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18/03/2016

La deriva culturalista della questione migrante: Zizek e il fardello dell’uomo bianco

A gennaio è uscito un interessante articolo del filosofo sloveno Slavoj Zizek sui fatti di Colonia nella notte di Capodanno. Interessante non perché condivisibile, ma perché illustra bene tutti i cliché mentali di una certa sinistra, radicale ma anti-marxista. Ci sembra importante tornare sull’argomento perché il testo di Zizek ha carattere generale, parte dai fatti di Colonia per allargare lo spettro e affrontare di petto la questione migrante. E’ il risultato di un ragionamento di lungo(?) periodo, e siccome Zizek è uno dei punti di riferimento intellettuale della sinistra di cui sopra, ha senso rifletterci sopra.

Per Zizek i fatti di Colonia costituirebbero la rappresentazione oscena-carnevalesca dell’invidia migrante nei confronti del tenore di vita occidentale. Un tenore di vita al quale loro aspirerebbero e che, frustrati dall’impossibile raggiungimento, scatena pulsioni individuali e sociali di invidia e di odio. “L’islamo-fascismo” non sarebbe altro che la materializzazione sociale di questa invidia, di società che vorrebbero adeguarsi agli standard di vita dei paesi occidentali (o almeno competere su di un piano di parità) e non ci riescono, generando forme di reazione autoritaria, pre-moderna, religiosa, in altre parole forme aggiornate di fascismo, che altro non sarebbero che la concretizzazione politica di questo odio. Per leggere interamente il ragionamento di Zizek rimandiamo comunque alla sua versione originale e, in calce a questo articolo, alla nostra traduzione. Ne consigliamo vivamente la lettura, per comprendere la natura dei problemi e delle contraddizioni da lui sollevati.

Il ragionamento di Zizek è apparentemente di buon senso (almeno: di buon senso per una sinistra radicale). Fornire strumenti interpretativi che vadano oltre il mainstream, dare una chiave di lettura che indaghi sulle origini del problema e che non si fermi alla superficie delle cose. Quello che invece non pare immediatamente comprensibile è che Zizek utilizza, riformulandola, la stessa chiave interpretativa liberale (di cui è stato, fino al 2002, un maitre a penseer): il fenomeno migrante è generato dall’invidia, da gente che affronta l’odissea con la speranza di arricchirsi. L’analisi di Zizek è confinata al recinto culturalista e psicologico della vicenda, esattamente come quella liberale.

