Bardato come usa fare quando è davanti a capi tribali e amici Warlords, il presidente afghano Ghani, in una conferenza stampa svoltasi ieri nella Amani High School di Kabul, ha annunciato di voler lanciare nientemeno che una jihad contro la corruzione amministrativa e governativa. Cioè contro se stesso. Non ha lesinato metafore il successore di Karzai nel ruolo di Capo d’uno Stato fantoccio che non riesce, e non vuole, emanciparsi dal protettorato statunitense. Ha chiamato il fenomeno corruttivo “lesione cancerosa” che corrode la nazione e s’è rivolto al Consiglio degli Ulema, così da cercare sostegno fra i rappresentanti religiosi, che nella madrase e nelle moschee potrebbero offrire un contributo con esplicite prediche di condanna a simili tendenze. Ghani ha rivelato che nel visionare 350 progetti in cerca di finanziamento la Procura Nazionale ne ha fermati 28, palesemente fuori dalle direttive di legge, risparmiando in tal modo ben 8.5 miliardi di moneta locale (per avere un parametro un dollaro vale 64.300 afghani).
Altre scottanti questioni affrontate: la proprietà e il furto della terra. Fenomeno diffusissimo ai danni del demanio attuato da potentati locali che, in ogni provincia, s’impossessano di lotti di terreno, li recintano e li controllano tramite guardie armate spesso sotto gli occhi disinteressati o compiacenti degli agenti di polizia. Su quelle aree è in corso una speculazione edilizia, com’è accaduto due anni or sono nella capitale con la creazione dei due quartieri Shahrak - Aria e Tala’i - situati lungo il tragitto che dall’aeroporto conduce al centro città e nella zona orientale di Kabul. Costruzioni per la nuova élite ricca, figli e nipoti dell’establishment istituzionale dove molti Signori della guerra si sono collocati. Persone insospettabili che lavorano con le Ong, cooperazione, agenzie di comunicazione e con tante strutture dell’Occidente, occupante (le truppe Isaf) e mercantile. Il presidente non nega che il 65% delle industrie del Paese non possono mostrare alcun titolo di proprietà, semplicemente perché non l’hanno.
Nella confessione del primo cittadino afghano, un dejà vu che ricalca le trascorse comparsate di Karzai nel denunciare mali nazionali mai curati, anzi incentivati da un sistema immutato che perpetua rapporti col grande padrino (il governo statunitense) e boss locali d’ogni tendenza tenuti buoni con lucrosissimi appalti, s’è parlato anche di droga. La maggior entrata nazionale che ormai produce affetti deleteri anche sulla popolazione interna, visto che i tossicodipendenti negli ultimi 3-4 anni sono raddoppiati: oggi se ne calcolano 3,5 milioni. Sapete quale soluzione prospetta Karzai, pardon Ghani? La riconversione del papavero da oppio in altre colture. Un piano adottato nel 2010 e fallito nel giro di due anni, perché i contadini da un chilo di grano ricavavano 43 centesimi di dollaro e da uno di riso 1,25 dollari contro i 203 ricevuti per un chilo d’oppio. Per lo smercio illegale e il contrabbando, poi, si pensa a riformare dogane e doganieri che chiudono occhi e aprono le tasche per il redditizio commercio del patrimonio archeologico che viene scoperto (e in alcuni casi trafugato o distrutto) con gli scavi minerari.
Fedele al copione del cahier de doléances il presidente ha anche rispolverato l’untuoso tema della Kabul Bank, la banca nazionale, coinvolta nel 2010 in un ciclopico scandalo con cui manager designati da Karzai (Ferozi, Farnood), e in combutta col di lui fratello Mahmood, fecero incetta d’un miliardo di dollari d’interessi sulla pelle di migliaia di risparmiatori. Nonostante gli arresti domiciliari i responsabili non sono stati colpiti, l’ombrello di protezione del clan Karzai pare servire. Invece nel 2014 il funzionario afghano designato dal Fmi a seguire le fasi del procedimento in corso, finì i suoi giorni sotto i colpi di due kamikaze, si disse talebani, ma l’incertezza è ampia. Ora Ghani, per rompere col passato (sic), sostiene d’essere sulla via d’un recupero di quel denaro finito a Dubai e in altri paradisi off shore. Nonostante le molteplici promesse le associazioni locali impegnate con la popolazione continuano a subìre attacchi repressivi. Gli attivisti del partito Hambastagi denunciano la recente chiusura nella capitale degli orfanotrofi organizzati da Afceco (Afghan Child Education Care Organization) perseguitati dai fondamentalisti, cui il democratico col turbante strizza l’occhio.
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