di Michele Paris
Le primarie nello Stato di New York hanno premiato come previsto i
candidati in testa nella corsa alla nomination per la Casa Bianca sia
tra i Democratici che i Repubblicani. Per Hillary Clinton e Donald
Trump, le rispettive e più o meno scontate vittorie di martedì hanno
messo fine, almeno per il momento, alle ansie e ai timori delle ultime
settimane e che sembravano poter intaccare il loro status di favoriti.
A
giudicare dalle reazioni dei media negli Stati Uniti, le prime elezioni
primarie competitive a New York da molti anni a questa parte hanno dato
un impulso decisivo alle campagne dei due “frontrunners”. Trump, in
particolare, dopo settimane durante le quali erano stati pubblicati
centinaia di commenti e analisi che presagivano un percorso sempre più
complicato verso la nomination, si ritroverebbe ora con il successo
finale a portata di mano.
Le dimensioni dell’affermazione nel suo
stato, in effetti, pesano come un macigno sulle speranze dei suoi due
rivali, il senatore del Texas, Ted Cruz, e il governatore dell’Ohio,
John Kasich. Il superamento in quasi tutti i distretti elettorali del
50% dei consensi ha permesso a Trump di aggiudicarsi ben 89 delegati sui
92 in palio. Il businessman newyorchese ha chiuso con oltre il 60% dei
voti nello stato, mentre a ottenere i restanti delegati è stato Kasich
(25%). Cruz è rimasto invece a bocca asciutta, fermandosi al 14,5%.
L’esito
del voto di New York è indubbiamente dovuto in parte al fatto che Trump
giocava in casa e che il suo principale sfidante, Cruz, è attestato su
posizioni ideologiche lontane anni luce dalla maggioranza dei
Repubblicani dello Stato. Vista la storia di queste primarie e della sua
ascesa, a influire sullo sfondamento di Trump a New York è stato però
probabilmente anche l’effetto delle polemiche con l’establishment del
partito in cui è stato di nuovo coinvolto alla vigilia del voto.
In
questo caso, lo scontro era avvenuto sulle nomine, in vari stati
americani, dei delegati da inviare alla convention Repubblicana di
luglio, quasi sempre favorevoli a Cruz e determinanti in un eventuale
voto per l’assegnazione della nomination una volta svincolati dai
risultati di primarie e “caucuses”. Trump ha trasformato la polemica
nell’ennesimo conflitto con i vertici di un partito che cerca di
ostacolarlo in tutti modi, così che quelli che sono stati definiti come
grattacapi dalla stampa sono diventati un punto di forza per la sua
campagna, vista la disposizione decisamente anti-sistema dell’elettorato
americano di entrambi gli schieramenti.
L’onda del successo a
New York potrebbe avere effetti positivi sulla corsa di Trump ma, come
minimo, per scongiurare ribaltoni alla convention dovrà confermare i
margini di vittoria di martedì in molti degli appuntamenti a venire, a
cominciare dalle primarie di martedì prossimo in vari stati a lui
comunque favorevoli: Connecticut, Delaware, Maryland, Pennsylvania e
Rhode Island. L’obiettivo del partito e dei due contendenti resta quello
di impedire a Trump di aggiudicarsi la maggioranza assoluta dei
delegati durante primarie e “caucuses”, e dunque lasciare liberi questi
ultimi di votare il loro candidato preferito alla convention di
Cleveland.
Per i Democratici, la netta affermazione di Hillary
Clinton ha un peso notevole dal punto di vista psicologico, anche se non
aggiunge molto agli equilibri numerici. L’ex segretario di Stato ha
aumentato di una trentina di delegati il suo margine di vantaggio già
piuttosto consistente sul senatore del Vermont, Bernie Sanders.
Soprattutto, però, ha fermato un’emorragia che durava da varie
settimane, nelle quali Sanders aveva prevalso in sette delle ultime otto
sfide.
Martedì, Sanders ha sopravanzato Hillary in 49 delle 62
contee in cui è suddiviso lo stato di New York, ma quest’ultima ha
portato a casa quelle più popolose, affermandosi in tutti e cinque i
“boroughs” della città di New York, così come nelle contee di Long
Island e in quelle a nord della metropoli.
Alcuni giornali negli Stati Uniti hanno provato a spiegare come
Sanders, nativo di Brooklyn, abbia perso la sfida decisiva di New York
commettendo una serie di errori strategici: dagli attacchi con toni
accesi a Hillary a qualche incerta dichiarazione pubblica alla
trasferta-lampo in Vaticano della settimana scorsa.
Anche
in questo stato, però, Sanders è stato in grado di mobilitare un numero
di sostenitori di gran lunga superiore a quelli accorsi per gli altri
candidati Democratici e Repubblicani. I sondaggi su scala nazionale,
poi, hanno evidenziato come Sanders abbia in pratica chiuso il gap che
lo separava da Hillary nel gradimento degli elettori.
A influire in maniera forse decisiva sulla sua sconfitta con un
distacco di quasi 16 punti percentuali potrebbero essere state invece le
regole elettorali previste dal Partito Democratico di New York, scritte
appositamente per salvaguardare lo status quo.
Qui come in altri
stati, infatti, nelle primarie del partito possono votare solo gli
elettori registrati come Democratici, mentre i circa 3 milioni
registrati come “indipendenti” risultano esclusi. Proprio questa fetta
di elettorato ufficialmente non allineato a nessun partito ha costituito
finora la base d’appoggio più solida del cammino di Sanders, il quale
ha ottenuto la maggioranza dei consensi tra gli elettori registrati come
Democratici solo nel suo stato, il Vermont.