Perché? In buon sostanza, perché l’analisi è profondamente anti-materialista, ragiona sugli eventi partendo dagli effetti e interpretando culturalmente tutta la vicenda. Le tare del ragionamento sono infilate di passaggio, apparentemente innocue o, peggio ancora, date per ovvie. Ad esempio questo frammento:
“L’ideologia della classe media occidentale[…]è ossessionata dalla paura che i suoi domini limitati possano essere invasi da miliardi di stranieri, che non hanno valore nel capitalismo globale perché essi non producono merci né le consumano”.
Questo approccio capovolge completamente la questione e smaschera le premesse e gli obiettivi del filosofo sloveno. Anzitutto, non è la classe media, intesa come massa informe di “benestanti”, che determina alcunché della questione migrante e della sua reazione nelle società occidentali. Non è la “classe media” che ha prodotto un ventennio di guerre imperialiste nella regione mediorientale; non è la classe media che determina le strategie espansive o invasive della Nato; e soprattutto, non è la classe media al potere nei governi occidentali, ma una forma di capitalismo transnazionale globalizzato, che va abolendo ogni forma di supposta “medietà” sociale. In secondo luogo, i migranti hanno un valore economico strategico decisivo nell’attuale proiezione del capitalismo transnazionale. Sono forza lavoro sottomessa, non pagata, senza diritti, schiavizzata, e soprattutto, ancora senza organizzazione e quindi perfettamente malleabile agli interessi del capitale occidentale. Dire che i migranti “non hanno valore perché non producono né consumano” è la più grande fesseria anti-materialista che possa essere pensata. E’ pensiero à la page, ovvietà pacificante che leggiamo tutti i giorni su Corriere o Repubblica: è, insomma, pensiero generalista, e della peggior specie: quello “illuminato”. I migranti producono tanto e più degli italiani, ma soprattutto lo fanno a minor costo delle popolazioni autoctone (sebbene questo dato stia cambiando, adeguando le condizioni di vita degli europei lavoratori a quelle del migrante). I migranti costituiscono esattamente la risposta capitalista alla crisi di produttività, che vorrebbe essere aggirata producendo costantemente aumenti di produttività attraverso la leva migrante. C’è però un altro passaggio che illumina sulle prospettive di Zizek, ed è questo:
“L’espressione più chiara del “desiderio di Occidente” sono gli immigrati rifugiati: il loro desiderio non è rivoluzionario, è il desiderio di lasciarsi dietro il loro paese devastato e raggiungere la terra promessa dell’Occidente sviluppato (quelli che rimangono in patria provano a creare delle copie della prosperità occidentale, come nelle parti “modernizzate” delle metropoli del terzo mondo, a Luanda, a Lagos, etc. con le caffetterie che vendono cappuccini, centri commerciali, ecc.).”
Anche in questo caso stiamo di fronte al più classico dei capovolgimenti della realtà fattuale. I migranti “fuggono” dalle loro terre (non solo dalla Siria), perché vittime di un ventennio di guerre, direttamente organizzate dalla Nato o portate avanti per procura (le proxy wars). Non c’è alcun “desiderio” di imitazione occidentale nelle motivazioni *originarie* e *implicite* del fenomeno migrante *nel suo complesso*, ma un rapporto causa-effetto tra politiche liberiste e gli effetti collaterali da queste prodotte (che significa anche desertificazione industriale e impoverimento costante). Il motivo economico della fuga dalla povertà, spinta propulsiva di ogni forma di migrazione, non ha nulla a che fare con presunte “invidie degli stili di vita occidentali”, e molto con la propria sopravvivenza. Se si elimina la radice del problema, è chiaro che poi l’interpretazione non può essere altro che quella neocon dello scontro di civiltà, cioè del confronto ideale tra società ontologicamente differenti e irriducibili. Interpretazione camuffata dal “desiderio” di denaro, ma che nel proseguo dell’articolo viene evidenziata come distanza culturale:
“Questo è il motivo per cui i tentativi ingenui di illuminare gli immigrati (spiegando loro che i nostri costumi sessuali sono diversi, che se una donna cammina in pubblico in minigonna e sorride non significa che sta facendo un invito sessuale, etc.) sono esempi di stupidità mozzafiato – loro sanno cosa stanno facendo e qual è il motivo per cui lo stanno facendo. Essi sono ben consapevoli del fatto che ciò che stanno facendo è estraneo alla nostra cultura dominante, ma lo stanno facendo proprio per ferire la nostra sensibilità. Il compito è quello di cambiare questa posizione di invidia e di aggressività vendicativa, non quello di insegnare loro ciò che già sanno molto bene.”
La soluzione che il lungo ragionamento produce è a questo punto coerente, persino troppo, e in questo senso va dato atto al filosofo sloveno di non mascherare le sue intenzioni attraverso camouflage intellettuali utili a farsi “accogliere” dalle sinistre radical:
“La difficile lezione di tutta questa vicenda è quindi che non è sufficiente a dare semplicemente voce ai diseredati come sono: al fine di mettere in atto l’emancipazione reale, devono essere educati (da altri e da loro stessi) alla loro libertà.”
Al di là dell’orrendo termine – educare – che sottintende un concetto ancora peggiore, quello per cui l’emancipazione si fonda sull’educazione – roba che neanche nell’Ottocento – il significato è però allarmante: chi dovrebbe educare questi migranti? E a quali valori dovrebbero essere educati? Se si rilegge attentamente il testo (e altri scritti di Zizek), analizzando i suoi presupposti impliciti, educazione significa accoglimento dei “valori occidentali”, deprecabili ma infinitamente meglio di quelli arabi fondamentalisti perché posti più sopra nella scala di sviluppo storico. Quantomeno “noi” rispettiamo le donne, sembrerebbe dirci il filosofo; quantomeno noi la fase di “fascistizzazione” (altra categoria neocon: l’islamo-fascismo, assunta come ovvia da Zizek) l’abbiamo combattuta e (forse) superata. Se il piano interpretativo si ferma alla questione culturale, saremmo anche tentati di dare ragione al filosofo, ma visto che la vicenda va analizzata nei suoi presupposti economici e politici che la producono, tutto il ragionamento fatto da Slavoj Zizek contribuisce alla sedimentazione del pensiero dominante attuale: il pensiero reazionario della superiorità culturale dell’occidente. 

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Gli assalti di Colonia sono una versione oscena del Carnevale 

I recenti assalti sessuali di Colonia sono un attacco deliberato ai valori occidentali e al senso del pudore della classe media? 

