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02/02/2015

Il segreto di Renzi

Oggi Renzi è indubbiamente il vincitore dello scontro appena concluso. Non è detto che questo gli porti fortuna: non credo che Mattarella sarà un Presidente-scendiletto ed, anche se non sarà particolarmente interventista, non sarà un Presidente-complice come il suo predecessore. Inoltre, non è detto che il Nazareno risorga o che, risorto, torni ad essere quello di prima, e questo potrebbe creare molti grattacapi, tanto sulla via delle riforme, quanto su quella del governo.

Ma tutto questo si vedrà, per ora, il fiorentino porta a casa una vittoria di notevole importanza ed oggi ha più probabilità di restare a palazzo Chigi sino al 2018, anche se il futuro è sulle ginocchia di Giove e bisognerà vedere.

Dunque, Renzi ha stracciato i suoi avversari interni nelle votazioni del dicembre 2013, ha abbattuto il povero Letta, ha battuto il M5s alle europee, gli sono andate bene le elezioni locali dove ha conquistato amministrazioni comunali e regionali, ha superato le resistenze europee sul nome della Mogherini, ha portato a conclusione la riforma del jobs act asfaltando le opposizioni interne ed esterne, sta (ma non è ancora riuscito del tutto) portando a buon fine le riforme istituzionali ed ora ha chiuso bene la partita del Quirinale. Un carnet di tutto rispetto che lo designa come l’uomo vincente nel Palazzo. Allora poniamoci un problema: quale è il suo segreto?

L’uomo è fortunato, non c’è dubbio, ma la fortuna non è un fenomeno valutabile sul piano dell’analisi politica. L’uomo non è affatto privo di difetti: strategicamente Renzi non vale molto, non ha idee chiare sul lungo periodo; non è colto, ma, anzi piuttosto grezzo, è un praticone con la vocazione al rabbercio; ha una visione semplicistica della politica ed, in particolare sul piano delle relazioni internazionali è un disastroso gaffeur; non ha neppure un bel tratto umano: è rozzo, sgarbato, incapace di rispetto degli altri.

Ma vince, almeno sul periodo medio-breve perché, semplicemente, mi pare che si possa dire che l’uomo è più abile dei suoi avversari ed in politica si vince per differenza.

Cerchiamo di capire in cosa è più abile degli altri inquilini del Palazzo (in un altro pezzo parleremo delle opposizioni).

In primo luogo ha una dote comune al solo Berlusconi: è tempista, mentre gli altri si perdono a fare melina, lui tira in porta e spesso segna. La politica italiana ha un suo tratto inconfondibile, frutto della storia: l’eredità della politica barocca. Fra il XVI e il XVII secolo, in Italia, la politica assunse un suo modo di essere, che fu anche uno stile: il compiacimento della manovra lenta ed inutilmente complicata, il rifuggire gli scontri frontali, il gusto dell’intrigo, il virtuosismo dell’ambiguità. I termini della politica barocca furono: dissimulare, aggirare, temporeggiare, eludere, logorare, sfuggire, scivolare.

Questo fu il prodotto delle particolari condizioni storiche dell’epoca, che vedevano il paese incapace di resistere all’urto con le maggiori potenze europee, di cui si avviava a diventare terra di conquista e la società civili oppressa dal nuovo rigore dell’Inquisizione della Controriforma, che imponeva l’autocensura. Ma, al di là della contingenza storica, questo modo di intendere lasciò un sedimento durevole che è giunto sino a noi e la Prima Repubblica (anch’essa schiacciata fra l’urto delle potenze esterne e l’autocensura interna) ne fu ampiamente pervasa, si pensi allo stile di esponenti di primissimo piano come Togliatti, Moro, Andreotti, Spadolini, De Martino, Saragat.

