Ma l'articoletto apparso ieri, a firma di Elisabetta Andreis, avrebbe forse meritato la prima pagina, con il titolo “strillato”: Lavoro, già finito l’effetto Jobs act: contratti diminuiti del 25%. Un effetto così breve, meno di un anno, batte tutti i record (tranne forse quello del libro Impero, di Toni Negri, che era appena uscito in stampa per celebrare l'avvenuta unificazione pacifica del mondo e si trovò smentito dalla presidenza di George W. Bush, al punto da far gridare l'autore al “golpe”).
Qui sotto, in realtà, si dice quel che tutti avevano già illustrato e previsto. Le "assunzioni" fatte grazie alle leggi omicide del governo erano solo "regolarizzazioni temporanee", grazie ai robustissimi incentivi (fino a 8.000 euro annui, per tre anni, di decontribuzione). L'unica novità – non smentibile neanche dagli spin doctor del premier – è che ora si tratta di dati a consuntivo, ovvero di fatti già avvenuti, non di previsioni accurate.
Il Jobs Act è insomma un fallimento dal punto di vista della crescita economica e occupazionale, ma un “risultato pieno” per le aziende che si sono ritrovate la possibilità di licenziare a volontà, assumere con qualsiasi salario (anche senza salario, come si è visto all'Expo) e con qualsiasi “flessibilità” a totale carico del lavoratore.
Ora è il momento del redde rationem. Se la smettete di stare a chattare su Feisbuk e trasferite la vostra incazzatura nel luogo più consono: le strade.
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Lavoro, già finito l’effetto Jobs act: contratti diminuiti del 25%
L’Osservatorio metropolitano: «Assunzioni in aumento nel 2015, poi numeri in calo alla scadenza di bonus e incentivi. I ragazzi provano a costruirsi un futuro in proprio. Oggi le start up scelte dal Comune incontrano gli investitori»
di Elisabetta Andreis
Corriere della Sera
Quattro marzo: esattamente un anno fa, il Jobs act entrava in vigore. Ma la felicità dei giovani in attesa di assunzione è durata poco: il boom dei contratti si è già sgonfiato. «Se si valuta il 2015 rispetto al 2014, i numeri sono molto positivi. I nuovi ingaggi sono aumentati dell’11 per cento, quelli a tempo indeterminato addirittura del 57 per cento. La brutta sorpresa arriva però a gennaio» spiega Bruno Dapei, direttore dell’Osservatorio metropolitano. Segni meno a doppia cifra, meno 25 e meno 32 per cento, rispettivamente. Com’è possibile? «L’effetto positivo era legato agli incentivi attuati da gennaio 2015, più che al Jobs act - riflette Dapei -. La riforma è stata varata in un momento in cui il contesto era gonfiato da misure che la sostenevano, sgravi fiscali e i bonus». A dicembre, esauriti quelli, il balzo si è fermato: «Da solo, il Jobs act non basta». Anzi, può fare ben poco.
La stessa euforia di breve periodo si legge nei numeri sugli stage e i tirocini. «Nel 2015, quattro stagisti su dieci alla scadenza sono stati assunti a tempo indeterminato. Nel 2014 era uno solo» nota Marina Verderajme, presidente di Actl Sportello stage. Anche qui però poi i numeri raccontano di una risacca. Peraltro con una precisazione: «Il contratto a tutele crescenti è meno vincolante, forse non è neanche paragonabile al vecchio tempo indeterminato», dice la presidente. Qual è dunque il futuro in cui sperano i giovani? Molti, più che nell’azienda, ripongono speranze nella possibilità di diventare imprenditori in proprio. Decine saranno oggi alla Fabbrica del Vapore per promuovere le loro idee davanti a possibili investitori, dopo un corso di business plan promosso dal Comune e Consorzio Sis, per con MiGenerationLab. E da ieri è online anche il bando che assegnerà 1 15 spazi dell’area di via Procaccini proprio a ragazzi. L’entusiasmo, il loro, rimane, nonostante tutto.
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