Chi sono gli “hateful eight” dell’omonimo film di Tarantino? L’INTERO gruppo di partecipanti – soldati dell’Unione neri e bianchi razzisti, uomini e donne, magistrati e criminali – in media sono tutti ugualmente brutali e vendicativi. Il momento più imbarazzante del film capita quando l’ufficiale nero (interpretato dall’eccellente Samuel L. Jackson) racconta nel dettaglio e con evidente piacere a un vecchio generale della Confederazione come ne ha ucciso il figlio razzista, che era responsabile della morte di molti neri. Dopo averlo costretto a marciare nudo nel vento gelido, Jackson promette al ragazzo bianco che sta morendo di freddo che gli avrebbe dato una coperta tiepida se gli avesse praticato un rapporto orale, ma dopo che il ragazzo lo fa, Jackson rinnega le sue promesse e lo lascia morire. Cosi non ci sono buoni nella lotta contro il razzismo – tutti loro sono coinvolti in essa con la massima brutalità. E la lezione dei recenti assalti sessuali di Colonia non è stranamente simile alla lezione del film? Anche se (la maggior parte de) i rifugiati sono effettivamente vittime in fuga da paesi in rovina, ciò non gli impedisce di comportarsi in modo deprecabile. Noi tendiamo a dimenticare che non c’è alcuna redenzione nella sofferenza: essere una vittima e stare nel fondo della scala sociale non ti rende una voce di moralità e di giustizia da privilegiare.

Ma questa intuizione generale non è sufficiente – si deve guardare da vicino la situazione da cui si è generato l’incidente di Colonia. Nella sua analisi della situazione mondiale dopo gli attacchi di Parigi, Alain Badiou riconosce tre tipi predominanti di soggettività nel capitalismo global odierno: la soggettività liberal-democratica della classe media “civilizzata” occidentale; quelli posti al di fuori del possesso occidentale dal “desiderio d’Occidente”, che cercano di imitare disperatamente lo stile di vita “civilizzato” delle classi medie occidentali; e i nichilisti fascisti, quelli la cui invidia dell’Occidente si trasforma in un odio autodistruttivo mortale. Badiou chiarisce che ciò che i media chiamano “radicalizzazione” del mondo islamico non è altro che una pura e semplice fascistizzazione: “Questo fascismo è il rovescio del desiderio frustrato nei confronti dell’Occidente che è organizzato in un modo più o meno militare seguendo il modello flessibile delle bande mafiose e con una coloritura ideologica variabile dove il posto occupato dalla religione è puramente formale”.

L’ideologia della classe media occidentale ha due caratteristiche opposte: mostra arroganza e afferma la superiorità dei suoi valori (i diritti umani universali e le libertà minacciati dai barbari stranieri), ma, contemporaneamente, è ossessionata dalla paura che i suoi domini limitati possano essere invasi da miliardi di stranieri, che non hanno valore nel capitalismo globale perché essi non producono merci né le consumano. La paura di questi membri della classe media è che gli stranieri possano unirsi agli esclusi.

L’espressione più chiara del “desiderio di Occidente” sono gli immigrati rifugiati: il loro desiderio non è rivoluzionario, è il desiderio di lasciarsi dietro il loro paese devastato e raggiungere la terra promessa dell’Occidente sviluppato (quelli che rimangono in patria provano a creare delle copie della prosperità occidentale, come nelle parti “modernizzate” delle metropoli del terzo mondo, a Luanda, a Lagos, etc. con le caffetterie che vendono cappuccini, centri commerciali, ecc.).
Ma dal momento che, per la maggior parte di coloro che lo hanno, questo desiderio non può essere soddisfatto, una delle opzioni che rimangono è rivolgersi al nichilismo: la frustrazione e l’invidia si radicalizzano in un odio omicida e auto-distruttivo contro l’occidente, e le persone vengono coinvolte in forme violente di vendetta. Badiou proclama questa violenza come una pura espressione della pulsione alla morte, una violenza che può solo culminare in atti orgiastici (auto)distruttivi, senza una seria visione di una società alternativa.

