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06/03/2016

Libia - Il governo di Tripoli dice no a presenza di soldati stranieri. Rientrati i tecnici sopravvisuti

Il ministro degli Esteri del governo di Tripoli, Aly Abuzaakouk, ha detto che il suo governo non accetterà mai alcun intervento militare straniero in Libia ammantato sotto qualsiasi scusa. A riferirlo è l'agenzia Mena riportando una dichiarazione fatta ieri dal ministro in televisione. Su eventuali operazioni militari internazionali contro "coloro che si riconoscono nell'Isis", Abuzaakouk ha detto che "siamo in grado di combattere questi gruppi e respingere qualsiasi intervento militare nel paese", riferisce l'agenzia egiziana. La Mena aggiunge che il ministro ha smentito di aver detto ai media italiani di aver bisogno di un ruolo dell'Italia nella guida delle operazioni internazionali. In effetti in una intervista rilasciata al Corriere della Sera pochi giorni fa, il ministro degli esteri libico aveva detto testualmente: “A noi va anche bene che l'Italia assuma il ruolo di leader dell'intervento internazionale nella guerra contro le forze emergenti dell'Isis in Libia. Ma attenzione: occorre che qualsiasi azione militare nel Paese sia minuziosamente concordata con il nostro governo a Tripoli e le nostre forze militari sul campo. Se così non fosse, qualsiasi tipo di operazione si trasformerebbe da legittima battaglia contro il terrorismo a palese violazione della nostra sovranità nazionale".

Il problema poi è che il famoso governo di unità nazionale stenta a prendere vita. La conferma viene dall’intervista rilasciata oggi dal ministro degli esteri Gentiloni al Sole 24 Ore: “Il percorso è sempre stato definito da chi lo ha promosso assolutamente fragile ed è incompiuto perché c’è una maggioranza nel Parlamento di Tobruk per varare il governo di accordo nazionale ma a questa maggioranza finora non è stato consentito di esprimersi” ha ammesso Gentiloni.

Intanto sono rientrati questa mattina in Italia i due tecnici della Bonatti sequestrati in Libia mesi fa e sopravvissuti al rapimento. L’aereo è atterrato all’aeroporto di Ciampino alle 5 di questa mattina. Sul loro rilascio e sull’uccisione degli altri due tecnici pesano ancora molte ombre e interrogativi. In base ad alcune fonti i due tecnici uccisi sarebbero stati giustiziati con un colpo alla nuca poco prima che il convoglio dei rapitori si scontrasse con le forze di sicurezza libica. Altre fonti parlano invece di un loro utilizzo come scudi umani  finiti sotto il fuoco “amico” dei miliziani che li avevano scambiati per uomini dell'Isis, in una strada in mezzo al deserto a circa 30 Km da Sabrata. Infine non è chiaro se i due tecnici che oggi sono tornati in Italia siano stati liberati con un blitz oppure siano stati semplicemente abbandonati dai sequestratori in fuga, in una zona periferica di Sabrata.

Il presidente del consiglio Renzi si barcamena dentro una crisi internazionale estremamente seria e che mal si presta alle rodomontate con cui è abituato a gestire la politica interna. La linea del governo italiano, ha detto Renzi ieri sulla enews, è chiara e non cambia: un eventuale impegno in Libia potrebbe esserci solo “sulla base della richiesta di un governo legittimato" di quel paese, e "comunque avrebbe necessità di tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari”. La parola guerra, ha ammonito Renzi è troppo “drammaticamente seria per essere evocata con la facilità con cui viene utilizzata in queste ore da alcune forze politiche e da alcuni commentatori. Prudenza, equilibrio, buon senso: queste le nostre parole d'ordine, ben diverse da chi immagina di intervenire in modo superficiale e poco assennato”.

Un atteggiamento giustamente prudente ma che contrasta con gli operation order già attivati in tutto il sistema militare di basi, flotte e contingenti e che troppo spesso hanno messo il Parlamento davanti al fatto compiuto. A dire come stanno le cose del terreno è stato l’ex premier Romano Prodi intervenendo al festival di Limes, la rivista di geopolitica, in corso a Genova. "Il problema della Libia – ha detto Prodi – è di un Paese in totale dissoluzione. Per questo quando dico che non si può andare in guerra se non c'è un richiamo totale del Paese, perché entrare in un Paese in dissoluzione con una forza armata significa radunare tutti contro di sé. Non credo che né l'Italia né qualcun altro possa permetterselo".

Continuano nel frattempo i posizionamenti sul terreno. "Una squadra di circa 20 soldati dal 4 ° brigata di fanteria si sta ora spostando verso la Tunisia per aiutare a contrastare la circolazione illegale transfrontaliera dalla Libia e a sostegno delle autorità tunisine", ha fatto sapere il ministro delle difesa britannico Michael Fallon.

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