Decine di giornalisti hanno marciato ieri per le strade del Cairo
denunciando il regime di al-Sisi per le “violazioni della libertà di
stampa” avvenute durante le proteste di lunedì. In un reclamo ufficiale redatto dal Consiglio del sindacato dei giornalisti e consegnato alle autorità egiziane,
gli operatori dell’informazione hanno accusato il ministro degli
interni, Majdi Abdel Ghaffar, e il capo delle forze di sicurezza nella
capitale, Khaled Abdel Aal, per quanto accaduto quattro giorni fa.
Il sindacato ha stigmatizzato il comportamento delle forze
dell’ordine per gli arresti di alcuni giornalisti avvenuti
“illegalmente prima e durante i cortei di lunedì”. Secondo il Comitato
di protezione della stampa, infatti, almeno 33 operatori
dell’informazione sono stati fermati in diverse retate compiute dalla
polizia prima ancora che avessero luogo le manifestazioni.
Il reclamo di sei pagine consegnato ieri alle autorità
egiziane accusa anche la polizia di aver bloccato i giornalisti
all’interno della sede del sindacato mentre erano in corso le proteste
e di aver impedito a quelli che erano rimasti fuori di entrare
nell’edificio. Ma le colpe delle forze di sicurezza non finirebbero qui.
I poliziotti, si legge ancora nel testo, avrebbero permesso ai
sostenitori del regime di al-Sisi di attaccare le sedi del sindacato
fornendo loro protezione. Prima di marciare verso l’Alta corte
di giustizia, un gruppo di fotoreporter ha ieri voluto simbolicamente
alzare le telecamere in segno di protesta contro la repressione
governativa che ha subito.
La cronaca della giornata di lunedì è stata un lungo elenco
di manifestazioni (talvolta di poche decine di persone) disperse con
lanci di candelotti lacrimogeni, di arresti, di raid in diverse località
egiziane. La protesta più consistente è avvenuta in piazza
Mesaha, nel governatorato di Giza, dove si sono radunate centinaia di
persone che hanno scandito slogan contro il regime reo di aver ceduto
all’Arabia Saudita le due isole “egiziane” del Sinai (Tiran e Sanafir). I
manifestanti hanno chiesto poi la scarcerazione di tutti gli egiziani
arrestati lo scorso fine settimana. Imprecisato il numero delle persone
fermate nei vari cortei che hanno attraversato il Paese. Secondo
l’attivista Zayed Salem, nella sola giornata di lunedì gli arrestati
sono stati 161, in maggioranza a Dokki (il Cairo). Altre fonti
sostengono che il totale sarebbe più alto.
Mentre il regime prosegue la sua inflessibile campagna securitaria contro i dissidenti, una nuova polemica diplomatica investe il Paese. In visita ufficiale ad Abu Dhabi,
il ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha detto mercoledì
che il mondo arabo, l’Africa e la Palestina avrebbero bisogno di un
Egitto “forte” non di quello “fragile sotto l’amministrazione di
as-Sisi”. Le dichiarazioni hanno mandato su tutte le furie i
vertici del regime egiziano che ha risposto subito per le rime. In una
nota, il ministero degli esteri egiziano ha detto che le dichiarazioni
turche “riflettono lo stato psicologico” di Ankara da quando è salito al
potere l’ex generale as-Sisi. Ha rincarato poi la dose il portavoce del ministro degli esteri egiziano, Ahmed Abu Zeid. Secondo Abu Zeid,
i turchi dovrebbero smetterla di ripetere questi “slogan vuoti” e
dovrebbero, invece, badare di più alle posizioni politiche che hanno
assunto negli ultimi anni che li hanno portati ad isolarsi con il resto
del mondo.
Le relazioni tra Egitto e Turchia sono tese da quando il presidente
egiziano islamista democraticamente eletto, Mohammed Morsi, è stato
destituito con un colpo di stato militare il 30 giugno 2013. In più di una
circostanza Erdogan ha chiesto al Cairo il rilascio del suo stretto
alleato. I suoi appelli sono sempre caduti nel vuoto.
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