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20/04/2016

Unione bancaria. La Germania prova a fare bingo

Per chi, come noi e i nostri lettori, vive quaggiù, lontano da quanto accade o viene deciso ai piani alti del potere, una discussione sull’unione bancaria europea può suonare decisamente astratta, quasi un esercizio di logica senza agganci con la realtà che viviamo o che vivremo nei prossimi anni. E invece si sta parlando del nostro pane e della nostra vita.

Venerdì e sabato i ministri finanziari dei 28 paesi membri dell’Unione Europea si incontreranno per discutere di come completare – appunto – l’unione bancaria disegnando criteri e regole della garanzia comune per i depositi bancari. In pratica, l’assicurazione dei correntisti fino a 100.000 euro che dovessero essere coinvolti nel fallimento della propria banca. Altrimenti chiamata “terza gamba” dell’unione bancaria.

Questa assicurazione è per ora fornita a livello nazionale, ma è intuibile che i paesi più deboli – per struttura e dimensioni del debito pubblico, quindi più esposti agli attacchi speculativi in caso di nuove turbolenze finanziarie – potrebbero trovarsi in difficoltà nell’affrontare concretamente questa situazione.

Si potrebbe pensare che non si tratti di affari comunitari, ma in realtà la stessa solidità di una banca dipende da regolamentazioni internazionali (Basilea 2 e 3) o comunitarie. Quindi ogni cambiamento delle regole può creare “sofferenze” là dove prima regnava la tranquillità o quasi. Dunque è logico che questa garanzia comune, a livello continentale, sia creata il prima possibile, rafforzando di fatto la solidità dell’intero sistema bancario europeo.

Naturalmente decidere una condivisione dei rischi è cosa complicata, con i più forti – casualmente: la Germania – nella posizione di chi dà le carte e probabilmente le ha già segnate. Mentre i più deboli sono in quella del debitore che non può pretendere più di tanto.

Non sarà una discussione semplice perché, nonostante la relativa calma sui mercati, assicurata dalle massicce iniezioni di liquidità realizzate ogni mese dalla Bce, è chiaro a tutti che – dopo nove anni di crisi senza soluzioni – ogni increspatura può diventare un’onda di tempesta.

Il “compromesso” era stato fin qui individuato in una sorta di scambio virtuoso: condivisione del rischio bancario, ma anche riduzione di questo rischio. Ha una logica, detta così, perché un indebitato non può pretendere una garanzia assoluta su qualsiasi dimensione di debito. Ma è altrettanto ovvio che qualsiasi modificazione nei criteri di valutazione dei singoli asset in portafoglio a una banca può creare squilibri prima inesistenti e mettere in crisi soggetti che apparivano solidissimi.

È noto, per esempio, che Germania e Olanda era riusciti ad imporre – in sede di valutazione della solidità delle banche, con gli stress test – un giudizio negativo per i crediti concessi a famiglie e imprese (tipica delle banche italiane, francesi e spagnole, oltre che di altri paesi minori) e un giudizio invece neutro per l’esposizione in prodotti finanziari derivati (tipica delle banche tedesche, oltre che inglesi). In questo modo, alcuni sistemi bancari salvati solo grazie ad aiuti di stato imponenti (a Londra e Berlino) apparivano floridi, mentre altri che erano rimasti immuni o quasi al grande tracollo del 2008-2009 risultavano invece “a rischio”. Miracoli del giudizio ad bancam...

Neme. Alla vigilia della riunione di fine settimana la presidenza olandese dell’Ecofin, quell’incredibile Jeroen Dijsselbloem che ha devastato la Grecia, sostenuta a spada tratta dal tedesco Wolfgang Schaeuble, ha presentato una proposta che potrebbe far esplodere una nuova crisi del debito sovrano nei paesi con elevati livello di debito pubblico.

L’idea è quella di considerare “rischiosi” i titoli di stato. Che andrebbero dunque quantitativamente ridotti nel portafoglio di qualsiasi banca europea.

Lo scopo dichiarato sembra addirittura virtuoso: spezzare il diabolico loop tra titoli di stato e bilanci delle banche, per cui i secondi seguono di fatto l’evoluzione positiva o negativa dei primi, con gravi rischi sistemici ma soprattutto con una sistematica “immobilizzazione delle risorse” che sottrae energie teoricamente disponibili per “la crescita”.

Ma è chiaro anche a uno studente del primo anno che un’offerta eccezionale di titoli di stati – conseguenza diretta della necessità delle banche di vendere quei titoli – provocherebbe un’improvvisa caduta del prezzo di quei titoli, esponendo gli stati nazionali meno forti ad offrire rendimenti più alti per rifinanziare il proprio debito. Con la forte probabilità di non riuscirci nemmeno per intero e aprire così il vaso di Pandora che porta al default.

È l’esatto opposto della strategia perseguita dalla Bce, che – allagando di liquidità il mercato – ha infatti reso tutti i titoli di stato europei “sicuri”, comprimendo lo spread fin quasi alla parità fra tutti i paesi (tra Bund tedeschi e bond italiani, oggi, c’è un differenziale di poco superiore all’1%).

Se questa proposta dovesse passare, insomma, già solo l’”effetto annuncio” in essa contenuto farebbe aumentare l’instabilità finanziaria fin qui stabilizzata dalla Bce, riaprendo una fase acuta di crisi del debito sovrano europeo, di corsa ai salvataggi in cambio di tagli di spesa, privatizzazioni (in alcuni paesi non c’è rimasto molto di “pubblico” da vendere), austerità, ecc. Il tutto mentre le vecchie prescrizioni della Troika non sono ancora del tutto diventate operative...

La Germania punta in modo palese a “fare bingo”, eliminando una lunga serie di istituti di credito basati nei paesi Piigs, e scatenando così una serie di svalutazioni di asset – non solo finanziari, ma anche industriali – che potrebbero essere a quel punto acquistati a prezzi stracciati. Mentre gli stati più deboli sarebbero indeboliti ancora di più (ma con i bilanci a posto, per carità...), e quindi obbligati a fare di corsa tutte le “riforme” che il mercato multinazionale pretende.

Conseguenze assai più rilevanti di quelle raggiungibili con un qualsiasi trattato, perché metterebbe in moto forze “di mercato” decisamente più “stringenti” e rapide di una procedura d’infrazione.

Diventa più chiaro, ora, perché certe decisioni prese nell’alto dei cieli di Bruxelles o Francoforte sono destinare – sempre – a caderci sulla testa?

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