Badiou ha ragione a evidenziare che non vi sia alcun potenziale di emancipazione nella violenza fondamentalista, per quanto anti-capitalista essa dichiari di essere: si tratta un fenomeno strettamente connesso all’universo capitalista globale, il suo “fantasma nascosto”. Il fatto fondamentale del fondamentalismo fascista è l’invidia. Il fondamentalismo rimane radicato nel desiderio di Occidente all’interno dello stesso odio per l’Occidente. Abbiamo qui a che fare con l’abituale rovesciamento del desiderio frustrato in aggressività descritto dagli psicoanalisti, e l’Islam fornisce solo la forma su cui basare questo odio (auto)distruttivo.  Questo potenziale distruttivo dell’invidia è alla base della nota distinzione di Rousseau tra egoismo, amour-de-soi (cioè il naturale amore per se stessi) e l’amour-propre, la forma distorta che preferisce se stesso agli altri nella quale una persona si concentra non sul raggiungimento di un obiettivo, ma nella distruzione degli ostacoli sulla strada di esso: “Le passioni primitive,  che tendevano direttamente alla nostra felicità, ci facevano trattare solo con gli oggetti ad esse relative, e il cui principio era solo l’amor-de-soi, sono tutte nella loro essenza amabili e tenere; tuttavia, quando sono allontanate dai loro oggetti da alcuni ostacoli, esse sono più occupate dagli ostacoli di cui cercano di sbarazzarsi, che con gli oggetti che esse provano a raggiungere, esse cambiano la loro natura e diventano piene di ira e di odio. Questo è il modo in cui l’amor-de-soi, che è un sentimento nobile e assoluto, diventa amour-propre, cioè un sentimento relativo per mezzo del quale ci si confronta, un sentimento che richiede preferenze, di cui il godimento è puramente negativo e che non si sforza di trovare soddisfazione nel proprio benessere, ma solo nella sfortuna altrui”.

Una persona cattiva non è dunque un egoista “che pensa solo ai propri interessi”. Un vero egoista è troppo occupato a prendersi cura del proprio bene per avere il tempo per causare le disgrazie degli altri. Il vizio primario di una persona cattiva è che essa si occupa più degli altri che di se stessa. Rousseau sta descrivendo un preciso meccanismo di libido: l’inversione che genera lo spostamento dell’investimento libidico dall’oggetto all’ostacolo stesso. Ciò potrebbe essere applicato alla violenza fondamentalista – sia agli attacchi terroristici di Oklahoma sia agli attacchi alle Torri gemelle. In entrambi i casi, noi abbiamo a che fare con odio puro e semplice: la distruzione dell’ostacolo, l’Oklahoma City Federal Building o le Torri gemelle, era quello che interessava veramente, non raggiungere l’obiettivo nobile di una società veramente cristiana o musulmana.

Tale fascistizzazione può esercitare una certa attrazione al giovane immigrato frustrato che non riesce a trovare il suo posto nelle società occidentali o una prospettiva con la quale identificarsi – la fascistizzazione gli offre una via di uscita facile alle loro frustrazioni: una movimentata vita rischiosa si maschera da sacrificale dedizione religiosa, a cui si aggiunge la soddisfazione materiale (sesso, auto, armi…). Non bisogna dimenticare che lo Stato Islamico è anche una grande compagnia commerciale mafiosa che vende petrolio, antiche statue, cotone, armi e donne schiave, “un miscuglio di proposizioni fatalmente eroiche e, contemporaneamente, di corruzione occidentale attraverso le merci”.

Va da sé che questa violenza fondamentalista-fascista è solo uno dei modi attraverso cui si esprime la violenza che appartiene al capitalismo globale, e che si dovrebbe tenere a mente non solo le forme di violenza fondamentalista negli stessi paesi occidentali (populismo anti-immigrati, ecc.), ma soprattutto la violenza sistematica del capitalismo stesso, a partire dalle conseguenze catastrofiche dell’economia globale per finire con la lunga storia di interventi militari. Il fascismo-islamico è un fenomeno profondamente reattivo nel senso nietzschiano del termine, un’espressione di impotenza convertito in rabbia autodistruttiva.

