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23/07/2015

USA, Clark: internare gli “americani sleali”

di Michele Paris

Nel corso di una recente intervista televisiva al network americano MSNBC, uno degli ex alti ufficiali più autorevoli e influenti degli Stati Uniti ha apertamente invocato misure di controllo e repressione del dissenso tipiche del regime nazista. Il generale in pensione Wesley Clark, già due volte brevemente candidato alla nomination democratica per la Casa Bianca, ha infatti prospettato la detenzione in campi di internamento per coloro che ha definito come “americani sleali”.

L’inquietante proposta è stata illustrata nel corso di un intervento seguito alla recente sparatoria in un centro di reclutamento delle forze armate USA a Chattanooga, nel Tennessee, per mano di un giovane di origine kuwaitiana che avrebbe manifestato simpatie fondamentaliste.

Per trovare una soluzione alla presunta minaccia terroristica che incomberebbe sugli Stati Uniti, Clark ha fatto riferimento al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Durante il conflitto, cioè, “se qualcuno appoggiava la Germania nazista a spese degli Stati Uniti”, ha spiegato l’ex generale, “veniva rinchiuso in un campo come prigioniero di guerra”, visto che questa opinione non era considerata come una manifestazione della libertà di espressione.

Allo stesso modo, nella situazione odierna, per queste persone con tendenze fondamentaliste, “diventare radicalizzate, non appoggiare gli Stati Uniti ed essere sleali verso gli Stati Uniti, in linea di principio è un loro diritto”, secondo Clark. Tuttavia, “è nostro diritto e obbligo di isolarli dalla comunità per la durata del conflitto” in corso contro il terrorismo internazionale.

Ancora più sbalorditiva è stata la tesi successiva dell’ex comandante NATO in Europa, per il quale il rischio rappresentato dai musulmani “radicalizzati” autorizzerebbe misure preventive. Il governo dovrebbe così “identificare le persone che hanno maggiori probabilità di seguire un percorso di radicalizzazione”, in modo da “interromperlo precocemente”. Il consiglio di Clark non è indirizzato infine soltanto alle autorità americane, ma anche ai “paesi alleati come Regno Unito, Germania e Francia”, i quali dovrebbero “rivedere le loro procedure legali”, ovvero procedere con lo smantellamento delle più fondamentali garanzie democratiche.

In sostanza, il consiglio avanzato da Clark implica che il governo dovrebbe prendere di mira individui non solo che non hanno commesso alcun crimine ma che non hanno nemmeno manifestato l’intenzione di commettere qualche atto vagamente illegale. Un’iniziativa di questo genere – evidentemente adeguata a uno stato di polizia – dovrebbe comportare un’ulteriore espansione della sorveglianza di massa ai danni della popolazione americana, così da identificare potenziali “terroristi” sulla base delle loro idee o, ancora peggio, delle loro ipotetiche tendenze o inclinazioni.

La gravità delle parole di Wesley Clark è difficile da sopravvalutare. Com’è evidente, il concetto di “slealtà” verso gli Stati Uniti evocato dall’ex generale, nonostante sia stato collegato da egli stesso alla minaccia del terrorismo islamista, è sufficientemente indefinito da includere virtualmente ogni genere di opposizione alle politiche repressive, imperialiste e al servizio dei grandi interessi economici del governo americano.

Al di fuori di ogni vincolo legale, Clark auspica inoltre la detenzione in campi di internamento per l’intera durata della “guerra” senza fine che gli USA starebbero combattendo contro il terrorismo, risultando di fatto in una prigionia indefinita.

La sua citazione del clima di paranoia durante la Seconda Guerra Mondiale è poi ulteriormente allarmante per i musulmani, visto che fa riferimento alle decine di migliaia di americani di origine tedesca e, soprattutto, giapponese, internati praticamente soltanto a causa del loro paese di provenienza, in quello che viene ormai comunemente riconosciuto come un crimine commesso dal governo USA.

Il cenno alle simpatie naziste che avrebbero giustificato in passato la detenzione di civili innocenti in suolo americano è inoltre tristemente ironico, poiché la proposta avanzata settimana scorsa da Clark è perfettamente in linea con i provvedimenti adottati proprio da Adolf Hitler a partire dal 1933 contro i suoi oppositori con la scusa di combattere un’inesistente minaccia “terroristica” che gravava sul Reich.

Sconcertante quasi come le parole dell’ex generale Clark è stato il quasi completo silenzio della stampa ufficiale negli Stati Uniti. I suoi commenti sui campi di internamento non sono stati riportati dalle principali pubblicazioni, nemmeno quelle teoricamente “liberal” come New York Times e Washington Post.

I pochi media, soprattutto alternativi, che ne hanno dato notizia hanno spesso ricordato come questa proposta non sia giunta da una delle varie figure di agitatori della galassia dell’estrema destra americana, bensì da un ex alto ufficiale che, secondo la testata on-line The Intercept, “si è fatto un nome all’interno dei circoli politici progressisti”.

Affiliato al Partito Democratico, per il quale, come già ricordato, ha corso in due occasioni senza successo per la Casa Bianca, Clark è un sostenitore della candidatura alla presidenza di Hillary Clinton. Nel passato più o meno recente, inoltre, l’ex generale era stato molto critico sugli abusi dell’amministrazione Bush all’indomani dell’11 settembre.

La maschera “progressista” di Clark è però caduta definitivamente, assieme a quella della classe dirigente americana, dal momento che il pensiero dell’ex generale è con ogni probabilità condiviso da molti nelle stanze del potere a Washington.

Già sul finire degli anni Ottanta, nell’ambito dello scandalo Iran-Contras gli americani erano venuti a conoscenza della cosiddetta “Operazione Rex 84” che prevedeva, in una situazione di crisi, la sospensione della Costituzione, l’entrata in vigore della legge marziale, l’assegnazione dei compiti di governo ai militari e il trasferimento forzato in campi di detenzione di coloro che erano considerati una minaccia alla sicurezza nazionale.

Più recentemente, la questione dei campi di internamento è tornata a circolare negli Stati Uniti. Lo scorso anno, ad esempio, il giudice ultra-reazionario della Corte Suprema, Antonin Scalia, nel corso di un discorso pubblico aveva citato una sentenza del 1944 che autorizzava le detenzioni di massa in campi di internamento sul territorio americano, avvertendo i suoi ascoltatori che si sarebbero “auto-ingannati se avessero pensato che la stessa cosa non potrebbe succedere ancora”.

Senza evocare teorie cospirazioniste, è dunque tutt’altro che improbabile che all’interno dell’apparato politico-militare americano da qualche tempo si sia tornati a discutere di misure estreme come la detenzione di massa di individui “radicalizzati” o semplicemente di oppositori del governo.

Una misura di questo genere è d’altra parte in linea con molte altre adottate nell’ultimo decennio per rafforzare i poteri di controllo dell’apparato della sicurezza nazionale, dal Patriot Act ai provvedimenti pseudo-legali che autorizzano il monitoraggio di massa delle comunicazioni elettroniche.

Vista la reale entità della minaccia del terrorismo islamista, di gran lunga inferiore ad esempio a quella rappresentata dalle forze di polizia USA, responsabili in media di più di mille uccisioni di civili ogni anno, le ragioni della creazione delle fondamenta di uno stato di polizia sono da ricercare altrove.

La classe dirigente americana è attraversata cioè dal timore quotidiano per una possibile esplosione sociale, alimentata da politiche destabilizzanti e distruttive sul fronte internazionale e, su quello domestico, da disuguaglianze economiche gigantesche e sempre meno compatibili con sistemi di governo anche solo apparentemente democratici.

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