A Washington non sanno fare più neanche una propaganda che si rispetti. Suona infatti davvero paradossale l’accusa rivolta dall’amministrazione statunitense e dai media di Washington alla Russia: “avete bombardato i ribelli addestrati dalla Cia”.
Un’accusa che si rivela un clamoroso boomerang di fronte all’opinione pubblica mondiale che, se finora era distratta o confusa da anni di bugie, scopre dalla bocca dei leader stessi della ‘coalizione internazionale’ che Washington arma e addestra ribelli islamisti che poi combattono in Siria.
Eh si, perché secondo molte fonti – a partire dalla tv satellitare Al-Mayadeen – i Sukhoi di Mosca avrebbero, tra i vari obiettivi, bombardato zone in mano al cosiddetto ‘Esercito della conquista’, una coalizione di gruppi jihadisti, formata sia da ciò che rimane dell’Esercito Siriano Libero – la cosiddetta opposizione moderata – sia da Jabat al-Nusra, sezione locale di Al Qaeda, oltre che da gruppi salafiti. Un coacervo di simpatici tagliagole non meno estremisti dello Stato Islamico. Solo che i fondamentalisti sunniti in questione sono appoggiati da Washington, oltre che da Turchia e Arabia Saudita.
Le accuse statunitensi a Mosca di aver bombardato i jihadisti sbagliati ricalcano la tradizionale dottrina interventista e de stabilizzatrice di Washington. Come disse il presidente Franklin Delano Roosvelt ai suoi consiglieri a proposito del dittatore nicaraguense Anastasio Somoza: "sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana".
Secondo quanto riportato da New York Times e Washington Post, almeno una delle postazioni dei ribelli siriani (in realtà provenienti da decine di paesi mediorientali e non, e solo in minoranza siriani) bombardate ieri dai russi ospitava un gruppo di combattenti addestrato dalla Cia, una notizia confermata anche dal senatore statunitense McCain in un’intervista concessa alla Cnn.
Anche se la propaganda russa continua a insistere sul fatto che ad essere colpiti in Siria sono le postazioni dello Stato Islamico, sembra che per ora la strategia di Putin sia tutt’altra: bombardare i gruppi ribelli fondamentalisti nelle zone dell’ovest del paese a ridosso dei territori ancora sotto il controllo del governo e dell’esercito di Damasco e delle milizie volontarie. Un modo per rompere l’accerchiamento intorno a Latakia e a Damasco, dare respiro alle forze lealiste e preparare il terreno per una grande offensiva di terra. A questo scopo starebbero affluendo in Siria alcune centinaia di volontari di Hezbollah e di miliziani sciiti provenienti dall’Iran. Secondo gli analisti l’obiettivo della controffensiva terrestre accompagnata dai bombardamenti russi potrebbe essere la riconquista di Idlib e Hama, non a caso colpite negli ultimi giorni dai raid dei Sukhoi. Così come Homs, dove recentemente la presenza dei miliziani di Daesh è aumentata con l’obiettivo di tagliare l’autostrada che consente alle forze lealiste di mantenere i collegamenti e la continuità territoriale tra Damasco e le zone del nord e della costa sotto il controllo governativo. Ad essere particolarmente bersagliati dai raid russi sono soprattutto i miliziani di Al Nusra, che alcuni apparati di sicurezza statunitensi propongono di appoggiare e rifornire di armi (più di quanto non avvenga già, s'intende) per usare la branca locale di Al Qaeda, insieme ad altri gruppi minori salafiti, contro lo Stato Islamico e contro le forze fedeli al governo siriano.
Le forze schierate da Mosca in Siria – alle quali vanno aggiunte quelle iraniane – sono consistenti: 6 cacciabombardieri Sukhoi Su-30, 12 bombardieri Sukhoi Su-24 e 12 aerei da attacco Sukhoi Su-25, oltre a decine di elicotteri e di droni. Alle forze aeree si affiancano decine di carri armati, mezzi blindati da combattimento e pezzi di artiglieria, piazzati a difesa della base militare russa di Tartous, sulla costa, e di altre postazioni temporanee realizzate nelle ultime settimane. E anche numerose batterie di missili antimissile e antiaerei che naturalmente non servono contro Al Nusra o Daesh. «Non ho visto volare aerei dell'Isis. Perché la Russia installa in Siria missili antiaerei Sa 15 o Sa 22?» ha chiesto polemicamente il comandante supremo delle forze Nato in Europa, il generale statunitense Philip Breedlove. Facendo finta di non sapere che la contraerea russa serve a blindare lo spazio aereo controllato dal governo di Damasco e a scoraggiare possibili incursioni dei caccia sauditi o israeliani o turchi, tutti paesi che hanno accolto l'iniziativa di Mosca anche meno entusiasticamente della Casa Bianca.
Stamattina il Ministro degli Esteri turco ha diffuso una dichiarazione congiunta, firmata da sette paesi – Francia, Germania, Qatar, Arabia Saudita, Gran Bretagna e Stati Uniti – che invita la Russia a cessare gli attacchi aerei “contro l’opposizione siriana e i civili e di concentrare i propri sforzi sulla lotta contro lo Stato Islamico”. Davvero una richiesta sfacciata da parte di paesi che non hanno mosso un dito per frenare l’espansione delle milizie di Daesh e che anzi le hanno a lungo blandite e tollerate, se non in alcuni casi finanziate e protette. Mentre la Turchia ha realizzato un solo raid a luglio contro alcune postazione jihadiste e poi si è concentrata negli attacchi contro la resistenza curda, Riad è impegnata da mesi in una massiccia campagna di bombardamenti che hanno fatto strage di civili yemeniti. Che ora si preoccupi dei civili siriani appare davvero poco credibile.
Intanto le tv occidentali inondano i loro palinsesti con le immagini delle vittime civili causate dai bombardamenti russi, mentre in un anno di raid da parte dei caccia e dei droni della cosiddetta ‘coalizione internazionale’ su Iraq e Siria non abbiamo mai visto sui nostri schermi alcuna immagine delle distruzioni e delle stragi operate, pure denunciate sistematicamente dai media locali.
Putin ha fatto abilmente notare che le accuse rivolte a Mosca – almeno alcune – di aver ucciso decine di innocenti sono pretestuose: «Le prime sono apparse quando gli aerei russi erano ancora in volo». Il che non vuol dire che i raid russi siano stati chirurgici, ammesso che possano esserlo bombardamenti realizzati spesso su aree densamente abitate dove i ribelli hanno piazzato le loro basi e i loro depositi di armi e munizioni.
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