Oggi Renzi è indubbiamente il vincitore
dello scontro appena concluso. Non è detto che questo gli porti fortuna:
non credo che Mattarella sarà un Presidente-scendiletto ed, anche se
non sarà particolarmente interventista, non sarà un Presidente-complice
come il suo predecessore. Inoltre, non è detto che il Nazareno risorga o
che, risorto, torni ad essere quello di prima, e questo potrebbe creare
molti grattacapi, tanto sulla via delle riforme, quanto su quella del
governo.
Ma tutto questo si vedrà, per ora, il
fiorentino porta a casa una vittoria di notevole importanza ed oggi ha
più probabilità di restare a palazzo Chigi sino al 2018, anche se il
futuro è sulle ginocchia di Giove e bisognerà vedere.
Dunque, Renzi ha stracciato i suoi
avversari interni nelle votazioni del dicembre 2013, ha abbattuto il
povero Letta, ha battuto il M5s alle europee, gli sono andate bene le
elezioni locali dove ha conquistato amministrazioni comunali e
regionali, ha superato le resistenze europee sul nome della Mogherini,
ha portato a conclusione la riforma del jobs act asfaltando le
opposizioni interne ed esterne, sta (ma non è ancora riuscito del tutto)
portando a buon fine le riforme istituzionali ed ora ha chiuso bene la
partita del Quirinale. Un carnet di tutto rispetto che lo
designa come l’uomo vincente nel Palazzo. Allora poniamoci un problema:
quale è il suo segreto?
L’uomo è fortunato, non c’è dubbio, ma
la fortuna non è un fenomeno valutabile sul piano dell’analisi politica.
L’uomo non è affatto privo di difetti: strategicamente Renzi non vale
molto, non ha idee chiare sul lungo periodo; non è colto, ma, anzi
piuttosto grezzo, è un praticone con la vocazione al rabbercio; ha una
visione semplicistica della politica ed, in particolare sul piano delle
relazioni internazionali è un disastroso gaffeur; non ha neppure un bel
tratto umano: è rozzo, sgarbato, incapace di rispetto degli altri.
Ma vince, almeno sul periodo
medio-breve perché, semplicemente, mi pare che si possa dire che l’uomo
è più abile dei suoi avversari ed in politica si vince per differenza.
Cerchiamo di capire in cosa è più abile degli altri inquilini del Palazzo (in un altro pezzo parleremo delle opposizioni).
In primo luogo ha una dote comune al solo Berlusconi: è tempista,
mentre gli altri si perdono a fare melina, lui tira in porta e spesso
segna. La politica italiana ha un suo tratto inconfondibile, frutto
della storia: l’eredità della politica barocca. Fra il XVI e il XVII
secolo, in Italia, la politica assunse un suo modo di essere, che fu
anche uno stile: il compiacimento della manovra lenta ed inutilmente
complicata, il rifuggire gli scontri frontali, il gusto dell’intrigo, il
virtuosismo dell’ambiguità. I termini della politica barocca furono:
dissimulare, aggirare, temporeggiare, eludere, logorare, sfuggire,
scivolare.
Questo fu il prodotto delle particolari
condizioni storiche dell’epoca, che vedevano il paese incapace di
resistere all’urto con le maggiori potenze europee, di cui si avviava a
diventare terra di conquista e la società civili oppressa dal nuovo
rigore dell’Inquisizione della Controriforma, che imponeva
l’autocensura. Ma, al di là della contingenza storica, questo modo di
intendere lasciò un sedimento durevole che è giunto sino a noi e la
Prima Repubblica (anch’essa schiacciata fra l’urto delle potenze
esterne e l’autocensura interna) ne fu ampiamente pervasa, si pensi
allo stile di esponenti di primissimo piano come Togliatti, Moro,
Andreotti, Spadolini, De Martino, Saragat.
Peraltro, tutto questo si sommava ad una
visione della politica come strategia di lungo periodo e ad uno
spessore culturale di alto profilo che, almeno in parte, contrappesava
il manierismo barocco in cui essa era avviluppata. In un tempo segnato
da una classe politica di bassissimo profilo culturale e dalla pressione
populista dei “media veloci” (tv ed internet), questo stile diventa una
trappola mortale per chi la pratica: esitare, oscillare, essere
indecisi, esprimersi in modo fumoso sono tutte pratiche pericolose.