Peraltro, tutto questo si sommava ad una visione della politica come strategia di lungo periodo e ad uno spessore culturale di alto profilo che, almeno in parte, contrappesava il manierismo barocco in cui essa era avviluppata. In un tempo segnato da una classe politica di bassissimo profilo culturale e dalla pressione populista dei “media veloci” (tv ed internet), questo stile diventa una trappola mortale per chi la pratica: esitare, oscillare, essere indecisi, esprimersi in modo fumoso sono tutte pratiche pericolose. Questo era già iniziato negli ultimi tempi della Prima repubblica ed ha trovato pieno sviluppo nella seconda ed il “politico di Curia” (Forlani, De Mita,  La Malfa Jr, D’Alema, Casini, Bersani, Cuperlo) è andato via via sempre più soccombendo rispetto al “politico d’intuito e d’assalto” (Pannella, Craxi, Berlusconi ed, appunto, Renzi).

Le manfrine di Cuperlo-Bersani-Casini-Alfano e persino la richiesta di osservanza del patto del Nazareno di Berlusconi, sono il vecchio, mentre il “nuovo” è la spregiudicatezza, la slealtà, il cinismo di Renzi “il vincente”.

Velocità d’azione e decisionismo sono diventati elementi vincenti come anche la capacità di iniziativa in cui Renzi, bisogna riconoscerlo, eccelle: promuove cento progetti (riforma della legge elettorale, del Senato, della fiscalità, jobs act...), magari sono sgangherati e ne realizza solo una parte, ma costringe gli altri ad inseguirlo e detta lui tempi e modi dell’agenda politica. Il dividendo dei consensi lui lo riscuote all’annuncio dell’iniziativa, se poi la cosa va in porto o si perde non ha importanza, perché, nel frattempo, l’opinione pubblica è stata bombardata da altri duecento annunci. Certo, sul lungo periodo, Renzi rischia di morire di “annuncite”, ma sul tempo breve ne riscuote il profitto. A tutto questo, Renzi aggiunge particolari tecniche di gestione e di comunicazione.

Tecnica di gestione preferita è quella del “fatto compiuto”. Renzi sta imponendo una gestione iper autoritaria del partito e, per certi versi, anche del governo, ma nessuno osa criticare i suoi atti neppure a posteriori come se si trattasse della cosa più normale del mondo. Lui ha stracciato la prassi per la quale  la designazione del candidato alla Presidenza della Repubblica spettava all’assemblea dei gruppi parlamentari sostituendola con una sua decisione personalissima da comunicare all’ultimo momento. E il dibattito politico? “E’ solo una perdita di tempo, la gente vuole decisioni rapide”. Di fatto ha introdotto una nuova modifica nell’assetto dei poteri senza colpo ferire.

Altro aspetto del suo modo d’agire è l’estrema flessibilità sino al cinismo più spregiudicato. Mattarella non era certo il suo candidato preferito, però, con la prontezza di riflessi che gli appartiene, ha capito che doveva compattare il partito evitando una candidatura Prodi e Mattarella era la candidatura buona per tirare dalla sua i bersaniani. Questo significava buttare a mare Berlusconi? Ed allora? Quale è il problema? Anche perché, se a parlare di tradimento è uno come Berlusconi non è un gran danno. E’ solo successo che il Cavaliere ha incontrato uno più “disinvolto” di lui.

Nelle discussioni Renzi non risponde mai nel merito delle obiezioni o proposte altrui, ma solo con giudizi di valore negativi su chi le formula: “Gufi”, “Vecchi”, “Rosiconi”, “gente che rema contro”...

Perché, anche sul piano della comunicazione, il suo punto di forza è proprio la rozzezza, l’arroganza, la maleducazione. Lo stile “tamarro” piace, dobbiamo farcene una ragione. Così come ha successo la slealtà. Mancare ai patti è segno di furbizia, buttare a mare alleati e sodali è prova di senso pratico, il cinismo è intelligenza...

Qualcuno potrà osservare che, in questo modo, si perde il diritto di guardarsi allo specchio la mattina, ma non c’è problema: Renzi in casa non ha specchi. E forse non  ha nemmeno la faccia.

Conviene “prendere le misure” a questo avversario e regolarsi di conseguenza: evitare di sottovalutarlo, ma anche evitare l’opposto, di valutarlo più di quel che merita. Renzi resta un giullare, ma un giullare molto pericoloso. Tutto qui.

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