Pur concordando con le linee di fondo della analisi di Badiou, trovo tre delle sue affermazioni problematiche. In primo luogo, la riduzione della religione, la forma religiosa del nichilismo fascista, a caratteristica superficiale secondaria: “La religione è solo un abito, non è in alcun modo il cuore della questione, ma solo una forma di soggettivazione, non è il vero contenuto della cosa“. Badiou ha completamente ragione ad affermare che la ricerca delle radici dell’odierno terrorismo islamico negli antichi testi religiosi (la storia che “è tutto già nel Corano”) sia fuorviante: si dovrebbe invece concentrarsi sul capitalismo globale di oggi e concepire islamo-fascismo come uno dei modi di reagire al suo richiamo convertendo l’invidia in odio. Ma, da un punto di vista critico, la religione non è sempre un abito, piuttosto che il nocciolo della questione? La religione non è sempre nel suo nucleo centrale una “forma di soggettivizzazione” della situazione delle persone? E questo non implica che l’abito E’ in un certo senso il “nocciolo della questione”, il modo in cui gli individui vivono la loro situazione – non è possibile per loro di fare un passo indietro e vedere in qualche modo al di fuori come le cose “sono davvero” …? Allora, la troppo frettolosa identificazione dei rifugiati e dei migranti con un “proletariato nomade”, una “avanguardia virtuale della gigantesca massa delle persone la cui esistenza non viene conteggiato inclusa nel mondo così come è”. I migranti (almeno per la maggior parte) non sono quelli più fortemente posseduti dal “desiderio di occidente”, più fortemente in balia dell’ideologia dominante? Infine, l’ingenuo pretende che dovremmo: “Andare a vedere chi è questo altro del quale parliamo, chi siano in realtà. Dobbiamo raccogliere i loro pensieri, le loro idee, la loro visione delle cose, e inscrivere loro, e noi stessi allo stesso tempo, in una visione strategica del destino dell’umanità”.

Facile a dirsi, difficile a farsi. Questo altro è, come lo stesso Badiou afferma, del tutto disorientato, posseduto dai sentimenti opposti dell’invidia e dell’odio, un odio che alla fine esprime il proprio desiderio represso per l’Occidente (che è il motivo per cui l’odio si trasforma in un auto-distruzione). Fa parte di una metafisica umanistica ingenua presupporre che sotto questo circolo vizioso fatto di desiderio, invidia e odio, vi sia un nucleo umano “più profondo” di solidarietà globale. Abbondano le storie di come, tra i profughi, molti siriani costituiscano un’eccezione: nei campi di transizione hanno pulito la sporcizia che producono, si comportano in modo educato e rispettoso, molti di loro sono ben istruiti e parlano inglese, spesso addirittura pagano per quello che consumano … insomma, sentiamo che essi sono come noi, le nostre classi medie istruite e civili.

È frequente affermare che i rifugiati violenti rappresentano una minoranza, e che la grande maggioranza ha un profondo rispetto per le donne … tutto ciò è certamente vero, ma si dovrebbe comunque lanciare uno sguardo più da vicino alla struttura di questa affermazione: che tipo di donna è “rispettata”, e cosa ci si aspetta da lei? Che cosa succede se una donna è “rispettata” nella misura in cui (e solo nella misura in cui) incarna l’ideale di un servo docile e fedele che svolge le faccende di casa, così che il suo uomo abbia il diritto di esplodere in rabbia se lei “diventa virale” e agisce in piena autonomia?

I nostri media di solito fanno una distinzione tra i rifugiati “civili” della classe media e i rifugiati  “barbari” delle classi inferiori che rubano, molestano le nostre concittadine, si comportano con violenza verso le donne, defecano in pubblico … Invece di bollare tutta questa propaganda come razzista, si dovrebbe avere il coraggio di trovare un momento di verità in essa: la brutalità, compresa la crudeltà estrema verso i deboli, gli animali, le donne, ecc., è una caratteristica tradizionale delle “classi inferiori”; una delle loro strategie di resistenza a chi comanda è sempre stata quella di mettere in mostra una terrificante brutalità volta a disturbare il senso borghese della pudore. E si è tentati di leggere in questo modo anche ciò che è accaduto la notte di Capodanno a Colonia –, cioè come un osceno carnevale delle classi inferiori: “La polizia tedesca sta indagando le denunce di decine di donne che sono state aggredite sessualmente e molestate nel centro di Colonia durante le celebrazioni di Capodanno, in quella che un ministro ha definito ‘una dimensione completamente nuova del crimine’. Secondo la polizia, i presunti responsabili degli assalti sessuali e di numerose rapine erano di origine araba e nordafricana. Oltre 100 denunce sono state depositate alla polizia, un terzo delle quali sono legate a molestie sessuale. Il centro della città si è trasformato in una ‘zona senza legge’: si ritiene che dietro agli attacchi contro la festa nel centro della città tedesca occidentale vi siano stati tra 500 e 1000 uomini descritti come ubriaco e aggressivo. Se stessero agendo come un gruppo unico o in bande distinte rimane poco chiaro. Le donne hanno riferito di essere state circondate in modo stretto da gruppi di uomini che le hanno molestate e aggredito li. Alcune persone lanciavano fuochi d’artificio tra la folla, sommandosi al caos. Una delle vittime era stata violentata. Una poliziotta volontaria è tra coloro che ha detto di essere stato violentate”.

