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20/04/2016

Gaza - Nella striscia isolati e tartassati

di Michele Giorgio – Il Manifesto

«Il governo mi chiede di pagare quest’anno, per ogni autovettura, 5mila shekel (circa 1.200 euro, ndr) oltre ad altre tasse. E dove li prendo questi soldi?». Mohammad A., 33 anni, proprietario di un piccolo autonoleggio, ha un diavolo per capello. «Qui a Gaza sono pochi a noleggiare l’auto, la nostra è una attività con la quale riusciamo a vivere, non certo ad arricchirci. A questo punto non pagherò (le tasse) per tutte le auto, preferisco rischiare qualche sequestro piuttosto che chiudere l’attività», spiega allargando le braccia. Come Mohammed A. tanti altri si lamentano per le tasse in costante salita. Non solo imprenditori, commercianti, proprietari di case e terreni, la classe media. Anche per i poveri – la maggior parte della popolazione – le cose vanno sempre peggio. L’aumento dei tributi deciso nell’ultimo anno dal governo del premier di Hamas Ismail Haniyeh (ufficialmente dimissionario ma di fatto sempre in carica), ha causato l’impennata dei prezzi dei generi di prima necessità avvicinando il costo della vita a Gaza a quello della Cisgiordania dove un altro governo, quello dell’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, da tempo applica tasse insostenibili per tante persone. Per i palestinesi che già devono fare i conti con l’occupazione militare israeliana e le sue conseguenze, la vita ormai è un inferno. Non servono i sondaggi. Le parole della gente di Gaza ti fanno capire che Hamas ha perso parecchio consenso nell’ultimo anno.

Il movimento islamico deve fare i conti con il mancato conseguimento della «liberazione» della Striscia dall’assedio israeliano che ha promesso più volte da quando è andato al potere a Gaza nel 2007, in particolare durante lo scontro armato con Israele nell’estate del 2014. Gaza resta la prigione a cielo aperto di sempre, anzi è persino peggio di prima se si considera la chiusura di Rafah che attua l’Egitto. Le macerie provocate dai massicci bombardamenti israeliani sono sempre lì. La ricostruzione è partita solo in minima parte e decine di migliaia di sfollati vivono da un anno e mezzo in condizioni precarie. A ciò si aggiungono la disoccupazione, tra le più alte al mondo, le condizioni ambientali, la mancanza di acqua e di altre risorse naturali. Certo, questi problemi enormi sono l’effetto del blocco di Gaza e della negazione dei diritti dei suoi abitanti. A questi però si aggiungono ora anche alcune politiche, non solo economiche, del governo Haniyeh. Ad esempio è sempre più difficile esprimere liberamente, alla luce del sole, la propria opinione. Lo dimostra anche il fatto che tanti palestinesi, dopo aver parlato ai giornalisti, chiedono di tenere nascosta la loro identità. «La più colpita è la stampa – spiega S.K. un reporter piuttosto noto nella Striscia  –  Quando critichiamo apertamente il governo, i servizi di sicurezza ci convocano e ci fanno tante domande. In qualche caso tutto si limita a qualche avvertimento, altre volte si rischia molto di più». Quando ci riferiamo alla libertà di espressione afferma il giornalista, il governo di Hamas assomiglia sempre di più all’Anp.

«Il problema quotidiano più grosso per la gente di Gaza però si chiama takafol ishtmai, una sorta di tassa per la solidarietà sociale» aggiunge S.K. «il governo ha istituito al valico di Karem Abu Salem (Kerem Shalom) una tassa sull’importazione delle merci. Un funzionario del ministero delle finanze chiede 50 o 100 skekel (12-24 euro) per ogni tonnellata di beni importati, dipende dal loro valore. 100 shekel per ogni vitello e 50 per ogni pecora. Merci e animali che poi sul mercato costeranno di più per tutti. La solidarietà di cui parlano è volta solo a racimolare fondi per pagare i 43mila dipendenti pubblici».

Nel 2014 il governo di Hamas raccoglieva mensilmente tasse per due milioni di euro. Una politica fiscale leggera figlia delle “vacche grasse” degli anni precedenti quando l’esecutivo del movimento islamico riusciva a far entrare a Gaza decine di milioni di dollari cash, frutto di donazioni e finanziamenti dall’estero. Inoltre raccoglieva annualmente, secondo stime non ufficiali, circa 300 milioni di dollari con la “tassa sui tunnel” che pagavano i proprietari delle centinaia di gallerie sotterranee per il contrabbando tra Gaza e il Sinai, chiuse o distrutte dopo il golpe militare in Egitto del 2013. Quindi si sono interrotti anche i finanziamenti dall’Iran. Oggi, con le nuove tasse, il governo di Ismail Haniyeh raccoglierebbe 15 milioni di dollari al mese che bastano a coprire solo metà dei milioni di dollari necessari per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Anche a Gaza, come in Cisgiordania, una fetta consistente del budget governativo va ai servizi di sicurezza e alle forze militari. Nel frattempo lo stesso movimento Hamas chiede la restituzione, almeno in parte, del miliardo di dollari che ha prestato al governo Haniyeh negli ultimi dieci anni.

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