di Tania Careddu
Non sarà come i paesi dell’ex Jugoslavia che, dopo le guerre sono
diventati l’arsenale di ogni genere di armi, ai quali tutti sono ricorsi
per farne incetta ai fini di combattere l’Isis, ma, in ogni caso,
l’Italia rimane una grossa produttrice nel panorama mondiale. Anche nel
2015. Anno in cui sono state esportate dal Belpaese, armi e munizioni,
militari e comuni, per un ammontare complessivo di oltre 1,25 miliardi di euro. In decrescita del 3,5 per cento rispetto
al 2014, ma la cifra è solo di poco inferiore al massimo storico,
registrato nel 2012, degli ultimi venti anni.
Uso: principalmente
militare ma anche per comuni cittadini. Destinazione: Unione europea e
America settentrionale. In ripresa le esportazioni verso l’Asia,
Pakistan in primis, l’Oceania, e i paesi dell’Africa subsahariana. In
contrazione, invece, quelle verso i paesi del Medio Oriente, quelle
verso i paesi europei extraUe, in considerazione del fatto che la Russia
è sotto embargo da parte dell’Unione europea per il conflitto in
Ucraina, e verso quelli dell’America Centro-meridionale.
A
guardare nel mirino, nel 2015 un terzo delle armi e munizioni
confezionate in Italia sono state spedite in zone in cui erano in corso
conflitti armati o caratterizzate da forti tensioni interne o regionali.
Centoventi i paesi serviti. Tra i quali, quelli a più alta tensione
bellica: Arabia Saudita, uno dei maggiori regimi autoritari nella scala
della democrazia, che ha ricevuto soprattutto bombe per aerei inviate
dalla provincia di Cagliari e ampiamente impiegate, senza richiedere
alcun mandato e senza ricevere alcuna legittimazione da parte delle
Nazioni Unite, nel conflitto in Yemen; Algeria che ha quasi triplicato
le forniture, principalmente per il munizionamento militare, tipo
pistole semiautomatiche.
Armi recapitate, circa trentamila, anche
in Egitto, insieme a tremila e seicentosessantuno fucili o carabine,
nonostante la decisione del Consiglio dell’Unione europea di sospendere
le licenze di esportare a questo paese “ogni tipo di materiale che possa
essere utilizzato per la repressione interna”.
Come se non
bastasse, le armi esportate sono destinate anche a un uso non militare.
Per difesa personale, per le discipline sportive, per le attività
venatorie che comprendono pure quelle utilizzate da parte dei corpi di
polizia e per le forze di sicurezza pubbliche e private. Bene, l’Italia
risulta essere il principale esportatore, con la provincia di Brescia in
testa, soddisfacendo oltre un quarto dell’export nazionale, superando
la Croazia e la Germania, ricoprendo il 15,9 per cento del commercio
internazionale.
“L’analisi dei dati – commenta, nel "Rapporto
OPAL – 2016", l’analista, curatore del dossier, Giorgio Beretta – non
solo conferma le spedizioni avvenute, nel 2015 da Cagliari, di oltre
diciannove milioni di euro di bombe per le forze armate dell’Arabia
Saudita, utilizzate dai sauditi per i bombardamenti in Yemen, in un
conflitto che ha causato quasi settemila morti di cui più della metà tra
la popolazione civile, ma permette di rilevare le ampie forniture di
armi e munizioni anche ad altri paesi in zone di tensione e a regimi
repressivi.
Tra
questi, soprattutto per munizioni militari, il Turkmenistan
(ottantasette milioni di euro), gli Emirati Arabi Uniti (quarantuno
milioni), l’Algeria (quarantuno milioni), e l’India (ventiquattro
milioni)”.
“A fronte di questi dati – gli fa eco il presidente di
OPAL, Pierluigi Biatta – riteniamo improrogabile che il governo Renzi
chiarisca la politica sulle forniture all’estero di armi e che il
Parlamento si impegni in un maggior controllo sulle esportazioni di
sistemi militari e di armi comuni. Sono ormai diversi anni che il nostro
Osservatorio, insieme alla Rete italiana per il Disarmo, lo chiede ai
vari governi e alle rappresentanze politiche ma, a parte qualche
sporadica iniziativa parlamentare, le risposte, soprattutto dal Governo,
continuano a mancare”.
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