Da molto tempo i Paesi baltici pretendono dalla Russia una “compensazione” per i danni che sarebbero stati provocati da quella che essi definiscono “l’occupazione sovietica”. La Lettonia, che la recente classifica Eurostat ha classificato al 5° posto tra i paesi UE con la maggior percentuale di poveri (16,4% sul totale della popolazione), ha ora quantificato il compenso preteso in 185 miliardi di euro: una discreta riduzione rispetto ai 300 miliardi reclamati due anni fa. Pare che, secondo Interfax, Riga si appresti a valutare, oltre quelle economiche, anche le “perdite demografiche”, per alcune decine di miliardi, causate dalla “politica coloniale dell’impero sovietico e dalla colonizzazione della Lettonia tra il 1940 e il 1990”. Nel novembre scorso, i Ministri della giustizia delle tre capitali baltiche, Riga, Vilnius e Tallin, avevano sottoscritto un memorandum di collaborazione, in cui esplicitavano la volontà di richiedere alla Russia, quale “erede” dell’Urss, la compensazione per “l’occupazione sovietica”, anche se, a quanto pare, l’Estonia avrebbe poi rinunciato ad avanzare richieste.
Dopo la richiesta lettone, la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharrova, ha subito indetto un concorso su feibuc per il commento più ironico alla richiesta di Riga; unica condizione, non fare riferimento al cognome della presidente della commissione lettone (Ruta Pazdere) che ha ufficializzato la richiesta, cognome che, leggermente storpiato, in russo suonerebbe discretamente censurabile.
E, a proposito del passato sovietico, un recente sondaggio dell’indipendente Centro Levada, ha rilevato che il 56% dei russi (era il 54% appena cinque mesi fa) si dice dispiaciuto della fine dell’Urss. Una testimonianza diretta di tali umori è data anche dall’etichetta di “Traditore” che sarebbe stata applicata al monumento eretto a Vladivostok a uno dei maggiori “eroi” della democrazia occidentale antisovietica, Aleksandr Solženitsin. Autore del gesto sarebbe il segretario della locale Unione della gioventù comunista-leninista russa, Maksim Šinkarenko. La procura cittadina lo ha immediatamente accusato di “vandalismo”: non sia mai che ci si azzardi ad alzare le mani sul “dominatore degli intelletti” dell’intellighenzia sovietica di opposizione. Anche la vedova dello scrittore, riporta Pravda.ru, ha lanciato un appello agli abitanti di Vladivostok, ripetendo tra l’altro che “noi, come paese, non abbiamo mai condannato e mai ci siamo pentiti per i crimini del regime sovietico”. Come sarebbe a dire che non ci siamo pentiti, risponde Pravda.ru. Cominciò Khuščëv al XX congresso, riabilitando, tra l’altro, anche quei marescialli, come Tukhačevskij, il cui complotto di golpe militare non è messo in dubbio da alcuno storico serio. E il “pentimento” continua oggi nei film, nella letteratura, in cui, ad esempio, accanto all’eroe positivo, c’è immancabilmente il “bestiale” agente NKVD dedito solo a reprimere i veri patrioti e i combattenti dell’Esercito Rosso. Ma la domanda tuttora ricorrente, scrive Pravda.ru, è: aveva o no il nobel Solženitsin fatto appello agli USA perché colpissero l’Urss con la bomba atomica? Chi ha più di quarant’anni non ha difficoltà a ricordare i suoi appelli, amplificati dai media occidentali; anche se, a fine anni ’70, Solženitsin scriveva che gli USA non gli apparivano più un “alleato onesto nella liberazione russa”, dato che il Congresso non considerava i russi una “nazione oppressa dal comunismo” ma, al contrario, gli USA vedevano nella Russia e non nel comunismo, come avrebbe voluto lui, “l’oppressore mondiale”. Ciononostante, Solženitsin non disdegnò di trascorrere lunghi anni nel Vermont, difeso dall’intelligence yankee, spesato di tutto e continuando a sfornare volumi che “smascheravano i crimini del regime sovietico”, prima di fare il suo rientro trionfale in Russia, sbarcando proprio a Vladivostok, osannato dal codazzo dei corrispondenti occidentali che lo scortarono fino a Mosca. In definitiva, Solženitsin non è stato né il primo né l’ultimo: anche il generale collaborazionista Vlasov diceva che obiettivo del suo “Esercito di liberazione russo” era “la lotta al bolscevismo e la costruzione di una nuova Russia”, anche se Hitler aveva tutt’altri piani per l’Urss e per la Russia, come del resto gli USA al giorno d’oggi, conclude Pravda.ru.
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