Questo era già iniziato negli ultimi tempi della Prima repubblica ed ha
trovato pieno sviluppo nella seconda ed il “politico di Curia” (Forlani,
De Mita, La Malfa Jr, D’Alema, Casini, Bersani, Cuperlo) è andato via
via sempre più soccombendo rispetto al “politico d’intuito e d’assalto”
(Pannella, Craxi, Berlusconi ed, appunto, Renzi).
Le manfrine di
Cuperlo-Bersani-Casini-Alfano e persino la richiesta di osservanza del
patto del Nazareno di Berlusconi, sono il vecchio, mentre il “nuovo” è
la spregiudicatezza, la slealtà, il cinismo di Renzi “il vincente”.
Velocità d’azione e decisionismo
sono diventati elementi vincenti come anche la capacità di iniziativa
in cui Renzi, bisogna riconoscerlo, eccelle: promuove cento progetti
(riforma della legge elettorale, del Senato, della fiscalità, jobs act...),
magari sono sgangherati e ne realizza solo una parte, ma costringe gli
altri ad inseguirlo e detta lui tempi e modi dell’agenda politica. Il
dividendo dei consensi lui lo riscuote all’annuncio dell’iniziativa, se
poi la cosa va in porto o si perde non ha importanza, perché, nel
frattempo, l’opinione pubblica è stata bombardata da altri duecento
annunci. Certo, sul lungo periodo, Renzi rischia di morire di
“annuncite”, ma sul tempo breve ne riscuote il profitto. A tutto questo,
Renzi aggiunge particolari tecniche di gestione e di comunicazione.
Tecnica di gestione preferita è quella del “fatto compiuto”.
Renzi sta imponendo una gestione iper autoritaria del partito e, per
certi versi, anche del governo, ma nessuno osa criticare i suoi atti
neppure a posteriori come se si trattasse della cosa più normale del
mondo. Lui ha stracciato la prassi per la quale la designazione del
candidato alla Presidenza della Repubblica spettava all’assemblea dei
gruppi parlamentari sostituendola con una sua decisione personalissima
da comunicare all’ultimo momento. E il dibattito politico? “E’ solo una
perdita di tempo, la gente vuole decisioni rapide”. Di fatto ha
introdotto una nuova modifica nell’assetto dei poteri senza colpo
ferire.
Altro aspetto del suo modo d’agire è l’estrema flessibilità sino al cinismo più spregiudicato.
Mattarella non era certo il suo candidato preferito, però, con la
prontezza di riflessi che gli appartiene, ha capito che doveva
compattare il partito evitando una candidatura Prodi e Mattarella era la
candidatura buona per tirare dalla sua i bersaniani. Questo significava
buttare a mare Berlusconi? Ed allora? Quale è il problema? Anche
perché, se a parlare di tradimento è uno come Berlusconi non è un gran
danno. E’ solo successo che il Cavaliere ha incontrato uno più
“disinvolto” di lui.
Nelle discussioni Renzi non risponde mai
nel merito delle obiezioni o proposte altrui, ma solo con giudizi di
valore negativi su chi le formula: “Gufi”, “Vecchi”, “Rosiconi”, “gente
che rema contro”...
Perché, anche sul piano della comunicazione, il suo punto di forza è proprio la rozzezza, l’arroganza, la maleducazione. Lo stile “tamarro” piace,
dobbiamo farcene una ragione. Così come ha successo la slealtà. Mancare
ai patti è segno di furbizia, buttare a mare alleati e sodali è prova
di senso pratico, il cinismo è intelligenza...
Qualcuno potrà osservare che, in questo
modo, si perde il diritto di guardarsi allo specchio la mattina, ma non
c’è problema: Renzi in casa non ha specchi. E forse non ha nemmeno la
faccia.
Conviene “prendere le misure” a questo
avversario e regolarsi di conseguenza: evitare di sottovalutarlo, ma
anche evitare l’opposto, di valutarlo più di quel che merita. Renzi
resta un giullare, ma un giullare molto pericoloso. Tutto qui.
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