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27/04/2016

Europa, il bavaglio delle multinazionali sul giornalismo d’inchiesta

Si chiama “Directive on the protection of undisclosed know-how and business information (trade secrets) against their unlawful acquisition, use and disclosure”, in breve “Trade Secrets Protection”, “direttiva per la protezione del segreto aziendale”.

E’ stata approvata a larghissima maggioranza (il 77% dei voti favorevoli) giovedì, dieci giorni fa, dal Parlamento Europeo.

Apparentemente sembra uno strumento giuridico fornito alle imprese per proteggersi dallo spionaggio economico e industriale. In realtà è un altro ostacolo, e non di poco conto, per mettere definitivamente a tacere quei pochi giornalisti d’inchiesta che ancora rimangono nel nostro paese e in Europa.

Tutto ruota intorno al concetto di “interesse pubblico”. La direttiva esclude che le informazioni che possano avere un qualche tipo di rilevanza per l’interesse pubblico ricadano nel campo di applicazione. Il punto è che non viene contestualmente definito che cosa sia esattamente un interesse pubblico. Una scappatoia, o se volete una gatta da pelare per i giudici, che di fatto costringerà i giornalisti ad affrontare lunghi, rischiosi ed estenuanti percorsi giudiziali. Sicuramente un fattore deterrente, a non occuparsi di questioni legate alla produzione e alla gestione delle informazioni che, quando sono in mano alle grandi multinazionali (e non alle piccole imprese come beffardamente sottolinea la direttiva), rappresentano affari miliardi e sono per forza di cose di interesse pubblico proprio per la rilevanza delle forze in campo.

“La protezione è esclusa nel caso in cui la divulgazione del segreto aziendale serva l’interesse pubblico – scrive Claudia Vago sul sito www.nonconimieisoldi.org – nella misura in cui permette di rivelare un errore professionale o altri tipi di errore o attività illegali direttamente collegati al segreto. Il problema è che la direttiva non definisce chiaramente né l’interesse pubblico né il modo in cui si manifesta la pertinenza, il collegamento tra il segreto svelato e l’errore o l’attività illegale.

Per fare un esempio, nel caso dei Panama papers molte società offshore che compaiono nei documenti pubblicati dall’inchiesta non hanno commesso illeciti. Grazie alla nuova direttiva potrebbero rivolgersi a un tribunale per mettere a tacere i media o richiedere alle fonti delle informazioni e ai giornalisti che le hanno diffuse milioni, se non miliardi, di euro di indennizzo”.

A lanciare l’allarme in Francia era stata Elise Lucet giornalista d’inchiesta a capo di “Cash Investigation”, equivalente alla nostra Milena Gabanelli.

Pochi mesi fa aveva lanciata una petizione indirizzata al Parlamento Europeo per denunciarne gli effetti nefasti di questa norma e chiederne il ritiro. In poco tempo aveva raccolto oltre 400.000 sottoscrizioni. Tra questi l’appoggio di tanti giornalisti d’inchiesta francesi come il noto Edwy Plenel del sito di informazione Mediapart, informatori del calibro di Hervé Falciani, europarlamentari come l’ex giudice Eva Joly e Ong come Reporters sans Frontières.

Ora i 28 Stati membri dell’Unione hanno due anni di tempo per tradurre la direttiva nella propria legislazione nazionale e, data la mancanza di chiarezza, alcuni saranno sicuramente tentati di usarla per soffocare inchieste che possono compromettere il potere economico e/o politico.

La BBC, ha intervistato il relatore della direttiva, la francese Constance Le Grip, sui rischi corsi dai giornalisti e dai whistleblower che rivelassero informazioni aziendali. Alla domanda: “Potete giurare che nessuno sarà condannato a causa di questa direttiva?”, Le Grip ha risposto: “Non sono un giudice”.

I veri giornalisti e i tanti cittadini che non vogliono un’informazione che si limiti al copia/incolla dei comunicati stampa delle aziende perché ritengono, come disse George Orwell che “il giornalismo consiste nel pubblicare ciò che gli altri non vorrebbero vedere pubblicato” hanno seri motivi per mobilitarsi contro questa proposta liberticida nei loro rispettivi paesi.

Contro la direttiva hanno votato contro compattamente solo i parlamentari del GUE, la sinistra europea, e dei Verdi. Si sono astenuti gli europarlamentari del M5S.

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