Ricorrono trent’anni dalla tragedia del disastro nucleare di Cernobyl: uno dei fatti che possono essere considerati tra i più importanti del ‘900.
Un vero e proprio punto di svolta storica del significato e del valore dei momenti di conclusione dei conflitti mondiali o dell’esplosione di rivolgimenti politici di enorme portata come la Rivoluzione d’Ottobre o lo smembramento dei grandi imperi coloniali.
La tesi che intendo sottoporre all’attenzione di chi avrà la compiacenza di leggere queste note è quella del significato complessivo che quella vicenda assunse proprio al riguardo dello sviluppo storico successivo rispetto alla stessa logica che aveva retto, per molti decenni, l’equilibrio politico del Pianeta.
Si può dire, prima di tutto, che quella tragedia assunse il valore e l’importanza di “reincatenare Prometeo”.
Nel senso che quel fatto rese evidente come risultasse errata l’idea, per molto tempo dominante, dell’incomprimibilità dello sviluppo della forze produttive.
L’idea dello sviluppo illimitato fino a quel momento era, infatti, apparsa assolutamente egemone nella torsione tecnico – scientifica che nel ‘900 si era verificata nell’espressione del pensiero filosofico.
E’ stato con Cernobyl che il concetto di “limite” s’introdusse nel dibattito quale elemento reale.
E’ stato da Cernobyl in avanti che il confronto a livello planetario sui destini del comparto industrial – militare è cambiato di segno ed è mutata complessivamente la qualità della contesa bipolare che aveva retto per tutto il periodo seguente la seconda guerra mondiale.
Cernobyl mostrò i limiti di fondo dell’URSS nell’inseguire lo sviluppo tecnologico riservandone appunti gli effetti al solo settore industrial – militare com’era avvenuto negli anni dell’industrializzazione forzata e poi della ricostruzione post-bellica, fino alla “gara spaziale”.
Quell’URSS che proprio a partire dallo slogan leniniano “soviet più elettrificazione uguale socialismo” rappresentava davvero il mito della liberazione di Prometeo, prima ancora dell’affermazione di quello di Spartaco della liberazione degli schiavi.
La dimostrazione del presentarsi di un vero proprio punto di blocco del meccanismo di sviluppo così come questo era stato fino a quel momento concepito consentì di elaborare il concetto di “fine della storia” sulla base del quale la destra occidentale ha fondato l’idea di un’egemonia imperitura di un capitalismo capace di liberare i suoi “spiriti animali” e del mondo come di un immenso mercato da conquistare e sfruttare.
Concetto di “fine della storia” che non riguardò soltanto la fine dell’URSS intesa quale inveramento statuale di quei fraintendimenti della filosofia marxiana che avevano attraversato il ‘900 ma anche le forze politiche sorte in altre parti del mondo sulla base del portato della Rivoluzione d’Ottobre.
Ciò avvenne in particolare in Occidente, dove saltò definitivamente in aria lo schema determinatosi attraverso la rottura avvenuta negli anni’20 con una socialdemocrazia impregnata anch’essa di sviluppismo indefinito commisto con l’idea di “moderare” rapacità capitalista.
Furono coinvolte, nell’affermazione dell’idea di “fine della storia” anche i vari tentativi di mediazione del tipo “terza via” (non quella di Giddens, beninteso che restava di là da venire) o di policentrismo.
L’arresto della prospettiva di un’illimitatezza dello sviluppo tecnologico (di cui il nucleare era stato per tanto tempo l’asse portante) portò via con sé anche gli elementi sovrastrutturali che ne avevano definito l’istituzione di una sovranità e la stessa centralità sociale del soggetto portante, nel socialismo, della costruzione dello sviluppo: la classe operaia.
La contesa militare e industriale si trasferì così soltanto sul terreno della razionalità e dell’efficienza al di fuori dal perseguimento di qualsiasi finalità di riscatto sociale e politico e di “liberazione dei popoli”.
Cernobyl ha rappresentato addirittura il punto d’approdo e non di partenza della fine dell’URSS come soggetto della competizione bipolare tra le superpotenze.
Ciò che accadde nei 5 anni successivi, fino alla formalizzazione di questo fatto, fu questione semplicemente di sovrastruttura.
Questione nella quale si posero per intero gli irrisolti problemi della forma – stato e del rapporto tra democrazia economica e democrazia politica.
Il dato di crisi strutturale era, infatti, già emerso definitivamente il 26 aprile 1986 dopo tanti scricchiolii avvertiti in precedenza.
I nodi della relazione tra economia e politica furono in seguito, nel campo del cosiddetto “socialismo reale” affrontati dalla Cina attraverso la scissione tra stretta centralizzatrice del Partito e l’articolazione e decentramento della produzione, in nome dell’assunzione di un modello di capitalismo consumistico dominato dal motto individualistico dell’“arricchitevi”. Ignorando però il tema della limitatezza delle risorse e della qualità dello sviluppo attraverso la messa in campo della semplice forza dei numeri.
E’ stato questo rapporto tra idea dello sviluppo economico e realtà del sistema politico il punto effettivo su cui si è incentrato un declino sistemico del modello post – rivoluzionario sovietico (che era stato definito di “socialismo reale”) dopo le accelerazioni poste sul terreno industriale negli anni ’50 e ’60 e i ritardi accumulati durante lo stesso periodo nella pianificazione dell’agricoltura (al riguardo della quale furono comunque sbagliate analisi di fondo e coltivate pericolose illusioni).
Non tutto comunque risultò riducibile alla questione delle liberalizzazioni economiche e politiche, come poi abbiamo visto nel post –’89.
Proprio da Cernobyl iniziò allora un’altra storia, che oggi sta già modificando nuovamente – attraversata la fase del “solo gendarme del mondo” e della globalizzazione – una nuova curvatura sulla quale andrebbe aperta una riflessione di grande valenza storica, filosofica e politologica.
Una riflessione non riducibile semplicemente al tema da non ridurre a una mera visione avveniristica della difesa del pianeta dalla febbre della distruzione ambientale.
Il tema della distruzione ambientale complessiva deve essere affrontata come priorità tenendo conto dell’intreccio tra la diversità delle contraddizioni emergenti tra materialiste e post-materialiste, nel modificarsi dei termini della globalizzazione imposta dall’innovazione tecnologica e, di conseguenza, del modificarsi nel rapporto tra struttura e sovrastruttura.
Non sono reperibili modelli di riferimento e l’assolutismo capitalista non garantisce certo un equilibrio accettabile ed è questo il punto di ricerca intorno al quale risulta assolutamente indispensabile esercitarsi avendo ben chiaro come i tre punti della guerra, dello sfruttamento, della sopraffazione a tutti i livelli restano del tutto irrisolti in una storia nella quale rimangono intatte.
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