Con tre giorni di ritardo si aprono oggi in Kuwait i negoziati per porre
fine alla guerra in Yemen. A gestire il dialogo saranno le Nazioni Unite
che da mesi tentano di portare al tavolo le due parti, senza successo.
Stavolta a far sperare per un negoziato reale è la tregua in corso da
due settimane tra la coalizione a guida saudita e il movimento ribelle
Houthi. Una tregua a metà visto che gli scontri non sono in realtà mai
terminati. Oggi, comunque si parte: la delegazione Houthi è arrivata
ieri, quella governativa-saudita era già in Kuwait dalla scorsa
settimana.
Il team di negoziatori del governo Hadi e di Riyadh aveva
lanciato un ultimatum agli Houthi: nessun dialogo se non si fossero
presentati al tavolo entro oggi. Erano stati proprio i ribelli a
ritardare il via al negoziato lunedì a causa della mancanza di basi comuni. In particolare il movimento chiedeva rassicurazioni sull’agenda, troppo fumosa, e la fine dei bombardamenti della coalizione.
Ottenuta la garanzia di una fine dei raid sauditi, la delegazione
Houthi è partita per il Kuwait. Resta in ballo la risoluzione Onu 2216
che impone ai ribelli di abbandonare le armi e ritirarsi dalle zone
occupate dal settembre 2014.
Il movimento Houthi ha più volte accettato di aderire alla risoluzione in cambio di un dialogo diretto con l’Arabia Saudita
e garanzie della propria partecipazione politica nelle istituzioni
yemenite, senza ricevere però impegni in tal senso da Riyadh. E come
atto di buona volontà ha accettato la scorsa settimana il
rientro del governo yemenita nella capitale Sana’a e un governo di unità
nazionale con un nuovo primo ministro ma con Hadi come presidente fino
alle prossime elezioni. Un passo importante ai fini del
negoziato che si scontra però con gli obiettivi della petromonarchia: i
sauditi vogliono uscire da una guerra che non riescono a vincere certi
di mantenere la propria stretta sullo Yemen.
Ma questa stretta non potrà essere garantita perché
all’attuale debolezza di Riyadh, sia economica che diplomatica, si
aggiunge un pericoloso vacuum politico figlio di oltre un anno di
operazione militare. Lo Yemen va ricostruito sia fisicamente
che politicamente, un obiettivo ostacolato dalla crescita repentina di
forze interne e poteri paralleli, a partire dai movimenti secessionisti
meridionali e da Al Qaeda nella Penisola Arabica che ha occupato intere
città e le gestisce ora a livello amministrativo con il sostegno delle
tribù locali.
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