Non solo il discorso di Tsipras. Il Parlamento europeo ieri
ha approvato a stragrande maggioranza una proposta di “compromesso” sul
trattato Ttip presentata dallo stesso presidente, il socialdemocratico
Marin Schultz, noto per gli insulti ricevuti da Berlusconi e per il
cinismo teutonico con cui ha sollecitato l'estromissione della Grecia
dalla Ue come e più di Wolfgang Schaeuble.
Il nodo su cui era ferma la discussione prima della votazione, lo scorso 10 giugno, è particolarmente indicativo: la clausola chiamata ISDS (Investor-State dispute settlement). Si tratta del dispositivo per cui se uno Stato pone limiti alla “libertà d'azione” di una qualsiasi impresa multinazionale – magari perché i prodotti di quell'impresa risultano dannosi, inquinanti, mortiferi, ogm, ecc – l'impresa ha diritto di fargli causa. Fin qui tutto normale, ma davanti a quale tribunale?
Qui casca l'asino. Non un tribunale nazionale, per le ovvie differenze di legislazione tra paesi diversi. Né davanti a un Tribunale internazionale sul modello di quello de L'Aja, risultato della compensazione tra tradizioni giuridiche diverse. Ma davanti a una “corte speciale” privata.
La clausola Isds (Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato) consente infatti di far ricorso a una “corte di arbitrato commerciale”, una sorta di “tribunali internazionali privati e semisegreti, in cui le leggi e la politica nazionale non hanno alcun potere di intervento. Questi tribunali sono composti da tre membri, scelti di volta in volta da una lista ristretta di avvocati privati. Ciascuna parte nomina il proprio difensore e quindi entrambe convengono sulla scelta del giudice. Chi svolge il ruolo di difensore dell'investitore in un processo, può indossare i panni del giudice in quello seguente, anche in udienze che proseguono parallele. I processi si svolgono a porte chiuse senza controllo pubblico. Non esiste la possibilità di appellarsi alla sentenza del giudice, che dalla sua valutazione deve escludere qualsiasi impatto ambientale o sociale dell'operato dell'investitore”.
Non è difficile, se le corti di arbitrato sono costituite in quel modo.
In ogni caso, la campagna continua. Il testo approvato ieri non decide ancora nulla (come tutti i testi partoriti dal Parlamento europeo, unico al mondo privo di potere legislativo), ma prepara – pessimamente – il terreno al voto di approvazione o rifiuto del trattato, quando questo avrà superato la fase della negoziazione segreta tra gli sherpa di Usa ed Unione Europea.
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Il nodo su cui era ferma la discussione prima della votazione, lo scorso 10 giugno, è particolarmente indicativo: la clausola chiamata ISDS (Investor-State dispute settlement). Si tratta del dispositivo per cui se uno Stato pone limiti alla “libertà d'azione” di una qualsiasi impresa multinazionale – magari perché i prodotti di quell'impresa risultano dannosi, inquinanti, mortiferi, ogm, ecc – l'impresa ha diritto di fargli causa. Fin qui tutto normale, ma davanti a quale tribunale?
Qui casca l'asino. Non un tribunale nazionale, per le ovvie differenze di legislazione tra paesi diversi. Né davanti a un Tribunale internazionale sul modello di quello de L'Aja, risultato della compensazione tra tradizioni giuridiche diverse. Ma davanti a una “corte speciale” privata.
La clausola Isds (Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato) consente infatti di far ricorso a una “corte di arbitrato commerciale”, una sorta di “tribunali internazionali privati e semisegreti, in cui le leggi e la politica nazionale non hanno alcun potere di intervento. Questi tribunali sono composti da tre membri, scelti di volta in volta da una lista ristretta di avvocati privati. Ciascuna parte nomina il proprio difensore e quindi entrambe convengono sulla scelta del giudice. Chi svolge il ruolo di difensore dell'investitore in un processo, può indossare i panni del giudice in quello seguente, anche in udienze che proseguono parallele. I processi si svolgono a porte chiuse senza controllo pubblico. Non esiste la possibilità di appellarsi alla sentenza del giudice, che dalla sua valutazione deve escludere qualsiasi impatto ambientale o sociale dell'operato dell'investitore”.
Se ancora vi sembra troppo complicato o astratto, vi
proponiamo un'analogia: Berlusconi cita in giudizio lo stato italiano
davanti a una corte in cui un giudice lo mette lui stesso, l'altro lo
Stato e quei due si mettono d'accordo su un terzo che non deve essere
pregiudizialmente contro nessuno dei due. La scelta del terzo e decisivo
giudice avviene in una cerchia ristretta di personaggi che abitualmente
siedono in queste corti. Per cui, chessò, un Ghedini può essere un
giorno difensore e l'altro giudice; e così tutti gli altri. La sentenza
ve la potete certamente immaginare...
Questo tipo di corti arbitrali sono state inventate
dagli Stati Uniti per “garantirsi” investimenti fatti in America Latina
negli ultimi trent'anni, quando l'abbandono della pratica dei colpi di
stato e la possibilità che alle elezioni vincessero – com'è avvenuto –
coalizioni progressiste misero discussione gli accordi di
rapina imposti ai predecessori.
Il “compromesso” di Schultz, di fatto consiste in un
semplice gioco di parole che cancella il riferimento esplicito agli
Isds, ma neanche li esclude. Come hanno subito rilevato gli attivisti
della campagna Stop Ttip: «La proposta di compromesso sull’Isds è un
ulteriore tentativo di mescolare le carte. Il testo non risolve il
tentativo surrettizio di imporre la priorità del mercato rispetto ai
diritti. Del resto, la retorica sui limiti che l’europarlamento
'imporrà' al negoziato si scontra con i dati di realtà: quale tutela
verrà assicurata sugli standard agroalimentari europei, se sui testi di
posizionamento l’Ue fa riferimento al Codex Alimentarius come
standard unificante che, come tutti sanno, ha riferimenti molto meno
stringenti dell’Efsa, per esempio sui residui di pesticidi nei nostri
piatti?».
«Diversi studi autorevoli – aggiunge Elena Mazzoni, tra i
coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia – smentiscono la vulgata
secondo la quale, nelle cause Isds, la maggioranza dei contenziosi veda
gli stati vincitori; basterebbe semplicemente scorporare i dati per
capire che è l’esatto contrario: sono proprio gli investitori a uscire
vincitori da un meccanismo costruito ad uso e consumo degli interessi
economici che contano».
Non è difficile, se le corti di arbitrato sono costituite in quel modo.
In ogni caso, la campagna continua. Il testo approvato ieri non decide ancora nulla (come tutti i testi partoriti dal Parlamento europeo, unico al mondo privo di potere legislativo), ma prepara – pessimamente – il terreno al voto di approvazione o rifiuto del trattato, quando questo avrà superato la fase della negoziazione segreta tra gli sherpa di Usa ed Unione Europea.
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