità
della Missione di supporto alla Libia di valutare la possibilità di
trasferire i colloqui nel territorio libico in condizioni di sicurezza e
le dichiarazioni del Governo italiano sono le evidenze di questa
rinnovata intraprendenza. Per bocca del sottosegretario alla
presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Marco Minniti è
stata, infatti, palesata la disponibilità dell’Italia a intervenire in
Libia sotto egida ONU perché “la Libia è lo specchio dell’Italia e
dell’Europa, se la Libia va bene, va bene l’Italia e l’Europa, se la
Libia va male […] saranno problemi non solo per l’Italia, ma anche per
l’Europa”.
La prospettiva di una pacificazione è, però, ben lontana e la
percezioni di insicurezza rimane molto forte nel Paese.
L’amministrazione statunitense ha invitato i suoi cittadini ad
abbandonare il suolo libico ed è di ieri la notizia del probabile rapimento a Tripoli del numero due della rappresentanza della Libia presso l’Opec, Samir Salem Kamal.
Gli ostacoli al raggiungimento di una qualsivoglia forma di equilibrio
interno sono, dunque, ancora molti ed attengono a diverse sfere di
azione. Se dal punto di vista militare, il cessate il fuoco dichiarato
da Libya Dawn potrebbe essere un primo passo in direzione distensiva,
dal punto di vista politico molte sono le incognite.
A questo proposito sembra doveroso sottolineare un aspetto. Il
dibattito internazionale si è concentrato su una rappresentazione
parzialmente semplificata della questione libica. In Libia esisterebbero
due forze contrapposte, una con base a Tobruk, perlopiù laica e
legittimata a livello internazionale, ed una con base Tripoli vagamente
assimilabile all’opposizione islamista, che dovrebbero essere aiutate
dalla comunità internazionale a giungere ad un accordo per la
ricostruzione del Paese. La realtà è, però, ben più articolata
ed esistono attori fondamentali le cui scelte non possono essere
chiaramente assimilate a quelle delle coalizioni alle quali,
formalmente, apparterrebbero: dai gruppi ribelli dello Zintan alla
coalizione di Misurata, dalle brigate di Khalifa Haftar agli
irriducibili di Ansar al Sharia.
In questo senso, gli incontri di Ginevra potrebbero diventare
solamente l’ennesimo atto di una tragedia ormai infinita. Questo è ancor
più vero se si considera che il Paese, statualmente fallito, non riesce
a garantire i servizi primari alla popolazione che, laddove non sia
coinvolta direttamente nei combattimenti, cerca la fuga via mare verso
l’Europa con drammatiche conseguenze. Al momento, dunque, nonostante i
segnali di apertura per un Governo di unità nazionale non sembrano
esserci le premesse per una reale soluzione di lungo termine per la
Libia.
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