Non solo, nello
stato di New York chi non era registrato nelle liste elettorali poteva
farlo entro un termine scaduto 25 giorni prima del voto, quando cioè le
campagne dei due candidati non avevano praticamente nemmeno iniziato a
operare. Ciò ha favorito Hillary, molto più nota di Sanders in uno Stato
per il quale venne eletta al Senato di Washington. Ancora peggio, poi,
gli elettori registrati come “indipendenti” avevano la possibilità di
cambiare la loro affiliazione e quindi votare nelle primarie
Democratiche (o Repubblicane) entro il 25 ottobre dello scorso anno,
quasi sei mesi fa, quando Sanders sembrava destinato a svolgere un ruolo
minore nella corsa alla nomination.
Rilevanti, anche se con ogni
probabilità non decisive, sono state infine le numerosissime
irregolarità segnalate nelle operazioni di voto in molti seggi. Oltre a
carenza di personale e macchine per la votazione non funzionanti, il
dato più preoccupante è stato quello della sparizione di decine di
migliaia di elettori dalle liste degli aventi diritto. Solo a Brooklyn, i
Democratici hanno visto diminuire di ben 60 mila il numero di elettori
registrati per il proprio partito negli ultimi mesi, laddove in quasi
tutte le contee dello stato di New York è stato registrato un aumento.
Dopo
il voto di New York, Hillary Clinton ha comunque mostrato di sentirsi
ormai vicinissima alla nomination, come ha affermato per la prima volta
in maniera esplicita nel suo intervento alla chiusura delle urne. La ex
first lady è data in vantaggio in tutti e cinque gli stati del nord-est
che voteranno martedì prossimo e anche quelli a cui Sanders puntava
(Connecticut, Pennsylvania, Rhode Island) potrebbero non essere più
competitivi dopo il risultato di New York.
Sanders, da parte sua,
ha chiuso la serata di martedì con una dichiarazione di circostanza per
poi ritirarsi nella sua residenza in Vermont, lasciando intendere forse
per la prima volta di voler riflettere su un possibile ritiro tra
qualche settimana e sull’atteggiamento da tenere nei confronti di
Hillary e del Partito Democratico, di cui è entrato a far parte in
maniera formale solo lo scorso anno.
Con Hillary prossima alla
nomination, il ruolo di Sanders avrà un certo rilievo in vista delle
presidenziali di novembre. Il Partito Democratico si aspetta
evidentemente che il veterano senatore appoggi senza riserve la sua
rivale nelle primarie e, di certo, egli stesso aveva pensato fin dal
lancio della sua campagna al momento in cui si sarebbe fermato e avrebbe
dato il suo “endorsement” a Hillary. D’altra parte, la sua candidatura
ha avuto fin dall’inizio il compito di esprimere il malcontento e le
frustrazioni della sinistra USA per poi convogliarle in maniera
inoffensiva all’interno del Partito Democratico.
Le aspettative
che la candidatura di Sanders ha sollevato in ampie fasce della
popolazione e, in particolare, tra giovani e lavoratori a basso reddito,
rende però questa scelta, tipica delle primarie americane per entrambi i
partiti, piuttosto complicata o, quanto meno, imbarazzante. Sanders ha
presentato agli americani un’agenda per molti versi progressista come
non accadeva da decenni, combinando politiche di redistribuzione sociale
con attacchi a Hillary Clinton in quanto rappresentante di Wall Street e
dei poteri forti del paese.
Forse involontariamente, vista la
sua sostanziale fedeltà al Partito Democratico nei decenni trascorsi al
Congresso, ciò ha contribuito a portare i riflettori sulla vera natura
di Hillary, già di per sé ampiamente disprezzata da moltissimi
americani, indebolendo ancor più la sua posizione di candidata alla Casa
Bianca.
Questo aspetto è sicuramente da considerare, soprattutto
alla luce del fatto che il confronto che si prospetta a novembre sarà
tra due candidati – Hillary Clinton e Donald Trump – tra i più
impopolari nella storia politica americana. Un recente sondaggio di NBC News e Wall Street Journal
ha rilevato come Hillary sia vista con sfavore dal 56% degli
intervistati e positivamente solo dal 32%, con un saldo negativo pari al
24%. In una situazione peggiore si trova solo Trump, con un saldo
negativo del 41%, mentre Sanders è in positivo del 9%.
Hillary,
inoltre, suscita sentimenti negativi tra la maggioranza degli elettori
maschi, tra le donne e tra i bianchi (sia uomini che donne). Un bilancio
positivo lo può vantare solo tra gli appartenenti a minoranze, come
neri e ispanici. Proprio il favore che Hillary raccoglie tra questi
ultimi è stato determinante nel portarla a un passo dalla nomination e
ciò dipende non tanto da inesistenti iniziative sue e del marito per
l’emancipazione delle minoranze etniche negli Stati Uniti. Anzi, ad
esempio, la “riforma” giudiziaria di Bill Clinton del 1994 ha se mai
determinato un’impennata nel numero di detenuti tra gli americani di
colore negli ultimi due decenni.
Il relativo successo di Hillary
tra neri e “latinos” dipende in larga misura dalla promozione delle
politiche identitarie da parte del Partito Democratico in questi anni,
non a caso in parallelo con lo spostamento a destra registrato sulle
questioni economiche, sociali e della sicurezza nazionale.
Questo
contribuisce a spiegare perché gli appartenenti a minoranze etniche
compongano una fetta molto consistente degli elettori registrati come
Democratici, i quali a loro volta sono stati gli unici a poter votare in
alcune primarie che sembrano avere deciso le sorti della nomination in
casa Democratica, come appunto quelle nello stato di New York di questa
settimana.
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