Ebbene si, alla fine l’ha detto anche il
Fondo monetario internazionale. Certo, non è che un pezzo della troika
può dirla proprio in questi termini, che hanno millantato per anni una
cagata pazzesca, e quindi ha dovuto mimetizzare l’ammissione inserendo
in un anonimo box di una pagina sperduta del World Economic Outlook una frase che tuttavia suona molto precisa: “il
livello di regolamentazione del mercato del lavoro non ha rivelato
effetti statisticamente significativi sulla produttività complessiva”.
Alias, la flessibilità del lavoro non c’entra una mazza con la
produttività del paese, e quindi sulla crescita e sull’occupazione.
Eggià. Dopo anni di proclami di Fmi, Bce
e Commissione Europea per convincere il mondo che dare lavori precari e
licenziare più facilmente – aumentare la flessibilità in entrata e uscita dal mercato del lavoro, a
parole loro – avrebbe comportato un mirabolante aumento della crescita e
dell’occupazione, ora il Fmi sbaraglia le certezze. Certezze che poi
buona parte del mondo non ha mai avuto, sia per semplice buonsenso sia
perché, nell’acceso dibattito pubblico degli ultimi anni, gli economisti
di stampo liberista non sono riusciti a portare tesi convincenti a
supporto della troika, mentre di contro si sono moltiplicati articoli e
analisi di dimostrazione del fatto che non esiste una relazione diretta
tra flessibilità e produttività, e che in certe circostanze (come nei
paesi più deboli) è addirittura inversa: + flessibilità – occupazione –
crescita. Tra parentesi, le analisi prodotte erano tutto tranne che roba
da complottisti di sinistra, essendo supportate da dati dell’Ocse e
riprese ad esempio da economisti tipo Tito Boeri (il nemicoamico di
Renzi presidente dell’Istat) o Blanchard (ex capo dello stesso Fmi!),
insomma non proprio antagonisti della prima ora. Motivo per cui
probabilmente non è stato più possibile far finta di niente
sull’argomento. Oltre al fatto evidente che a questo punto poco
importava al Fmi di far uscire la verità, visto che tanto ormai la
propaganda pro-flessibilità aveva avuto i suoi effetti. La
deregolamentazione e la flessibilità del mercato del lavoro hanno
infatti attraversato e attecchito in tutti i paesi europei, attraverso
riforme nazionali e politiche regionali dell’Unione Europea, e nello
specifico dell’Italia ci hanno regalato probabilmente il massimo
capolavoro, il Jobs Act.
A ricordarci bene, una cosa simile è
successa anche per l’austerity. Non era tanto tempo fa quando Monti e la
cricca europea con Germania in testa sventagliavano orgogliosi sui mass
media la teoria che l’unico modo per uscire dalla crisi fosse una sana e
rigorosa austerità, mentre il buonsenso comune, dalle periferie delle
città alle scuole economiche più affermate indicasse esattamente
l’opposto. In seguito, a distanza di qualche anno e a disastro sociale e
occupazionale avvenuto, hanno timidamente fatto intendere che, ops, la
strategia non aveva avuto gli effetti sperati e quindi addio austerità
da mass media e dibattito pubblico e benvenuta flessibilità.
Ora, siccome pensiamo che i partecipanti
al teatrino europeo siano tutto tranne che ingenui ci verrebbe da dire
che forse questo giochetto è ben ragionato e che la figura di merda
(prontamente occultata) di dover dire a posteriori che le stime erano
sbagliate vale la pena rispetto ai benefici che ne derivano. Riforma
dopo riforma i governi e le borghesie europee hanno visto abbassarsi il
costo del lavoro, ridurre al minimo i diritti dei lavoratori, crearsi un
esercito di disoccupati disposti a lavorare in qualsiasi condizione
(anche gratis, vedi Expo), tagliare la spesa per il welfare, azzerare la
contrattazione sindacale e congelare il conflitto sociale mettendolo
costantemente sotto ricatto. Poco importa se bisogna poi svelare che
quelle riforme non sono servite allo scopo presunto, tanto ormai è
andata, e poi la gente ha la memoria corta.
Quello che ci viene da notare poi di
questa storia è la potenziale replicabilità all’infinito di questo
sistema sfruttando di volta in volta nuove “emergenze” (immigrazione?
pensioni?) e nuove finte soluzioni, con il supporto dello strapotere dei
media che al primo schiocco di dita sono pronti a imbastire la nuova
moda europea del momento. Nulla di nuovo sotto al sole ma tanto basta
per ricordarci che, dal canto nostro, abbiamo parecchio da discutere sui
mezzi comunicativi e sulle possibili azioni di contrasto alle strategie
europee: in sostanza, serve capire come fare i Fantozzi della
situazione e dire apertamente come stanno le cose sulla nostra corazzata
Potemkin – che invece, è un grandissimo film – e riprenderci il
consenso.
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