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20/01/2015

Cosa è l’ordine mondiale?

L’espressione “ordine mondiale” (o “nuovo ordine mondiale”) è molto usata nel linguaggio corrente, ma con significati molto distanti da quello impiegato dalla teoria delle relazioni internazionali e, in qualche caso, legato a teorie ingenue o fantasiose con scarsi agganci con la realtà.

In primo luogo, l’ordine mondiale non è sinonimo di “governo unico mondiale”, come molti pensano, influenzati dall’equivoco dell’inglese governance mondiale, tradotto come “governo”, mentre in inglese governo è government. Ma l’espressione in inglese nasce in ambito aziendale (come dimostra il fatto che esso compare spesso con l’aggettivo corporate) e indica il modello organizzativo, il metodo di direzione di un complesso aziendale. Solo successivamente, con la scomparsa dell’aggettivo corporate è stato assunto (prima in senso figurato, poi, via via, con sempre maggiore valore letterale),  in campo politico alimentando l’idea di una governance mondiale come “governo del Mondo” in senso stretto, come catena di comando avente un centro direzionale unico.

E, infatti, nell’uso corrente (e parzialmente anche nel linguaggio specialistico della politologia) il termine governo è associato ad una istituzione dotata di una sua individualità, posta in posizione apicale di comando nella catena di comando, dunque gerarchicamente sovraordinata.

In realtà, nel sistema mondiale una cosa del genere non è mai esistita ed è piuttosto difficile che possa esistere in un futuro prevedibile. L’ordine internazionale basato sugli Stati non ha carattere gerarchico ma negoziale (si suole dire che è “anarchico”): ogni attore statale è formalmente “sovrano” e se può accettare limitazioni di sovranità lo fa – almeno in teoria – per propria scelta e mantenendo un diritto di recesso. Anche gli organismi internazionali (Onu, Fmi, Banca Mondiale ecc.) non hanno competenze illimitate e, pur avendo capacità di influenza più o meno  ampia, non hanno facoltà di comando, perché le decisioni sono adottate sempre sulla base di negoziati. Riprenderemo poco più avanti il discorso.

Da questa idea dell’ordine mondiale come comando unificato, discende l’idea di “Nuovo Ordine Mondiale” come complotto di singoli stati o ristrette oligarchie politico-finanziarie, tendenti a costruire un unico centro direzionale, cui subordinare ogni altro potere mondiale. Il punto merita qualche delucidazione. L’idea di un governo unico mondiale che superasse l’ordine degli stati nazionali non è affatto nuova ed anzi precede la stessa idea di Stato nazione. La Res publica christianorum era già l’idea di un ordine mondiale (intendendo per esso il mondo conosciuto e raggiungibile) sotto un unico sovrano di ispirazione cristiana e l’Impero Carolingio ne fu il più riuscito tentativo di realizzazione. L’idea di un governo mondiale sovraordinato rispetto alle comunità locali, che assicuri la pace mondiale, si affaccia in vario modo anche nelle opere di Dante, Campanella, Marsilio, Grozio, Kant ed altri ancora. E’ solo nell’ottocento che verrà teorizzato che “fra l’individuo e l’umanità c’è la nazione” come gradino ineliminabile e l’ordine westfalico viene coniugato con quello di stati nazione solidali fra loro. Dopo, lo stesso progetto di rivoluzione comunista mondiale, elaborato da Lenin, aveva per suo fine la costruzione di un governo mondiale che “abolisse i confini” e realizzasse la repubblica mondiale dei consigli operai.

Sin qui, siamo a progetti pubblici, apertamente teorizzati in testi di filosofia politica o in manifesti politici di partiti alla luce del sole.

Dall’ottocento, tuttavia, si afferma una corrente di pensiero che individua in ristrette oligarchie a prevalente carattere esoterico e/o finanziario i portatori di un progetto di dominio mondiale. Di tale disegno sono stati accusati di volta in volta gli “illuminati di Baviera”, la Massoneria internazionale, la “Sinarchia”, i “nani del lago Lemano”, i “Savi anziani di Sion”, la Piligrims Society, l’Istituto Tavistok, il Bildberberg, la Trilateral, l’Aspen, il “senato finanziario Mondiale”, la “P7”, con una netta preferenza per i (pretesi) complotti di ispirazione ebraica. Di alcune di queste associazioni non esiste prova certa che siano esistite e meno che mai che abbiano avuto il progetto di costituirsi in comando unico mondiale. In molti casi si è trattato – o si tratta – di comitati d’affari o “camere di compensazione” fra le diverse èlite nazionali del mondo occidentale (è da notare l’assenza di similari associazioni non europee o nord americane). E’ realistico pensare che alcune di queste associazioni abbiano progetti di espandere la loro influenza al massimo possibile e qualcuno magari pensi ad una sorta di “governo occulto del Mondo”, ma progettare non è la stessa cosa che realizzare e che un simile progetto abbia probabilità di successo è quantomeno dubbio.

