di Michele Giorgio – Il Manifesto
Benyamin
Netanyahu offre aiuto e cooperazione di sicurezza alla Francia ferita
dagli attentati dell’Isis di venerdì sera a Parigi. Più di tutto
dice al presidente Hollande e ai leader europei di non fare
distinzioni «fra tipi diversi di terrorismo», ossia non devono separare
l’Intifada palestinese dal jihadismo globale. «Il terrorismo
è sempre da condannare in quanto colpisce persone innocenti», ha detto
ieri sera in diretta tv menzionando l’uccisione due giorni fa nella
Cisgiordania occupata di due coloni israeliani, Yaacov e Netanel Litman,
in un agguato armato palestinese.
È dall’attacco aereo alle Torri Gemelle del 2001 che
i governi israeliani provano a trasformare agli occhi della comunità
internazionale la lotta palestinese per l’indipendenza, contro la
colonizzazione, per la fine dell’occupazione militare, in un’offensiva
terroristica a sfondo religioso contro Israele e gli ebrei, parte di un
disegno jihadista globale. Nel 2001, mentre la polvere sollevata delle macerie delle Twin Towers ancora
avvolgeva New York, il primo ministro Ariel Sharon disse al segretario
di stato Colin Powell che «Ciascuno ha il suo Osama Bin Laden e il
nostro si chiama Yasser Arafat» mettendo sullo stesso piano il leader di
al Qaeda e il presidente palestinese. Con Arafat finirono sul
banco degli imputati tutti i palestinesi che, addirittura, per qualche
ora dopo gli attacchi alle Torri Gemelle furono indicati, non si è mai
saputo bene da chi, come i responsabili del più grave attentato della
storia recente. Intervenne Gilles Kepel, specialista di Islam e del
mondo arabo, per dire che era impensabile attribuire la responsabilità
dell’11 settembre ad organizzazioni palestinesi e a indicare subito come
colpevole Osama Bin Laden.
Persuadere l’Europa, i suoi leader e l’opinione pubblica
occidentale che l’Intifada palestinese equivale al jihadismo dell’Isis
e di al Qaeda è il tassello centrale nella strategia del premier
israeliano a sostegno della tesi «Vorremmo ma non possiamo», ossia
Israele non vorrebbe negare la libertà ai palestinesi ma non può
concederla perchè facendolo metterebbe a rischio la sicurezza dei suoi
cittadini e la sua stessa esistenza. Una strategia che
contempla il riconoscimento occidentale dello status quo
dell’occupazione di Cisgiordania e Gerusalemme Est e della “legalità”
delle colonie costruite in violazione del diritto internazionale. Un
punto quest’ultimo tornato alla ribalta qualche giorno dopo
l’imposizione ufficiale della Commissione europea di una etichettatura
diversa (rispetto al Made in Israel) per le merci delle colonie ebraiche
destinate all’esportazione verso l’Ue. Un passo che ha fatto infuriare
l’establishment israeliano.
Rispetto ad Ariel Sharon, Netanyahu oggi può contare su una
Europa più razzista e islamofoba di 14 anni fa e davvero poco incline
a sostenere i diritti dei popoli oppressi, specialmente se arabi
e musulmani. La minaccia e i terribili attentati dell’Isis alla
sicurezza dei cittadini francesi e più in generale europei, favoriscono
la «comprensione della tesi» di Netanyahu. «Ci vorrà ancora del tempo
ma alla fine l’Europa capirà» dice il professor Gerald Steinberg, analista del Centro “Besa”
dell’Università di Bar Ilan (un laboratorio della destra israeliana) —
«I leader europei poco alla volta si renderanno conto che i loro Paesi
si trovano sotto attacco terroristico, esattamente come Israele e che
non ci sono differenze, Netanyahu stasera (ieri) ha parlato a nome di
tutti gli israeliani».
In questo quadro si riesce appena a sentire la flebile voce
del presidente palestinese Abu Mazen che non ha saputo andare oltre un
semplice comunicato. «Condanniamo gli attacchi di Parigi ed
estendiamo la nostra simpatia e la nostra solidarietà al popolo francese
e al suo governo». Con un premier israeliano tanto determinato, al
leader palestinese per dare forza alle ragioni del suo popolo non sarà
sufficiente essere in prima fila ai funerali delle vittime, come fece
dopo l’attacco di inizio anno a Charlie Hebdo. Da Gaza il movimento
islamico Hamas ha condannato gli attentati di Parigi. «Proprio
i palestinesi – ha detto un suo portavoce – possono condividere
i sentimenti dei francesi perché siamo esposti quotidianamente al
terrorismo dell’occupazione israeliana».
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