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19/04/2016

Berlino e Parigi ai piedi di al-Sisi

di Chiara Cruciati  il Manifesto

Il presidente al-Sisi può permettersi un altro show accanto ad un Hollande che farfuglia parole a difesa dei diritti umani. Domenica sera la conferenza stampa dell’ex generale egiziano e il presidente francese ha dato l’immagine più vivida della posizione del Cairo rispetto al clima di repressione in cui ha soffocato lo spirito rivoluzionario di Tahrir. E l’immagine di un’Europa prostrata ai piedi del golpe. Su Hollande e al-Sisi pesavano gli spettri di Giulio Regeni e Eric Lang, troppo offuscati per mettere in discussione la ragione della visita francese: accordi in campo economico da 1,7 miliardi di euro e memorandum di intesa per future cooperazioni, oltre al miliardo per armi e sistemi satellitari militari.

«Abbiamo di fronte forze malvagie nella regione, che fanno di tutto per scuotere pesantemente la stabilità dell’Egitto – ha detto al-Sisi – Stanno tentando di dare un’impressione sbagliata degli eventi in Egitto. Quello che traspare è il tentativo di distruggere le istituzioni dello Stato, una alla volta. È in corso un attacco contro la polizia, poi contro il sistema giudiziario. Anche il parlamento, scelto in modo trasparente dal popolo, è messo in dubbio».

Di nuovo quelle genti malvagie con cui spiegare il corpo martoriato di Giulio e prima quello di Eric per cui Parigi non ha mosso un dito. Genti malvagie che vogliono isolare l’Egitto, far crollare le alleanze strette nella regione, dice il presidente, e con l’Europa. Ma le reti di alleanze non sono in pericolo: è l’Italia oggi il paese isolato, privato di un deciso sostegno europeo, e già pronta al passo indietro. Così potrebbe spiegarsi il silenzio delle nostre istituzioni dopo i due ultimi discorsi di al-Sisi, chiara sfida alla richiesta di verità sulla morte del giovane ricercatore.

A Roma il messaggio è arrivato forte e chiaro, inviato dai due presidenti e dai loro scranni: al-Sisi sfida, Hollande tace. O meglio, balbetta una risposta al presidente golpista, secondo il quale «l’impegno egiziano sui diritti umani non dovrebbe essere valutato secondo gli standard europei, perché il Medio Oriente è una regione molto volatile». La solita litania della sicurezza contro il rispetto dei diritti? A pensarci non è poi così distante dalla contrapposizione su cui si sono basate le politiche dei governi europei e di quello Usa negli ultimi anni. Hollande reagisce con debolezza: «[I diritti sono] le libertà di stampa e di espressione e un sistema giudiziario capace di rispondere a queste questioni – ha detto – I diritti umani non sono una costrizione, ma un modo per combattere il terrorismo».

E dopo la Francia ad isolare l’Italia ci pensa Berlino: partito Hollande, a tributare il proprio appoggio al Cairo è il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel. A capo di una delegazione di oltre 120 uomini d’affari tedeschi (come i colleghi francesi, interessati a numerosi accordi commerciali), Gabriel ha incontrato il presidente egiziano ieri. E se n’è andato lasciato dietro di se dichiarazioni inimmaginabili: «Credo che abbiate un presidente sorprendente. L’Egitto è sulla strada della democratizzazione», ha detto rivolto al popolo egiziano. Immaginabili invece le critiche che gli sarebbero piovute addosso, costringendolo a fare marcia indietro. Poca cosa: Gabriel si è detto preoccupato per il caso Regeni e per le notizie di «crescenti violazioni dei diritti umani».

Ma soprattutto Gabriel ha precisato che Berlino non contempla alcuna restrizione sulla fornitura di armi all’Egitto, affossando la risoluzione del parlamento europeo che invita gli Stati membri a «sospendere ogni forma di cooperazione alla sicurezza e assistenza alle autorità egiziane fino a quando il loro apparato di sicurezza continuerà a fomentare l’estremismo violento attraverso violazioni sistematiche commesse in piena impunità». Non a caso tra gli obiettivi della visita di Stato c’è il rafforzamento congiunto della sicurezza ai confini egiziani.

Sullo sfondo resta l’assordante assenza di cooperazione con gli investigatori italiani. Sabato, secondo il quotidiano al Watan, in un’intervista alla tv al-Hayat il portavoce del Ministero degli Esteri, Ahmed Abu Zeid, avrebbe parlato di importanti sviluppi per poi chiedere all’Italia di allentare quelle che definisce «pressioni politiche» sullo scarno dossier consegnato alla procura di Roma dalla controparte egiziana nel fallimentare vertice in Italia. Il giorno dopo Abu Zeid ha negato: «Ho solo domandato alla parte italiana di allontanare le pressioni politiche e lasciare che gli apparati competenti proseguano nella missione».

Come accaduto nel caso turco, a prendere posizione sono gli accademici: ieri 100 professori universitari inglesi e statunitensi in una lettera indirizzata al presidente Obama hanno chiesto la sospensione degli aiuti militari Usa all’Egitto.

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