La pantomima della richiesta del cosiddetto premier libico di “aiuto” alle potenze occidentali per stabilizzare il paese, svela definitivamente lo scenario di intervento militare e coloniale contro la Libia e le sue risorse.
In Libia c’è il 38% del petrolio del continente africano pari all’11% dei consumi europei. La maledizione della Libia è anche quella di avere un greggio di qualità e a basso costo, che fa gola alle multinazionali in tempi di bassi prezzi petroliferi. La Libia già oggi è un bottino da 130 miliardi di dollari che potrebbero quadruplicare dividendo il paese in due o tre regioni sotto il controllo delle potenze occidentali (la Tripolitania all’Italia, la Cirenaica a Gran Bretagna ed Egitto, il Fezzan alla Francia) e affondando le mani sui miliardi del Fondo sovrano libico giacente a Londra.
In questi cinque anni, spesso inascoltati, abbiamo denunciato il piano di destabilizzazione e divisione della Libia messo in campo già nel 2011 da Francia, Gran Bretagna e Italia. La minaccia dell’Isis e quella degli scafisti, si sono dimostrati pretesti agitati strumentalmente per legittimare quella che ormai si configura come una vera e propria spartizione coloniale di un paese e delle sue risorse.
Siamo scesi in piazza più volte nei mesi scorsi proprio per denunciare questo scenario. Ci auguriamo che l’ingordigia e l’arroganza di potenze come Francia, Italia, Gran Bretagna e dei loro alleati in Medio Oriente conosca nelle sabbie libiche l’amara lezione che i movimenti di resistenza anticoloniali gli hanno inflitto nei decenni trascorsi.
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