Come previsto, l’incidente sta montando: ora oltre 500 denunce sono state depositate da donne su incidenti simili in altre città tedesche (e in Svezia). Ci sono indizi che gli attacchi siano stati coordinati in anticipo, a cui si sommando i barbari “difensori dell’Occidente civilizzato” dell’estrema destra anti-immigrati che stanno reagendo con attacchi contro gli immigrati, che rischiano di dare inizio a una spirale di violenza… E, come previsto, la sinistra liberale politicamente corretta ha mobilitato le proprie risorse per minimizzare l’incidente, come aveva fatto nel caso di Rotherham.

Ma c’è di più, molto di più, oltre esso: il carnevale di Colonia deve essere posizionato nella lunga serie di eventi il cui primo caso registrato risale alla Parigi del 1730, con il cosiddetto “Grande massacro dei gatti” descritto da Robert Darnton, quando un gruppo di apprendisti di una stamperia torturò e uccise ritualmente tutti i gatti che trovarono, tra cui l’animale domestico della moglie del loro padrone. Gli apprendisti erano trattati letteralmente peggio dei gatti adorati dalla moglie del padrone, in particolare della grise (La grigia), la sua preferita. Una notte i ragazzi decisero di raddrizzare questo stato di cose ingiusto: scaricarono sacchi pieni di gatti mezzi morti nel cortile e poi li infilarono su una forca improvvisata, gli uomini andarono in delirio per la gioia, il disordine, e le risate … Perché l’uccisione fu così divertente?

Durante il carnevale la gente comune sospendeva le normali regole di comportamento e invertiva cerimoniosamente l’ordine sociale o lo ribaltava in una processione riottosa. Il Carnevale era l’alta stagione in cui l’ilarità, la sessualità e la gioventù si tramutavano in riot e la folla, spesso incorporava la tortura dei gatti nella sua musica grezza. Mentre si beffava un cornuto o qualche altra vittima, i giovani passavano vicino a un gatto, strappandogli i peli per farlo miagolare. Faire Le Chat, si chiamava. I tedeschi lo chiamavano Katzenmusik, un termine forse derivato dai miagolii dei gatti torturati. La tortura degli animali, soprattutto dei gatti, è stata un divertimento popolare in tutta Europa nella prima età moderna. Il potere dei gatti si concentrava sull’aspetto più intimo della vita domestica: il sesso. Le chat, la chatte, le Minet sono modi per indicare in gergo francese la pussy (“fica”) in inglese, sono stati utilizzati per secoli come termini osceni.

Così cosa succede se interpretiamo l’incidente Colonia come una versione contemporanea di faire le chat? Come una ribellione carnevalesca dei perdenti? Non era la semplice voglia di soddisfazione delle voglie sessuali dei giovani – ciò potrebbe essere fatto in modo più discreto, nascosto – ma era soprattutto uno spettacolo pubblico per diffondere la paura e l’umiliazione, di esporre le “fiche” dei tedeschi privilegiati a un’impotenza dolorosa. Non vi è, naturalmente, alcuna redenzione o emancipazione, niente di effettivamente liberatorio, in tale carnevale – ma questo è come funzionano i carnevali veramente.

Questo è il motivo per cui i tentativi ingenui di illuminare gli immigrati (spiegando loro che i nostri costumi sessuali sono diversi, che se una donna cammina in pubblico in minigonna e sorride non significa che sta facendo un invito sessuale, etc.) sono esempi di stupidità mozzafiato – loro sanno cosa facendo e qual è il motivo per cui lo stanno facendo. Essi sono ben consapevoli del fatto che ciò che stanno facendo è estraneo alla nostra cultura dominante, ma lo stanno facendo proprio per ferire la nostra sensibilità. Il compito è quello di cambiare questa posizione di invidia e di aggressività vendicativo, non quello di insegnare loro ciò che già sanno molto bene.

La difficile lezione di tutta questa vicenda è quindi che non è sufficiente a dare semplicemente voce ai diseredati come sono: al fine di mettere in atto l’emancipazione reale, devono essere educati (da altri e da loro stessi) alla loro libertà.

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