All’estremo opposto, abbiamo idealizzazioni ugualmente infondate che identificano l’ordine mondiale con la realizzazione di un ordine in grado di assicurare la giustizia nel mondo, al di là degli egoismi nazionali. Una utopia seducente e forse auspicabile, ma che nessuno sa come realizzare, L’ordine mondiale non ha compiti di natura etica, ma essenzialmente pratici e politici. Lo scopo è quello di perseguire uno stato di pace generalizzata, conservando lo stato di cose presente, senza porsi il problema se esso sia giusto, il mutamento può essere auspicato da singoli soggetti e può avvenire, ma, dal punto di vista dei fautori dell’ordine mondiale, esso deve concretarsi con la lentezza ed i compromessi necessari ad evitare conflitti armati. Da questo punto di vista i pacifisti sono i massimi fautori dell’esistente.

Ma la persistenza di un ordine mondiale non esclude affatto conflitti locali, indiretti o marginali che possono esserci costituendo turbative non influenti sinché  siano controllabili.
L’ordine mondiale è uno stabile equilibrio dei rapporti di forza fra i principali attori mondiali. Quello che rileva sono essenzialmente due aspetti:

- che non ci siano conflitti aperti fra grandi potenze;

- che ci sia una sostanziale accettazione – anche solo passiva – di questo equilibrio da gran parte degli altri soggetti mondiali

- che non ci siano sfide credibili a questo equilibrio da parte di soggetti “ribelli” a tale ordine.

Facciamo un esempio per capirci: l’ordine bipolare che ha regnato dal 1945 al 1989 era basato sull’equilibrio fra le due grandi potenze (Usa ed Urss), che tacitamente accettavano la spartizione per aree di influenza, intervenendo nei conflitti locali, ma evitando accuratamente ogni confronto militare diretto, secondo il principio della “coesistenza pacifica”.

Intorno ad esse si raccoglievano altre potenze di media grandezza (Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone da un lato, Polonia, Rdt, Ungheria dall’altro) o nazioni minori. Fra i due blocchi si formò una area di “non allineati” (di volta in volta più o meno simpatizzanti dell’uno o dell’altro blocco) che giocava un ruolo di mediazione e riequilibrio parziale, ma che si muoveva all’interno di quell’ordine sostanzialmente accettato. Unico soggetto “ribelle” di qualche consistenza era la Cina che, però, rendendosi conto di non avere lontanamente il rapporto di forze sufficiente a rimettere in discussione l’ordinamento esistente, si limitava all’azione di propaganda.

Durante i 45 anni dell’ordine bipolare non mancarono né conflitti locali (Corea, Vietnam, guerre mediorientali, per citare solo i più rilevanti) né guerriglie, rivoluzioni e colpi di Stato, ma in nessun caso l’episodio è andato oltre i limiti nazionali o, al massimo, di area circoscritta.

L’esempio scelto ci permette di approfondire il discorso su alcuni aspetti. In primo luogo, l’ordine mondiale è gerarchico: alla sommità abbiamo le due superpotenze, quindi i loro alleati maggiori (che accettano implicitamente limitazioni alla propria sovranità), poi quelli minori (ancor più limitati nella loro sovranità), poi i soggetti “non allineati” (formalmente più indipendenti, ma sfavoriti dai rapporti di forza).

In secondo luogo, l’ordine mondiale non è mai statico, ma sempre dinamico, anche se in certi limiti: mutamenti nei rapporti di forza possono essercene (per lo sviluppo della corsa agli armamenti, lo spostamento di un paese da un’area all’altra a causa di una rivoluzione o di un colpo di Stato, per il sopraggiungere di una crisi economica, per l’esito di un conflitto locale ecc.) ma, nel caso del bipolarismo, sempre entro la cornice della “coesistenza pacifica”.

Ne consegue che l’ordine mondiale non è solo un concetto di ordine qualitativo (c’è o non c’è) quanto piuttosto quantitativo (c’è, ma è più o meno perturbato).

In terzo luogo, il meccanismo fondamentale che regge un ordine mondiale è quello dell’egemonia, concetto che implica l’affermarsi di un determinato rapporto di forze (basato sugli equilibri militari, politici, culturali) e l’accettazione di esso da parte degli altri. Si tratta di un mix di forza e di consenso che si esercita su un numero più o meno circoscritto di interlocutori, sia in una determinata area geografica (ad esempio, l’espansionismo russo è sempre stato essenzialmente rivolto verso i paesi confinanti, in modo da dar vita ad un blocco “chiuso”), sia verso un’area di paesi sparsi per il mondo (come è tipico delle potenze marittime come Usa o Inghilterra).

Ora il problema è capire cosa è accaduto dopo la fine dell’ordinamento bipolare, se questo sia un nuovo ordine mondiale, se sia in formazione, e su cosa si basi. Ma lo vediamo in un prossimo articolo.

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