di Rachele Gonnelli
Anche l’Arabia Saudita si
va modernizzando, secondo i dettami suggeriti dalle grandi società
statunitensi. Un mega piano di riforma del Regno wahabita è stato annunciato dal principe Mohammed bin Salman con una accurata intervista alla tv panaraba Al Arabiya.
Il piano di riforme – denominato «Saudi Vision 2030»
– che include tagli ai sussidi per abbassare il prezzo delle forniture
idriche alle famiglie meno ricche, aumento delle tasse, riforma della
governance pubblica e vendita di parte degli asset statali, si basa
essenzialmente su due pilastri: accrescere il peso del settore
privato in tutti i campi, in funzione di efficientazione del sistema, e
cercare di ridurre la dipendenza dell’economia saudita dal petrolio e
quindi dalla corsa al ribasso del suo prezzo al barile e dei suoi
futures.
Non è solo per reclamizzarlo, ma per gestirlo, che è in campo il
giovane e ambizioso principe Mohammed, secondo in linea ereditaria nella
complessa gerarchia della casa regnante dei Saud.
Appena trentenne e già padre di quattro figli, laureato in
Giurisprudenza a Riyad, il figlio dell’ottantenne principe ereditario
Salman, è soprannominato «Mister Everything», per indicare il crescente potere acquisito alla morte dell’ex monarca Abdullah nel 2013: è
infatti responsabile della politica economica e militare, ministro
della Difesa e presidente della società petrolifera Aramco, un colosso
che detiene numerosi primati come quello di essere il più grande
esportatore di petrolio al mondo, di coprire da solo il 10% dell’intera
produzione mondiale di greggio (attualmente 10,2 milioni di
barili al giorno che potrebbe portare «immediatamente», come ha fatto
sapere di recente lo stesso principe Mohammed, a 11,5 e in soli sei mesi
a 12,5 milioni al giorno) e detiene le più ampie riserve di oro nero
superando di dieci volte quelle della Exxon Mobil.
Proprio sulla Aramco si incardina la visione del portabandiera della
nuova generazione di emiri. «Mister Everithings», che ama Churchill e
L’Arte della guerra, ha impiegato due anni a redigere il piano seguendo
come brogliaccio il rapporto McKinsey (la più importante società
internazionale di consulenza aziendale made in Chicago che ha a libro
paga persino Chelsea Clinton, figlia dei Bill e Hillary), intende
privatizzare poco meno del 5 % della Aramco e con quella che definisce
«la più grande offerta pubblica d’acquisto della storia» trasformarla in
una holding aperta, entro il 2017, e quindi agire sui mercati con un
fondo sovrano da 2 mila miliardi di dollari.
Questo nuovo attore finanziario che sarebbe costruito e
seguito nei suoi primi passi da JpMorgan e Michael Klein, due tra le più
grandi società di valutazione finanziaria americane, si
piazzerebbe da subito come terzo nella classifica internazionale delle
maggiori società d’investimento secondo le previsioni dell’agenzia
Bloomberg, dopo il gigante Black Rock ma a pari merito con il fondo
Fidelity.
Il principe dice nell’intervista che intende liberare il
Regno dal giogo del petrolio entro il 2020, che vuole introdurre una
Green-card per i permessi di lavoro agli immigrati entro cinque anni e
realizzare il faraonico ponte sul Mar Rosso per collegare il Golfo
all’Egitto e all’Europa.
Intanto con il padre non fa che espandere la produzione di petrolio e
rafforzare la cooperazione con la Turchia in funzione anti-Iran.
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