Il Referendum è stato perso e Renzi incassa un successo.
Inutile negarlo, ma il giovanotto fiorentino farebbe bene a non essere
troppo trionfalista. L’uomo ha un comportamento curioso: prima di una
consultazione amministrativa o referendaria si affanna a spiegare che si
tratta di un quesito settoriale, limitato, locale, senza portata
politica generale, comunque vada. Dopo, quando arrivano i risultati, se
gli sono sfavorevoli, conferma che si è trattato di una consultazione
senza importanza, se, invece, gli è andata bene, si tratta di un segnale
di grande importanza che premia la sua azione di governo e la sua
segreteria del partito, premessa di nuovi immancabili trionfi. Ma, in un
caso come questo, conviene un’analisi più attenta. In primo luogo vanno considerati una serie di fattori che dicono quanto il referendum fosse una scommessa azzardata:
1. il tema ha avuto pochissima
attenzione (soprattutto televisiva) sino a dieci giorni prima del voto
ed è stato “coperto” da molte altre questioni sino a Pasqua (riforma
istituzionale, probabile intervento in Libia, rapporti con la Bce e la
Ue, crisi italo-egiziana eccetera) per cui non è riuscito ad imporsi
nella agenda politica come uno dei temi centrali. Di fatto, è stato solo
lo scandalo di Potenza a dare un po’ di sprint alla campagna;
2. questo è stato accentuato anche
dall’assenza di una vera campagna referendaria (rarissimi i manifesti,
altrettanto rare le iniziative di propaganda), nonché dalla stanchezza
degli italiani che tendono a votare sempre meno per sfiducia nei
meccanismi democratici;
3. non era solo il Pd (salvo
l’irrilevante minoranza interna) a dare indicazione per l’astensione, ma
anche Forza Italia ed i suoi giornali e Tv, mentre la Lega se ne è
disinteressata.
Per cui, in primo luogo non è affatto
detto che tutti gli astenuti di ieri poi tornino a votare e che poi
votino Pd alle amministrative e Si al referendum di ottobre.
Presumibilmente una parte lo farà, ma altri continueranno ad astenersi o
voteranno a destra. Meno vistoso, ma comunque non inesistente sarà il
flusso da questi verso M5s e sinistra. E lo stesso si può dire dei 2
milioni circa di No. Paradossalmente è proprio il “sottotono” renziano
di prima del voto a ridimensionare ora il suo successo.
Quindi, vittoria si, ma contenuta e per nulla irreversibile. Anzi, a guardare dentro il risultato non mancano segnali mica tanto belli per Renzi.
In particolare, colpisce il risultato di
Puglia (più del 40% dei votanti, ad un passo dal quoziente) e Lucania
(unica regione che ha superato il 50%), cioè le regioni in cui, per una
questione geografica, il tema era particolarmente sentito e la campagna
referendaria c’è stata. Quel che significa che dove della questione se
ne è parlato, il risultato è molto diverso dalla media. Quindi, nel
referendum istituzionale (che avrà ben alto impatto) le cose non
andranno tanto lisce per Renzi, anche perché è presumibile che, in quel
caso, la destra sarà contro Renzi.
E significa anche un’altra cosa: che il
Presidente della Regione Puglia, Emiliano, protagonista di questo
scontro, ha acquisito una prima notorietà nazionale ed ha un partito che
lo segue nella sua regione. Conoscendo personalmente Emiliano sin dai
tempi (ahimè remoti) dell’Università, so che è una brutta gatta da
pelare: non è uno degli stoccafissi surgelati della “sinistra”
bersaniana. Do per scontato sia un suo impegno nel referendum
istituzionale per il No alla riforma, sia una sua battaglia congressuale
contro Renzi alla quale è possibile che si aggiungano altri di “centro”
(ad esempio Chiamparino, Zanda, De Luca, forse Finocchiaro).
Il secondo dato interessante riguarda
due delle città più importanti fra quelle prossime al voto: Torino, dove
la partecipazione è stata del 36,5%, cioè 4 punti oltre la media e
Bologna (36,8%), città che non avevano alcuna particolare ragione (come
in quelle sulla costa adriatica), per votare più di altre.
E c’è anche un gruppo di province, di cui alcune “rosse”, dove la partecipazione è oltre la media (Modena, Reggio Emilia, Oristano, Padova, Chieti).
Ma il dato più significativo sono i
13.334.764 voti raccolti dal “si” che indicano l’area di resistenza
antirenziana più decisa in massima parte attribuibili al M5s ed alla
sinistra. Un nucleo duro che giocherà il suo ruolo tanto alle
amministrative quanto al referendum. C’è chi dice che Renzi guarda a
quella massa fra i 10 ed i 15 milioni di voti che gli è
irriducibilmente ostile con preoccupazione. Fa bene.
Adesso prepariamoci alle amministrative
dove è possibile ribaltare la tendenza e ricordiamoci degli imbrogli che
Renzi ha fatto per vincere questo referendum (dalla disinformazione
alla decisione di separare referendum e voto amministrativo per far
mancare il quoziente), ricordiamoci dei comitati d’affari che lo
scandalo potentino ha rivelato. Ricordiamocene, soprattutto il 19 giugno
quando voteremo per i ballottaggi ed in nessun caso occorrerà dare un
voto in più ai candidati del Pd.
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