La brutta notizia per Bernie
Sanders era già arrivata una settimana prima del voto alle primarie del
partito democratico nello stato di New York. Il più potente e
aggressivo Super PAC che sostiene e finanzia con centinaia di milioni di
dollari la campagna di Hillary Clinton aveva deciso di iniziare a
comprare gli spazi televisivi, radiofonici e dei grandi siti web in una
serie di Stati in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Per
gli imprenditori, le multinazionali, le società finanziarie e
immobiliari che compongono Priorities USA Action – questo il nome – la
partita delle primarie era chiusa ancora prima del voto nello Stato di
New York. Una mossa che poteva sembrare azzardata viste le decine di
migliaia di persone che partecipavano ai comizi di Bernie Sanders nel
Bronx, a Brooklyn e a Manhattan, ma il calcolo era ben studiato.
Sanders, questo il più che probabile ragionamento messo a fuoco, ha aperto uno spazio politico
che certo preoccupa l’establishment politico-finanziario del partito
democratico, ma ai suoi happening prevale una socializzazione festosa,
il riconoscersi in una vaga «rivoluzione politica» e non la tensione
verso il conflitto sociale e la radicalizzazione politica che possono
tradursi anche in un’espressione di voto. D’altra parte il meccanismo
delle primarie chiuse di New York – votano solo coloro che si sono
registrati come elettori democratici fino a 25 giorni prima del voto,
quando praticamente la campagna elettorale dei candidati non è ancora
iniziata – è stato pensato in modo che il partito abbia il massimo
controllo sulle scelte degli elettori. Sanders veniva da una
serie di vittorie ottenute perlopiù in piccoli Stati, che non esprimono
grandi numeri di delegati e tutti con primarie caucuses aperti.
Infatti, hanno votano anche gli indipendenti e la registrazione è stata
possibile fino al giorno del voto.
La sconfitta di Bernie Sanders è
ancora più netta nella città di New York, dove il partito democratico è
maggiormente strutturato e organizzato rispetto al resto dello Stato e
dove i maggiori sindacati dei lavoratori del pubblico impiego e della
sanità – il tasso di sindacalizzazione a New York è molto più alto che
nel resto del paese – hanno fatto una campagna capillare per Hillary
Clinton. L’ex Segretario di Stato fa man bassa di voti tra le donne, le
comunità afroamericane e latine. Ottiene alte percentuali nella Brooklyn
afroamericana, nel Bronx latino e nella ricca Manhattan bianca. Sanders
ha i migliori risultati tra i giovani bianchi e nei «quartieri di
mezzo» attestati tra i milioni di dollari dell’Upper East Side e la
povertà estrema di East New York. Il voto a Clinton è
polarizzato verso l’alto e il basso della gerarchia sociale, quello a
Sanders si colloca in gran parte in uno spazio intermedio,
nella mitica classe media americana. Diversa anche la strategia, in
queste primarie newyorchesi, tra i due candidati. Clinton, con il
sostegno dei grandi media, ha ripreso e sterilizzato gli argomenti di
Sanders sul salario minimo, sul potere delle banche, sulle
diseguaglianze sociali andando per linee interne nelle organizzazioni
sindacali, nelle comunità afroamericane, latine, LGBT e le associazioni
femminili. Puntando al coinvolgimento dei leader settoriali e locali dei
vari quartieri, articolando il suo messaggio sulle singoli questioni
per farle percepire più vicine agli elettori. Sanders si è giocato quasi
tutto in grandi raduni che hanno riprodotto lo stesso format per quanto
riguarda il tipo, i numeri della partecipazione e i contenuti del
discorso. Ha tentato un paio di affondi dicendo che Clinton non è
«qualificata» come Presidente e alzando i toni contro l’eccessivo potere
di Wall Street. Ma è stato costretto a fare marcia indietro davanti
alla violenta reazione dello staff di Clinton e ha mostrato tutta la sua
debolezza in un’intervista giornalistica in cui non ha risposto alla
domanda su come si faccia a limitare il potere delle banche e ridurre le
diseguaglianze sociali. Una debolezza estrema già emersa nelle
primarie svolte in questi due mesi malamente nascosta dietro l’ennesima
evocazione della figura di Franklin Delano Roosevelt.
Bernie, a quanto pare, non abbandonerà le primarie e continuerà a resistere.
Si tratta di capire con quale obiettivo e se la sua resistenza si
tramuterà in qualcos’altro. Nelle dichiarazioni ufficiali continua a
ripetere che sosterrà Clinton nella campagna per la presidenza, ma a
questo punto corre il serio rischio di essere paragonato a un disco
rotto. Tra le decine di migliaia di volontari, in grande maggioranza
giovani, che si sono impegnati nella sua campagna si fanno strada alcune
domande che vanno in direzioni opposte e stanno già circolando
informalmente alcuni appelli. La forza d’urto dei «sanderisti» sarà in
grado di rigenerare il partito democratico oppure quel partito sarà
ancora una volta il «cimitero dei movimenti» com’è successo negli anni
’70 e ’80 del secolo scorso? Bisogna costituire un terzo partito, oltre
ai due partiti storici, che assorba tutto a sinistra e sia in grado di
entrare nel sistema della rappresentanza politica? La sfida è
politicizzare lo spazio sociale aperto non da Sanders, ma dalla campagna
delle primarie, per passare dalla mobilitazione elettorale alla
produzione di conflitto? Domande senza risposta che fotografano una
situazione sospesa che non può durare molto. Pesa la mancanza di un insieme di soggetti in grado assumere l’iniziativa.
In queste primarie di New York i collettivi di Black Lives Matter e le
associazioni afroamericane che avevano sostenuto le rivolte di Ferguson e
Baltimora sono restate ai margini, non riconoscendosi nella campagna di
Sanders. Il più volte evocato spettro di Occupy Wall Street è rimasto
tale perdendosi nella diaspora dei siti web e dei profili facebook. La
miopia delle organizzazioni della sinistra radicale ha fatto il resto
misurando la distanza tra le dichiarazioni di Sanders e i testi sacri,
non cogliendo la natura di un fenomeno sociale che sta avvenendo sotto
casa. La città di New York spesso è stata contemporaneamente riassunto e
trasfigurazione della società americana. È probabilmente in
questa ambivalenza che si deve guardare perché non si chiuda lo spazio
politico che si è aperto. Al di là di Bernie Sanders.
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